MINISTERO delle FINANZE – Circolare n. 36 dell’ 8 novembre 2024, n. 36
Disposizioni in materia di riduzione dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni – Pagamenti di natura non commerciale e utilizzo della facoltà prevista dall’articolo 4, comma 4, del Decreto Legislativo n. 231 del 2002
1. Premessa
Tra le riforme abilitanti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che l’Italia si è impegnata a realizzare, è prevista la Riforma n. 1.11 “Riduzione dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni e delle autorità sanitarie”.
In particolare, a seguito delle modifiche apportate al PNRR ed approvate con decisione del Consiglio dell’8 dicembre 2023, è stata introdotta la milestone M1C1-72bis, che prevede una serie di interventi volti a favorire un’accelerazione nel percorso di miglioramento dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni ai fini del conseguimento dei target previsti dalla stessa riforma, al primo trimestre del 2025 e del 2026.
Al riguardo, tenuto conto che alcuni dei predetti interventi sono volti qualificare ed illustrare profili applicativi della disciplina vigente, anche a seguito delle recenti interlocuzioni con la Commissione europea, si ritiene opportuno fornire le necessarie linee guida per l’individuazione delle fatture di natura commerciale, per il corretto utilizzo della facoltà prevista dall’articolo 4, comma 4, del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, nonché per gli adempimenti degli organi di controllo di regolarità amministrativa e contabile, in ordine al corretto utilizzo della predetta facoltà.
2. La nozione di transazione commerciale
Con riferimento al profilo oggettivo e soggettivo della nozione di transazione commerciale, pare opportuno richiamare, preliminarmente, i principali riferimenti normativi in materia.
Si tratta, in particolare, del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, emanato al fine di dare attuazione alla direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, successivamente modificato dal decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192, recante “Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell’articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180.”
Nello specifico, l’articolo 1, comma 1, del predetto decreto legislativo n. 231 del 2002 stabilisce che “le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale” e l’articolo 2, comma 1, lett. a), qualifica come transazioni commerciali “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo”.
Si tratta di una nozione che ricalcando il dettato della normativa europea appare ampia e volutamente priva di un riferimento specifico a una o più tipologie contrattuali del diritto nazionale.
Peraltro, successivamente all’emanazione del citato decreto, il legislatore ha precisato, con norma interpretativa, che rientrano in tale definizione anche gli appalti pubblici.
Nello specifico, l’articolo 24, comma 1, della legge 30 ottobre 2014, n. 161, ha interpretato la lettera a) dell’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 231 del 2002, come sostituito dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 192 del 2012, “nel senso che le transazioni commerciali ivi considerate comprendono anche i contratti previsti dall’articolo 3, comma 3, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”, ossia “i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, o di forniture, ovvero l’esecuzione di opere o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti, dagli enti aggiudicatori, dai soggetti aggiudicatori”.
Recenti sentenze (Corte di Cassazione, sentenza n. 5803 del 2019, che richiama il precedente costituito da Consiglio di Stato, 11 febbraio 2014, n. 657, inerente alla fattispecie di un contratto di locazione relativo “ad un immobile concesso in locazione alla Provincia appellante e destinato ad uso scolastico”) hanno espressamente chiarito che “la nozione di “transazione commerciale”, di ispirazione comunitaria, in assenza di limitazioni deve essere intesa in senso lato, come ricomprendente tutte le prestazioni di servizio, e pertanto anche i contratti di utilizzazione di beni collegati o connessi ad un rapporto commerciale, ivi ricompresi i contratti di locazione (e di affitto)”.
Pertanto, sotto il profilo oggettivo, sono da considerarsi commerciali tutte le transazioni che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, comprese le obbligazioni per prestazioni professionali, i contratti di appalto di lavori pubblici e i canoni di locazione.
Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, il decreto legislativo n. 231 del 2002 precisa che la norma si riferisce alle “transazioni commerciali” intercorrenti tra imprese e tra imprese e pubblica amministrazione.
Al riguardo, lo stesso decreto legislativo n. 231 del 2002, all’articolo 2, comma 1, lett. c), definisce l’imprenditore come “ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione”.
Viene, quindi, fornita una nozione più ampia di quella contenuta nell’articolo 2082 del codice civile, ricomprendendo anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.
