La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 27068 depositata il 3 dicembre 2013 intervenendo in materia di maternità ha statuito che qualora, sia intervenuta una modifica legislativa (D.Lgs. 151/2001) inerente la procedura di richiesta ed erogazione di contributi assistenziali relativi alla maternità la cui efficacia non è retroattiva, lo stato di gravidanza della professionista nel periodo antecedente l’entrata in vigore della l. n. 289/2003 (29 ottobre 2003) soggiace al più favorevole regime reddituale previsto dal d. Lgs n. 151/2001. A condizione che l’interessata contesta innanzi al giudice del merito la sua mancata applicazione.
La vicenda ha riguardato un avvocato che chiedeva alla Cassa previdenziale la riliquidazione dell’indennità di maternità per libere professioniste, alla stregua dell’art. 70 del d.lgs. n.151 del 2001, in relazione al parto avvenuto il 4 novembre 2003. La professionista citava inanzi al Tribunale la Cassa nazionale. I giudici di prime cure accoglievano le doglianze della ricorrente. La sentenza di primo grado veniva confermata anche dalla Corte di Appello che riconosceva alla professionista anche gli interessi legali e il maggior danno da svalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT per la sola percentuale eccedente il tasso legale degli interessi.
La Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi di censura.
I giudici del Palazzaccio hanno ritenuto non meritevole di accoglimento il ricorso della Cassa. Gli Ermellini hanno ritenuto quale momento in cui sorge il diritto alla maternità con l’effettivo inizio di gravidanza e non con la presentazione della domanda all’ente previdenziale. Infatti la Corte Suprema ha precisato che diversamente si verificherebbe una disparità di trattamento tra avvocati, disparità in alcun modo giustificata, poiché le stesse pur partorendo nello stesso periodo sarebbero sottoposte a normative differenti per il semplice fatto di aver presentato apposita domanda all’ente previdenziale in momenti differenti.
Si rammenta anche il principio secondo il dettato costituzionale con cui a situazioni sostanzialmente identiche vada riservato eguale trattamento di legge. La domanda all’ente previdenziale, secondo il disposto di entrambe le normative, può essere infatti proposto entro un arco temporale molto ampio, “compreso fra il compimento del sesto mese di gravidanza e il centottantesimo giorno dopo il parto”.
Inoltre, secondo l’interpretazione della Cassazione, il valore giuridico della presentazione della domanda all’ente previdenziale sarebbe soltanto quello di ottenere l’erogazione della prestazione all’avverarsi delle circostanze di fatto contemplate dalla norma di riferimento, senza che la stessa domanda possa in qualsiasi caso incidere circa la verificazione del fatto (il protrarsi della gravidanza e, dunque, il parto). Il ricorso proposto dalla Cassa Nazionale di previdenza ed assistenza forense è quindi rigettato e confermata la pretesa dell’iscritta.
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