La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 27595 depositata il 10 dicembre 2013 intervenendo in tema di accertamento fiscale ha statuito che l’Agenzia delle Entrate non può contestare l’ammissibilità dei documenti non esibiti in sede di verifica, se il contribuente ha avuto “manifesta difficoltà” nel reperimento degli stessi.
La vicenda ha riguardato una società, esercente l’attività di commercio di autoveicoli, a cui l’Amministrazione finanziaria notificava un avviso di accertamento emesso sulla base di una contestazione di mancata fatturazione di somme versate alla contribuente dai suoi clienti al momento della formulazione delle proposte di acquisto dei veicoli per la contribuente erano somme versate , a titolo di caparra o deposito cauzionale e, secondo l’Ufficio, a titolo di acconto sul prezzo. La società non potè presentare le proposte di acquisto sottoscritte dai clienti.
Avverso tale atto impositivo la società ricorreva inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici rigettavano le doglianze del ricorrente. La società impugnava la decisione del giudice di prime cure inanzi alla Commissione Tributaria Regionale che riformava la sentenza di primo grado, ha annullato la ripresa fiscale e le sanzioni. I giudici di appello fondavano la propria decisione sull’assunto che la contribuente avrebbe dimostrato, producendo in giudizio 243 proposte di acquisto di veicoli, che le somme in questione erano state in parte versate titolo di caparra, e quindi non erano soggette all’obbligo di fatturazione, e in parte tempestivamente regolarizzate, perché riferite a veicoli ceduti e consegnati nello stesso mese di incasso.
L’Amministrazione finanziari per la cassazione della sentenza dei giudici territoriali proponeva ricorso, basato su tre motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini respingono il ricorso del Fisco. I giudici di legittimità hanno affermato che la sanzione della inutilizzabilità dei documenti di cui sia stata rifiutata l’esibizione in sede di verifica, prevista dall’articolo 52 quinto comma del D.P.R. n. 633 del 1972, non presuppone necessariamente che il rifiuto di esibizione sia stato doloso, ossia finalizzato a impedire l’attività di accertamento, ben potendo tale sanzione applicarsi anche quando detto rifiuto sia dipeso da errore non scusabile, di diritto o di fatto, dovuto a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative o altro (cfr. Cass. sentenze 21768 del 2009 e 7269 del 2009).
Tuttavia, perché sia preclusa l’utilizzazione in sede amministrativa o contenziosa di un documento, è pur sempre necessario non solo che esso sia stato richiesto in sede di verifica (non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto), ma anche che alla richiesta di esibizione il contribuente fosse in condizione di corrispondere positivamente adottando l’ordinaria diligenza, ossia che il documento richiesto fosse in suo possesso o fosse da lui agevolmente e tempestivamente reperibile, in originale o in copia, presso chi lo possedeva.
Per i giudici del Palazzaccio dei predetti principi di diritto i giudici di appello nè hanno fatto corretta applicazione. Il giudice del merito ha giustamente ritenuto utilizzabili alcuni documenti la cui mancata esibizione in sede di verifica era dipesa dalla “manifesta difficoltà di reperimento”, espressione da intendere come equivalente a difficoltà di reperimento non superabile con l’ordinaria diligenza. D’altro canto, osserva la S.C., “l’accertamento di fatto che i documenti prodotti in giudizio dalla contribuente fossero di difficile reperimento al momento della verifica non ha formato oggetto di censura nel ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate […]”.
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