A tale ultimo proposito, si fa, altresì, presente che l’articolo 2 (rubricato “Tutela del lavoratore autonomo nelle transazioni commerciali”), comma 1, della legge 22 maggio 2017, n. 81 ha stabilito che “Le disposizioni del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, si applicano, in quanto compatibili, anche alle transazioni commerciali tra lavoratori autonomi e imprese, tra lavoratori autonomi e amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, o tra lavoratori autonomi, fatta salva l’applicazione di disposizioni più favorevoli”.
Ciò posto, le singole pubbliche amministrazioni avranno cura di valutare la presenza degli elementi oggettivi e soggettivi sopra richiamati per definire le fattispecie di spesa che, pur correlate con l’emissione di una fattura elettronica, potrebbero non rientrare nell’alveo delle transazioni commerciali. In particolare, va rammentato come, tra gli elementi più rilevanti ai fini di tale valutazione, siano da ricomprendere:
a) la presenza di un contratto, comunque denominato, il quale dia luogo ad un rapporto di tipo commerciale fra la pubblica amministrazione e il soggetto fornitore del bene o servizio. Così, ad esempio, non sarebbero riferibili a transazioni commerciali le fatture emesse a fronte di un mero trasferimento di risorse finanziarie, o a rimborso effettuato in fase di rendiconto della spesa, anziché per l’effettiva prestazione di un servizio;
b) la necessità che la controparte della pubblica amministrazione sia un’impresa, intesa nell’accezione più ampia, che ricomprende anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti. In tal senso, ad esempio, non rientrerebbero nel monitoraggio delle transazioni commerciali delle pubbliche amministrazioni quelle fattispecie dove, in ultima analisi, la controprestazione è svolta a favore del cittadino/contribuente.
Ai fini del pagamento, ogni transazione commerciale, rispondente ai requisiti sopra indicati, viene accompagnata dall’emissione di fattura elettronica nei confronti della pubblica amministrazione committente, obbligata al pagamento del corrispettivo. La stessa fattura elettronica è automaticamente registrata sulla Piattaforma dei Crediti Commerciali (PCC).
Esistono, tuttavia, casistiche di fatturazione elettronica nei confronti di pubbliche amministrazioni, anch’esse registrate in PCC, riferite a transazioni per le quali non sussistono gli elementi sopra richiamati, che ne qualificano la natura commerciale.
Al riguardo, occorre segnalare come i criteri sopra esposti non fanno alcun riferimento all’oggetto della transazione. La natura del bene acquistato dalla pubblica amministrazione, infatti, risulta del tutto irrilevante ai fini della individuazione della natura commerciale di una transazione.
Ciò che rileva, invece, è che i beni o servizi, oggetto della transazione, siano acquisiti dalla pubblica amministrazione sulla base di un rapporto negoziale e che il fornitore sia un soggetto che esercita un’attività di impresa o professionale.
Conseguentemente, non esiste alcuna esclusione legata al contenuto della prestazione, fatta eccezione per deroghe espressamente previste dalla Direttiva 2011/7/UE (considerando 8, paragrafi 2 e 3), e recepite all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 231 del 2002. In particolare, non costituiscono transazioni commerciali:
a) i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito;
b) i pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti effettuati, a tale titolo, da un assicuratore.
Con riferimento al primo elemento qualificante la natura commerciale di una transazione, ossia la presenza di un contratto che dia luogo a un rapporto di tipo commerciale, come detto, restano escluse dall’alveo delle transazioni commerciali le fatture emesse a fronte di un mero trasferimento di risorse finanziarie o di rimborso effettuato in fase di rendiconto della spesa, anziché come controprestazione per l’effettiva fornitura di beni e servizi.
Ciò può concretizzarsi sulla base di una previsione normativa, in assenza di un qualsiasi rapporto negoziale. A tale fattispecie, sono ascrivibili le seguenti principali casistiche, emerse nell’ambito dell’attività di monitoraggio:
a) i contributi versati dallo Stato a soggetti privati come supporto finanziario per lo svolgimento di funzioni di assistenza a favore dei cittadini, per funzioni meritevoli di tutela, al fine di assicurare costi più contenuti rispetto a quelli di mercato (a titolo esplicativo il finanziamento agli istituti di patronato e assistenza sociale previsto dall’articolo 13 della legge 30 marzo 2001, n. 152);
b) le sovvenzioni, erogate a vario titolo, a soggetti privati o pubblici per iniziative sportive o culturali (quali i pagamenti dei premi delle gare ippiche e delle sovvenzioni agli ippodromi).
