MINISTERO INTERNO – Circolare 02 novembre 2018
Art. 34-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Problematiche interpretative ed applicative. Quesito
Si fa riferimento alla nota sopradistinta con la quale codesta Prefettura, da un lato, esprime preoccupazione circa gli effetti, sul piano della prevenzione amministrativa antimafia, della disposizione di cui all’art. 34-bis, comma 7, del Codice antimafia, e, dall’altro, sollecita un chiarimento in relazione a taluni aspetti applicativi del nuovo istituto.
Al riguardo, si ritiene di svolgere le seguenti considerazioni.
Come si è avuto modo di chiarire con circolare del 19 gennaio u.s., il controllo giudiziario è stato inserito dall’art. 11 della legge 17 ottobre 2017, n. 161, nel Capo V del Codice antimafia, dedicato alle misure di prevenzione patrimoniale diverse dalla confisca.
Esso consiste in una vigilanza prescrittiva condotta dal commissario nominato dal Tribunale, al quale viene affidato il compito di monitorare all’interno dell’azienda l’adempimento di una serie di obblighi di compliance imposti dal giudice.
La Suprema Corte di Cassazione (NOTA 1) ha correttamente evidenziato che “l’ammissione al controllo giudiziario, per un’impresa raggiunta da una “interdittiva prefettizia”, non può accettare alcun automatismo … altrimenti lo scrutinio sarebbe meramente formale e l’accesso al “controllo giudiziario” si tradurrebbe in un diritto potestativo dell’impresa”. Ne discende che, il Tribunale, chiamato a pronunciarsi sulla ricorrenza dei relativi presupposti, lungi dal limitarsi a quelli processuali, deve necessariamente considerare i caratteri dell’istituto, come indicati dal comma 1 dell’art. 34-bis.
Per quanto riguarda poi la prassi applicativa, richiamata anche da codesta Prefettura, si rileva che, secondo la magistratura procedente, lo strumento in esame può trovare applicazione su iniziativa dell’operatore interessato solo quando “l’informazione interdittiva antimafia sia stata adottata in relazione a situazioni fattuali in cui il tentativo o pericolo di infiltrazione o condizionamento delle scelte imprenditoriali sia di modesta e ridotta intensità, e, in ogni caso, tale da rendere possibile o consentire la eliminazione delle anomalie riscontrate mediante interventi attuati all’interno e dall’interno” (NOTA 2) dell’azienda.
In altre parole, il giudice “deve formulare un giudizio prognostico sulla capacità dell’impresa di svolgere dall’interno un’adeguata e idonea azione di bonifica volta all’eliminazione di quelle situazioni segnalate dal Prefetto come indicative o sintomatiche del pericolo di infiltrazione/condizionamento/contaminazione mafiosa dell’impresa” (NOTA 3).
A ciò si aggiunge che, anche dopo l’adozione del decreto di ammissione al controllo giudiziario, il Tribunale conserva rilevanti poteri di intervento nei confronti dell’azienda, potendo, tra l’altro, disporre, qualora ne ricorrano i presupposti, altre misure di prevenzione patrimoniali e la stessa revoca del controllo giudiziario.
Alla luce delle suddette considerazioni, si ritiene che la previsione di cui all’art. 34-bis, comma 7, riconoscendo al citato provvedimento l’effetto della sospensione dell’informazione antimafia interdittiva con la conseguenza che l’impresa ritorna “in bonis”, non comprometta le finalità di prevenzione della legislazione amministrativa antimafia.
Al contrario, l’istituto è stato introdotto nell’ordinamento proprio per promuovere il recupero delle imprese infiltrate dalle organizzazioni criminali attraverso una equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, vale a dire, la libertà di impresa, da un lato, e la salvaguardia della legalità sostanziale delle attività economiche dalle infiltrazioni mafiose, dall’altro (NOTA 4).
Tanto premesso, si condivide l’opportunità di assicurare una qualificata interlocuzione con la magistratura procedente in ordine alla individuazione dei “soggetti interessati” alla vicenda da sentire in camera di consiglio ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6. Siffatta partecipazione, infatti, consentirà di fare emergere in quella sede il patrimonio info-investigativo dal quale è scaturita la valutazione di un livello di compromissione della governance aziendale tale da motivare la misura interdittiva, garantendo all’Autorità giudiziaria un più completo quadro informativo in vista delle decisioni da assumere.
Passando, quindi, all’esame delle problematiche applicative segnalate, viene, innanzitutto, sollecitato un chiarimento circa gli adempimenti cui la Prefettura è tenuta a seguito del decreto con il quale l’impresa interdetta è ammessa al controllo giudiziario.
In proposito, si ricorda che, secondo l’espressa formulazione normativa, il suddetto provvedimento “sospende gli effetti” delle informazioni adottate. Pertanto, non si configura in capo all’amministrazione alcun onere ulteriore se non quello di far emergere l’intervenuta sospensione dalla consultazione della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia.
A tal fine, il Dipartimento in indirizzo vorrà verificare che l’architettura della BDNA risulti coerente con la suindicata esigenza, apprestando, se necessario, gli interventi ritenuti idonei.
Altra questione evidenziata concerne l’ipotesi di un operatore economico destinatario sia di informazione interdittiva che di diniego di iscrizione nella white list, il quale, una volta ammesso al controllo giudiziario, reclami l’iscrizione nei citati elenchi prefettizi.
In questo caso, si chiede di conoscere se occorra procedere alla medesima iscrizione oppure confermare il rigetto dell’istanza in mancanza di elementi nuovi che modifichino la valutazione precedentemente espressa.
Al riguardo, valgono le considerazioni già svolte nella circolare pari classifica del 22 marzo decorso, che si richiamano integralmente.
Se, infatti, la consultazione dell’elenco è la modalità obbligatoria attraverso la quale deve essere acquisita la documentazione antimafia per le attività a rischio, un eventuale rifiuto dell’iscrizione finirebbe con il vanificare la sospensione disposta dal Giudice, la cui finalità è proprio quella di incentivare l’adesione spontanea dell’impresa a questo nuovo strumento di autodepurazione dalle infiltrazioni criminali consentendole di continuare ad operare nei rapporti con la pubblica amministrazione.
Nel procedere all’iscrizione, tuttavia, è opportuno che il Prefetto annoti di avere così provveduto per effetto della misura adottata dal Tribunale ai sensi della norma in commento.
Si sottolinea, altresì, la necessità di monitorare con particolare attenzione la posizione dell’impresa iscritta, alla luce non solo dell’esito dell’impugnazione proposta avverso il provvedimento interdittivo che la riguarda ma anche degli sviluppi del procedimento di prevenzione instauratosi nei suoi confronti.
Tanto si rappresenta, ritenendo di partecipare quanto sopra a tutte le Prefetture al fine di fornire un utile contributo interpretativo su temi di comune interesse.
—
(1) Corte di Cassazione Penale, Sez. 5, n. 34526/2018.
(2) Cfr. Tribunale di Catanzaro, Sezione seconda penale, Misure di prevenzione, n. 5/2018.
(3) Cfr. Tribunale di Catanzaro, Sezione seconda penale, Misure di prevenzione, n. 23/2018.
(4) Cfr. TAR per la Sicilia, Sez. prima, n. 1638/2018.
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