MINISTERO LAVORO E POLITICHE – Nota 03 maggio 2019, n. 4096
Quesiti assetti proprietari (art. 4) e cariche sociali (art. 7) – Riscontro
Si riscontra con la presente la nota pervenuta in data 16 aprile 2019 e acquista al prot. n. 3789 del 16.04.2019, con cui la S.V, in qualità di amministratore di un’associazione avente la qualifica di impresa sociale, ha chiesto chiarimenti su quanto disposto dall’art. 4 del d. lgs. 112/2017 circa la struttura proprietaria e la disciplina dei gruppi e dall’art. 7 in merito alla disciplina delle cariche sociali.
In particolare, è stato chiesto alla scrivente di pronunciarsi sui seguenti quesiti:
“1. Nel caso in cui l’Associazione xxxxx impresa sociale avesse un unico socio nella forma di Consorzio senza scopo di lucro, la cui composizione vedesse il 68% dei soci profit, il cui CdA è espresso da rappresentanti dei soci profit, si può ritenere che tale impresa sociale sia sotto il controllo di soggetti profit? In tale caso l’Associazione può ancora qualificarsi come impresa sociale?;
2. (…) Assunto che i rappresentanti di soggetti profit, soci e controllori dell’impresa sociale, non possono assumere la carica di Presidente, l’assunzione di questa carica si deve intendere preclusa in senso generale a qualunque rappresentante di soggetto profit? La norma va interpretata in modo estensivo o è ammissibile la possibilità che un rappresentante di un soggetto profit possa essere Presidente? Inoltre, se da statuto i poteri previsti per il Presidente, possono essere assunti anche da un vicepresidente in assenza del primo, il requisito previsto per il Presidente va assunto anche per il vicepresidente?”.
In primo luogo, è necessario segnalare in questa sede che la presenza di un socio unico, ancorché di natura consortile, non appare compatibile con la stessa natura giuridica di associazione come delineata nel codice civile; in secondo luogo, la genericità dei quesiti sottoposti consente di fornire delle indicazioni e degli orientamenti di carattere necessariamente generale che possono rendere necessaria, ai fini della soluzione del caso concreto, la verifica puntuale delle situazioni concrete ai fini dell’interpretazione delle richiamate norme del d. lgs. 112/2017.
Per riscontrare i suddetti quesiti, appare quindi opportuno considerare il contenuto delle disposizioni di cui agli artt. 4 e 7 del decreto, facendo sempre riferimento alla ratio sottesa alla normativa dell’impresa sociale.
Appare evidente che il legislatore non ha inteso disciplinare un nuovo modello di ente caratterizzato da una struttura organizzativa tipica, bensì delineare una qualificazione giuridica applicabile a forme giuridiche già esistenti e tipizzate (associazioni, comitati, fondazioni, s.r.l., s.p.a., società cooperative), nel presupposto che tutte possano essere astrattamente idonee a produrre utilità sociale nel rispetto delle norme di legge poste a presidio della realizzazione delle attività volute dal legislatore.
Il legislatore consente pertanto l’adozione di un qualunque modello organizzativo che risulti conforme allo svolgimento in via stabile e principale di un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro, volta al perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, conformando l’autonomia privata mediante la previsione di alcuni requisiti e di talune limitazioni ai fini dell’assunzione della qualifica.
L’assenza dello scopo di lucro è espressamente prevista dall’art. 1 del d. lgs. 112/2017 quale requisito essenziale ai fini della qualificazione di un ente quale impresa sociale; il lucro cui si fa riferimento è il lucro soggettivo e non quello oggettivo: quest’ultimo corrisponde al profitto d’impresa ed è legato al normale svolgimento dell’attività organizzata in forma di impresa, mentre ciò che la norma intende vietare è l’arricchimento personale ed egoistico da parte di soggetti che, a vario titolo, partecipano all’attività d’impresa. L’art. 3 dispone pertanto che l’impresa sociale destini eventuali utili e avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio sociale, che deve intendersi come vincolato in ragione delle specifiche finalità di carattere solidaristico e di utilità sociale dello stesso; in questa stessa ottica, l’art. 12 del d. lgs. 112/2017 prevede che in caso di scioglimento volontario o perdita della qualifica di impresa sociale il patrimonio residuo debba essere devoluto in favore di altri enti del terzo settore in grado di perseguire le finalità di legge.