Di contro, rientrano nell’ambito delle transazioni commerciali le forniture di beni e servizi erogate da imprese o professionisti a fronte delle quali l’amministrazione si è assunta l’obbligo di pagare il relativo corrispettivo in virtù di disposizioni normative o accordi contrattuali, anche quando il beneficiario diretto della prestazione è un soggetto privato.
È il caso, ad esempio, delle erogazioni di prestazioni sanitare a favore dei cittadini da parte delle strutture accreditate della sanità. In merito, la sentenza della Corte di cassazione (Sezioni unite civili, Sentenza 14 dicembre 2023, n. 35092) ricorda che, già da alcuni anni, la stessa Corte si è orientata a ricondurre le prestazioni sanitarie erogate, in favore dei fruitori del servizio, da strutture private accreditate con lo Stato nell’ambito della nozione di “transazione commerciale” di cui al decreto legislativo n. 231 del 2002, affermando che le strutture private accreditate hanno diritto, in caso di ritardo nei pagamenti, di vedersi corrispondere dal soggetto pubblico gli interessi di mora, nella misura prevista dal medesimo decreto legislativo. n. 231 del 2002 (Cass. n. 14349 del 2016; Cass. n. 20391 del 2016; Cass. n. 17665 del 2019; Cass. n. 7019 del 2020).
Con riferimento al requisito soggettivo, è stato chiarito che non rientrano nel monitoraggio delle transazioni commerciali delle pubbliche amministrazioni quelle fattispecie dove, in ultima analisi, la controprestazione monetaria, a fronte di una fornitura di beni e servizi, è svolta a favore del cittadino o del contribuente oppure a favore di un soggetto non qualificabile come imprenditore o professionista.
Pertanto, non costituiscono transazioni commerciali i rimborsi, nei casi previsti per legge, a favore dei cittadini per spese da questi direttamente sostenute e soggette a rimborso da parte delle pubbliche amministrazioni (ad esempio, il rimborso dei costi dell’assistenza sanitaria transfrontaliera di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 38, e il rimborso delle spese per assistenza sanitaria all’estero di cui all’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1980, n. 618).
Tuttavia, occorre precisare che il rimborso, accompagnato da fattura, mantiene la qualifica di transazione commerciale allorquando la fattura è emessa dall’impresa nei confronti di una pubblica amministrazione, a fronte dell’acquisto di un bene o servizio da parte di un soggetto privato sulla base di un programma pubblico di sussidi o di sovvenzioni. Rientrano in questa casistica, a titolo esemplificativo, i programmi “Carta della cultura giovani” e “Carta del merito”, in quanto il bene, seppure acquistato dal soggetto beneficiario dell’intervento, è pagato dall’amministrazione pubblica, a fronte dell’emissione della fattura da parte dell’impresa venditrice.
3. Utilizzo della facoltà prevista dall’articolo 4, comma 4, del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231
La direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, recepita nella normativa nazionale con il decreto legislativo n. 231 del 2002, come modificato dal decreto legislativo n. 192 del 2012, stabilisce che il periodo di scadenza delle fatture emesse nei confronti di una pubblica amministrazione è, in generale, pari a 30 giorni dalla data di ricevimento della fattura, estensibile a 60 giorni nel settore sanitario, ovvero in settori diversi da quello sanitario, in relazione alla specifica natura del rapporto contrattuale. Il periodo di scadenza è da intendersi riferito ai giorni di calendario, come desumibile dai “considerando” 13 e 23 della citata direttiva europea 2011/7/UE.
In particolare, l’articolo 4, paragrafo 4, della predetta direttiva stabilisce, innanzitutto, che: “Gli Stati membri possono prorogare i termini di cui al paragrafo 3, lettera a), fino ad un massimo di sessanta giorni di calendario per: a) qualsiasi amministrazione pubblica che svolga attività economiche di natura industriale o commerciale offrendo merci o servizi sul mercato e che sia soggetta, come impresa pubblica, ai requisiti di trasparenza di cui alla direttiva 2006/111/CE della Commissione, del 16 novembre 2006, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese; b) enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tal fine”.
