La Corte di Cassazione con la sentenza n. 10527 del 28 aprile 2017 intervenendo in tema di accertamento su indagine bancarie ed omesso versamento IVA ha affermato che il contribuente mantiene il diritto di produrre in giudizio i documenti non esibiti nella fase precontenziosa quando non c’è motivo di ritenere che in quel frangente abbia inteso intralciare, dolosamente, l’attività di accertamento.
La vicenda ha riguardato una società sportiva fallita ed il cui curatore fallimentare in sede di accertamento non aveva giustificato somme di denaro sui conti correnti della società fallita ed affermando che la documentazione della società era andata persa. L’Agenzia delle Entrate notificava alla curatela un avviso di accertamento emesso nei confronti della società fallita. Il curatore avverso tale atto impositivo proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici accoglievano le doglianze della società ricorrente affermando che la documentazione che era stata allegata al ricorso smentisse l’operato dell’agenzia e che, dunque, l’accertamento fosse illegittimo ed infondato.
L’Amministrazione finanziaria impugnava la decisione dei giudici di prime cure con ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello accoglievano il ricorso proposta dal fisco evidenziando che la dichiarazione del curatore di non essere in possesso della documentazione contabile andata dispersa impediva di prendere in considerazione successivamente libri, registri, scritture e documenti a favore della contribuente.
La società fallita, tramite la curatela, propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
Gli Ermellini accolgono il ricorso della fallita società affermando che “Tale norma è stata precisata ed interpretata dalle S.U. di questa Corte, con sentenza n. 45 del 25/02/2000, nel senso che, a norma dell’articolo 52, quinto comma del d.P.R. n. 633 del 1972, perché la dichiarazione, resa dal contribuente nel corso di un accesso, di non possedere libri, registri, scritture e documenti (compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sia obbligatoria) richiestigli in esibizione determini la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione a suo favore ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, occorre: la sua non veridicità o, più in generale, il suo concretarsi – in quanto diretta ad impedire l’ispezione del documento – in un sostanziale rifiuto di esibizione, accertabile con qualunque mezzo di prova e anche attraverso presunzioni; la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa; il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento; pertanto, non integrano i presupposti applicativi della preclusione le dichiarazioni (il cui contenuto corrisponda al vero) dell’indisponibilità del documento, non solo se questa sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore, ma anche se imputabile a colpa, quale ad esempio la negligenza e imperizia nella custodia e conservazione.
In definitiva, la dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l’accertamento induttivo, solo ove sia non veritiera, cosciente, volontaria e dolosa, così integrando un sostanziale rifiuto di esibizione diretto ad impedire l’ispezione documentale. Infatti, l’art. 52, quinto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, a cui rinvia l’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n 600, ha carattere eccezionale e deve essere interpretato alla luce degli artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto alla difesa e da non obbligare il contribuente a pagamenti non dovuti, sicché non può reputarsi sufficiente, ai fini della suddetta preclusione, il mancato possesso imputabile a negligenza o imperizia nella custodia e conservazione della documentazione contabile.”
Si rammenta in ordine alla problematica esaminata dalla sentenza in commento che le ispezioni sono costituite dall’esame delle scritture e altri documenti al fine di verificare la correttezza dell’imponibile e dell’imposta. Diverso è l’accesso in quanto tale esso consiste alla verifica della regolare tenuta dei documenti contabili. (circolare GDF 1/1998 parte II § 2.4).
L’acquisizione di supporti informatici e dati ivi presente negli hard disk rientrano nella procedura di ispezione documentale. Occorre la preventiva autorizzazione del PM per l’esame della documentazione elettronica, cosi come avviene per l’apertura coattiva di “plichi sigillati”. La ciroclare n. 1/2008 della Guardia di Finanza nella parte II al cap. 3 ritiene che la suddetta autorizzazione non sia necessaria per visionare mail già aperte dal destinatario ma sia necessaria per visionare posta elettronica non letta o in relazione alla quale è eccepito il segreto professionale.
Pertanto si ritiene, qualora il contribuente non esibisca oppure non rende leggibili i file si può verificare il rifiuto ad esibire, con la conseguente preclusione probatoria, ma al contempo che, se i funzionari coattivamente e senza autorizzazione accedono al PC e visionano ad esempio i documenti extracontabili, questi sono inutilizzabili per difetto della prescritta autorizzazione.
Per la Cassazione, con la recente sentenza n. 9565/2017, ritiene che l’autorizzazione occorra solo per procedere all’apertura coattiva senza manifestazione di alcuna contraria volontà e non sia necessaria ove sussista il consenso del contribuente.
Mentre, sempre secondo la Corte Suprema (vedasi sentenza n. 7368/1998) qualora l’apertura del plico sia avvenuta in seguito a ripetuti richiami sulle conseguenze della mancata collaborazione, non sembra esservi esplicito consenso.
Infine il sequestro dei documenti e scritture solo risulta possibile solo in caso di impossibilità di riprodurne o farne constatare il contenuto a verbale ovvero in caso di mancata sottoscrizione o di contestazione del verbale. Qualora le scritture contabili sono conservate presso altri soggetti il contribuente è tenuto ad esibire un’attestazione, rilasciata dai soggetti stessi, recante la specificazione delle scritture in loro possesso (articolo 52, comma 10, D.P.R. 633/1972).
Le verificazioni sono invece dirette a riscontrare la fedeltà dei documenti attraverso controlli reali, mentre le rilevazioni non danno luogo a risultati direttamente raffrontabili con la realtà ma sono atti attraverso cui può giungersi al profilo economico dell’attività verificata.
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