Non alterano il quadro generale le disposizioni che, con riferimento alle imprese sociali costituite in forma societaria, prevedono limitate attenuazioni al principio sopra esposto, come l’art. 3 comma 3 del decreto legislativo che consente ai suddetti enti di remunerare in misura limitata il capitale conferito dai soci attraverso la distribuzione di dividendi utilizzando a tale fine una quota inferiore al 50% dei propri utili e avanzi di gestione, dedotte le eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti; o come l’art. 12 comma 5 dello stesso, che in caso di devoluzione, consente preliminarmente ai soci di recuperare il capitale effettivamente versato, eventualmente rivalutato o aumentato, nonché i dividendi deliberati e non distribuiti, anche qui nei limiti specificati all’art. 3 comma 3 lettera a) sopra richiamato.
Il medesimo divieto di perseguire finalità di lucro soggettivo è alla base dei limiti, posti dal legislatore all’art. 4 del d. lgs. 112/ 2017, all’esercizio di attività di direzione, coordinamento e controllo da parte, fra gli altri, di soggetti con finalità lucrative che potrebbero condizionare ed eludere gli obiettivi assegnati dalla normativa all’impresa sociale, per il perseguimento di finalità speculative estranee alla stessa.
Il richiamato art. 4 pone il divieto per gli enti con scopo di lucro, di esercitare “attività di direzione e coordinamento o detenere, in qualsiasi forma, anche analoga, congiunta o indiretta, il controllo di un’impresa sociale ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile”.
Dunque, il fatto che il legislatore, nel definire le limitazioni previste dall’art. 4 comma 3 del d. lgs. 112/2017, abbia utilizzato espressioni volutamente ampie, inserendole nel più ampio contesto normativo sopra descritto, deve ritenersi finalizzato ad escludere a monte la possibilità che soggetti aventi natura e finalità incompatibili con quelle proprie dell’impresa sociale siano in grado, anche solo potenzialmente, di distogliere quest’ultima dal perseguimento delle proprie finalità originarie.
Orbene, in riscontro al primo quesito, la asserita presenza all’interno degli assetti proprietari, formalmente attraverso la partecipazione ad un consorzio senza scopo di lucro, di soggetti “for profit” in misura consistente e anzi, nel caso concreto, ampiamente maggioritaria, fa sì che l’impresa sociale si trovi di fatto sottoposta al controllo di soggetti aventi una natura giuridica incompatibile con quella dell’impresa sociale stessa, data l’ampiezza e la variabilità delle situazioni preclusive individuabili ai sensi del richiamato art. 4 comma 3 del d. lgs. 112/2017: né sembra sufficiente ad annullare il rischio, la configurazione della pluralità di imprese profit come consorzio formalmente privo di scopo di lucro. Si ricorda che il comma 4 dell’art. 4 prevede l’annullabilità delle decisioni assunte in violazione del divieto di cui al comma 3.
Per quanto riguarda il secondo quesito, la norma di cui all’art. 7 comma 2 del d. lgs. 112/2017 deve essere intesa nel senso che le cariche sociali differenti dalla Presidenza dell’ente possono essere assunte anche da soggetti nominati da enti aventi scopo di lucro, purché non si configuri la possibilità che attraverso di esse sia violato il divieto previsto dall’art. 4 comma 3. Difatti, la limitazione posta dall’art. 7 comma 2 più che ad ottenere che a qualsiasi soggetto espressione di un ente for profit sia preclusa la possibilità di rivestire cariche sociali diverse dalla presidenza, è volta, in conformità e unitamente al divieto previsto dall’art. 4 comma 3 del d. lgs. 112/2017, a prevenire lo sviamento dell’impresa sociale dalle finalità di legge.
Infine, con riferimento alla carica di vicepresidente dell’impresa sociale, qualora questi, conformemente allo statuto, possa in caso di assenza del presidente, assumerne i relativi poteri e conseguentemente la relativa capacità di influenzare o indirizzare l’impresa, si ritiene che anche relativamente a quest’ultimo valgano le medesime considerazioni sopra formulate circa l’interpretazione dell’art. 7 comma 2 del d. lgs. 112/2017.
Si resta a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti.
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