Inoltre, il successivo paragrafo 6 del medesimo articolo stabilisce, in via aggiuntiva, che:
“Gli Stati membri assicurano che il periodo di pagamento stabilito nel contratto non superi il termine di cui al paragrafo 3, se non diversamente concordato espressamente nel contratto e purché ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche, e non superi comunque sessanta giorni di calendario”.
Il testo del suddetto articolo 4, paragrafo 6, della direttiva è stato integralmente recepito nella normativa nazionale, laddove l’articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 231 del 2002, prevede che : “Nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione le parti possono pattuire, purché in modo espresso, un termine per il pagamento superiore a quello previsto dal comma 2, quando ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche. In ogni caso i termini di cui al comma 2 non possono essere superiori a sessanta giorni. La clausola relativa al termine deve essere provata per iscritto”.
In considerazione del fatto che la scadenza dei termini di pagamento è fissata in via ordinaria in 30 giorni, fatta eccezione per gli enti del comparto sanitario e delle imprese pubbliche di cui al decreto legislativo 11 novembre 2003, n. 333 (comparti per i quali il termine è raddoppiato), l’eventuale estensione dei tempi di pagamento oltre tale termine, fino ad un massimo di 60 giorni, deve essere puntualmente giustificata, con prova per iscritto della clausola relativa al termine, in ragione della particolare “natura del contratto” o di “talune sue caratteristiche”, come prescritto dalla normativa di riferimento sopra citata. In ogni caso, nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione, i termini di pagamento non possono essere superiori a 60 giorni.
Considerato che la valutazione del raggiungimento degli obiettivi della M1C1-Riforma 1.11 del PNRR sarà effettuata sia con riferimento all’indicatore del tempo medio di pagamento, che non deve superare i termini massimi consentiti (30 o 60 giorni), che all’indicatore del tempo medio di ritardo (che non deve risultare maggiore di zero), le pubbliche amministrazioni avranno cura, nel confermare nel sistema PCC la data di scadenza delle fatture, di rispettare le prescrizioni previste al riguardo dal decreto legislativo n. 231 del 2002.
Dall’analisi delle fatture ricevute dalle pubbliche amministrazioni nell’anno 2023, sono emerse casistiche di non corretta applicazione del termine di pagamento. In taluni casi, infatti, le pubbliche amministrazioni hanno indicato termini di scadenza che superano il periodo stabilito dalla direttiva europea e dalla legislazione nazionale di recepimento, con evidenze in cui la data di scadenza della fattura superiore ai 30 giorni deriva presumibilmente da errori commessi dall’Amministrazione in fase di registrazione dei documenti contabili.
In considerazione del fatto che le fatture ricevute nel 2024 saranno oggetto di rendicontazione del target del primo trimestre 2025 della M1C1-Riforma 1.11 del PNRR, si invitano codeste Amministrazioni a voler verificare la sussistenza delle condizioni previste dal decreto legislativo n. 231 del 2002 qualora i termini di scadenza indicati siano superiori a 30 giorni. Particolare attenzione dovrà essere riservata alla situazione delle eventuali fatture che riportano termini di scadenza superiori a 60 giorni, non consentiti dalla normativa vigente.
Al riguardo, occorre rammentare che anche laddove l’impresa fornitrice di beni o servizi emetta autonomamente una fattura elettronica con espressa indicazione di una scadenza superiore a 30 giorni, l’amministrazione – in assenza dei richiamati presupposti stabiliti dalla richiamata normativa, adeguatamente documentati e riscontrabili – ai fini del pagamento della fattura, dovrà ricondurre la scadenza al termine di 30 giorni.
Inoltre, appare opportuno ricordare che, in ogni caso, nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione, i termini di pagamento non possono essere superiori a 60 giorni. Pertanto, la fissazione di una scadenza superiore a tale termine risulterebbe illegittima, in quanto contraria al quadro normativo vigente.
Per quanto attiene, poi, alle concrete modalità di conteggio delle scadenze, l’attività di monitoraggio ha evidenziato la presenza di fatture per le quali è possibile presumere che il calcolo sia avvenuto in modo errato. Al riguardo, si rammenta che la data di scadenza deve essere fissata conteggiando i giorni di calendario, senza alcuna esclusione, e a prescindere dal numero di giornate delle mensilità coinvolte. In particolare, non devono essere in alcun modo scomputati i giorni festivi, ovvero i giorni non lavorativi.
Analoga attenzione va posta per tutti quei casi in cui il termine di pagamento viene fissato dall’Amministrazione in misura inferiore ai 30 giorni, soprattutto qualora il pagamento dovesse essere effettuato successivamente a tale termine.
Inoltre, appare opportuno rammentare che in nessun caso il termine di scadenza può essere utilizzato per compensare le fasi, legittimamente previste, di sospensione della fattura. In tali circostanze, è necessario che l’amministrazione proceda alla corretta registrazione della eventuale fase di sospensione delle fatture secondo le modalità di seguito rappresentate.
Infatti, considerato che la tempestiva disponibilità e correttezza delle informazioni riguardanti la contabilizzazione dei documenti nei sistemi informativi sono essenziali per consentire al sistema PCC l’elaborazione di indicatori attendibili per la valutazione del livello e della dinamica dei tempi di pagamento e dello stock di debiti commerciali, è necessario che le amministrazioni pubbliche procedano ad una corretta registrazione della eventuale fase di sospensione delle fatture.
In tal senso, si rammenta che, in fase di utilizzo di tale funzionalità, sarà cura della singola Amministrazione individuare la motivazione per cui si sta attivando la sospensione della fattura selezionando una delle quattro tipologie presenti a sistema:
1. sospeso per contenzioso,
2. sospeso per contestazione (eventuali elementi previsti dal contratto la cui presenza è necessaria ai fini dell’esigibilità del credito);
3. adempimenti normativi (a titolo esemplificativo e non esaustivo, la ritenuta dello 0,5 per cento prevista dell’articolo 11 del nuovo codice dei contratti pubblici);
4. verifica di conformità (volta a conseguire l’attestazione di regolare esecuzione del contratto, compresa l’ipotesi in cui la fattura sia ricevuta dal debitore in data antecedente alla prestazione del servizio o consegna del bene);
In ordine a quanto sopra, è utile rammentare che, con riferimento alle situazioni di “contenzioso” o “contestazione”, che giustificano la sospensione dei termini di pagamento – come desumibile dall’articolo 9, comma 5, del DPCM 22 settembre 2014, recante “Definizione degli schemi e delle modalità per la pubblicazione su internet dei dati relativi alle entrate e alla spesa dei bilanci preventivi e consuntivi dell’indicatore annuale di tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni” – “sono esclusi dal calcolo i periodi in cui la somma era inesigibile essendo la richiesta di pagamento oggetto di contestazione o contenzioso”.
Al riguardo, appare opportuno precisare che la suddetta inesigibilità, per ragioni di certezza giuridica e conformemente al dettato normativo sopra richiamato, deve ricollegarsi esclusivamente alla sussistenza di puntuali contestazioni stragiudiziali o di specifico contenzioso in sede giudiziaria in relazione alle singole fatture o richieste di pagamento che si intende escludere dal calcolo dell’indicatore, non ritenendosi, invece, sufficiente che sia dedotta una generica, anche se complessiva, situazione di conflittualità tra il soggetto debitore (o presunto tale) e la società creditrice, emittente la fattura.
Per quanto concerne, poi, la sospensione del pagamento nelle more della verifica di conformità della merce o dei servizi al contratto, non si tralascia di ricordare che l’articolo 4, comma 6, del decreto legislativo n. 231 del 2002, prevede espressamente che: “Quando è prevista una procedura diretta ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto essa non può avere una durata superiore a trenta giorni dalla data della consegna della merce o della prestazione del servizio, salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle parti e previsto nella documentazione di gara e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi dell’articolo 7. L’accordo deve essere provato per iscritto”.
Pertanto, la procedura di accertamento della conformità, ove prevista, deve avere, di regola, una durata non superiore a trenta giorni, a meno che le parti non concordino un diverso termine espressamente nel contratto e nella documentazione di gara e sempreché ciò non sia gravemente iniquo ai sensi del citato articolo 7 del decreto legislativo n. 231 del 2022.
Si ritiene che non rientrino nelle legittime cause di sospensione delle fatture tutte quelle condizioni in cui il ritardo di pagamento dell’Amministrazione dipenda da motivazioni interne alle procedure amministrative-contabili della pubblica amministrazione, comprese quelle derivanti dal ritardo nei trasferimenti di risorse finanziarie tra i diversi livelli di governo.
Si rende opportuno, inoltre, sottolineare che la Commissione europea, ai fini di ogni eventuale verifica, potrà accedere a un database, alimentato con i dati della PCC, contenente le informazioni elementari necessarie e sufficienti per il calcolo degli indicatori sui tempi di pagamento, nel rispetto dei limiti imposti dalla normativa sulla privacy.
Con riferimento all’eventuale rifiuto delle fatture elettroniche da parte delle pubbliche amministrazioni, si ricorda che, dal 6 novembre 2020, è in vigore il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 24 agosto 2020, n. 132, che definisce le motivazioni consentite per poter rifiutare fatture ricevute tramite il Sistema di Interscambio (SdI).
Le amministrazioni pubbliche dovranno motivare l’esito del rifiuto riportando nel campo “Descrizione della Notifica esito committente” una delle cinque motivazioni previste dal decreto:
1. fattura riferita ad una operazione che non è stata posta in essere in favore della pubblica amministrazione destinataria della trasmissione del documento;
2. omessa o errata indicazione del Codice identificativo di Gara (CIG) o del Codice unico di Progetto (CUP), da riportare in fattura;
3. omessa o errata indicazione del codice di repertorio per i dispositivi medici e per i farmaci;
4. omessa o errata indicazione del codice di Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) e del corrispondente quantitativo da riportare in fattura per i farmaci;
5. omessa o errata indicazione del numero e data della Determinazione Dirigenziale d’impegno di spesa per le fatture emesse nei confronti delle Regioni e degli enti locali.
Da ultimo, nel richiamare le amministrazioni a vigilare sulla corretta applicazione dei termini di scadenza da parte dei funzionari responsabili, si segnala che è in corso un’analisi circa la possibilità di un ulteriore potenziamento delle procedure di controllo, anche attraverso l’individuazione di soluzioni tecnologiche, per escludere scadenze superiori a 60 giorni e subordinare l’indicazione di scadenze superiori a 30 giorni ad un atto esplicito di assenso, da parte del funzionario responsabile, con l’obbligo di indicazione della motivazione.
4. Adempimenti degli organi di controllo di regolarità amministrativa e contabile
Affinché sia assicurato che il ricorso all’utilizzo della facoltà prevista dall’articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 231 del 2002 (che recepisce l’articolo 4, paragrafo 6, della Direttiva n. 2011/7/UE) e illustrata nel paragrafo 3 , avvenga nei limiti dei presupposti fissati dalla legge, si sottolinea la necessità che siano svolti in merito adeguati controlli a presidio del pieno rispetto delle prescrizioni dettate dalla normativa unionale.
Pertanto, gli organi di controllo di regolarità amministrativa e contabile, nell’ambito dei rispettivi contesti di applicazione, sono tenuti a verificare, nei pagamenti delle fatture, la corretta applicazione delle disposizioni recate dal citato articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 231 del 2002, tenendo presente, in particolare, che:
a) le scadenze di fatture superiori a 60 giorni dalla data di ricevimento non sono, in alcun caso, ammissibili;
5. il calcolo della data di scadenza deve essere basato sui giorni di calendario effettivi, senza alcuna esclusione (ad es. giorni festivi);
6. eventuali scadenze superiori a 30 giorni (e comunque non superiori a 60 giorni) dalla data di ricevimento della fattura sono consentite esclusivamente – fatta eccezione per i pagamenti degli enti del comparto sanitario – in presenza dei requisiti previsti dall’articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 231 del 2002, i quali devono essere chiaramente documentati e riscontrabili;
7. anche qualora l’impresa indicasse in fattura un termine di pagamento superiore a 30 giorni, in assenza dei presupposti di legge indicati dalla Direttiva n. 2011/7/UE (articolo 4, paragrafo 6) e dalla normativa nazionale di recepimento (articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 231 del 2002), l’Amministrazione dovrà necessariamente ricondurre il termine di scadenza della fattura a 30 giorni dalla data di ricevimento.