MINISTERO LAVORO E POLITICHE SOCIALI – Nota 04 maggio 2020, n. 3979
Richiesta chiarimenti perdita volontaria della qualifica di impresa sociale – Riscontro
Con nota del 4 marzo 2020, codesto spett. le studio legale ha chiesto chiarimenti in merito alle modalità di calcolo del patrimonio residuo ai fini della devoluzione prescritta dall’art. 12 comma 5 del d. lgs. n. 112/2017 a carico di una s.r.l., in possesso della qualifica di impresa sociale sin dal momento della sua costituzione. La società starebbe valutando di rinunciare volontariamente alla qualifica di impresa sociale senza sciogliersi, così come attualmente previsto dalla normativa di riferimento.
Nel rappresentare che la società, durante i suoi anni di attività non avrebbe mai usufruito di regimi fiscali agevolati, “avendo sempre tassato tutti gli utili prodotti in applicazione delle ordinarie norme del TUIR che regolano il reddito di impresa” (presumibilmente in mancanza di disposizioni ad hoc nel regime preesistente del d.lgs. 155/2006 e considerata altresì l’impossibilità di usufruire dell’applicazione delle agevolazioni previste attualmente dal d.lgs. 112/2017, non ancora efficaci), codesto studio legale chiede di sapere se, qualora decida di rinunciare volontariamente alla qualifica di impresa sociale senza sciogliersi, la società propria assistita debba comunque devolvere il patrimonio sociale secondo le modalità previste dall’art. 12 comma 5 del d. lgs. n.112/2017; in caso di risposta affermativa, se per il calcolo del patrimonio residuo possa farsi riferimento alle indicazioni fornite dall’atto di indirizzo dell’ex Agenzia per il Terzo settore del 7 maggio 2008 “in relazione alla devoluzione del patrimonio a seguito della perdita della qualifica di Onlus senza scioglimento dell’ente”.
Per comprendere il quesito si ritiene di dover precisare che tale atto di indirizzo, in linea con gli orientamenti contenuti nella Circolare n. 59 del 31 ottobre 2007 emanata dall’Agenzia delle entrate, si richiamava al principio per cui “ogni qualvolta un ente perde la qualifica di Onlus, senza che ne derivi lo scioglimento… il vincolo devolutivo graverà solo sulla parte di patrimonio incrementatasi in regime agevolato”; a tal fine si rendeva necessaria “una valutazione comparativa del patrimonio in due distinti momenti (acquisizione e perdita della qualifica di Onlus) al fine di poter applicare il vincolo alla sola parte che si è accresciuta grazie ai benefici derivanti dalla qualifica in parola”.
In sostanza, da quel che si comprende, si chiede di pronunciarsi circa la possibilità di disapplicare le disposizioni in materia di devoluzione assumendo che le stesse sarebbero condizionate all’esistenza di un regime agevolativo in grado di determinarne un effettivo incremento, considerato che da un lato la normativa previgente in materia di impresa sociale non prevedeva un regime fiscale agevolato, dall’altro quella attuale ha individuato alcune misure agevolative tuttavia ancora non in vigore.
Preliminarmente, occorre precisare che, in assenza di riferimenti specifici, non conoscendo le generalità della società, né la data di costituzione della stessa, si presume che la stessa sia in possesso di regolare iscrizione presso l’apposita sezione speciale del registro imprese, iscrizione avente natura costitutiva ai fini dell’attribuzione della qualifica e del conseguente assoggettamento al regime devolutivo. Non è stato specificato, ma si desume, che la società sia stata costituita in vigenza del d. lgs. n. 155/2006, mantenendo poi la qualifica all’entrata in vigore del successivo d. lgs. n. 112/2017, il quale, nel revisionare la normativa del 2006, ha innovato parzialmente la disciplina della devoluzione e introdotto per la prima volta alcune agevolazioni peraltro non ancora operanti. In proposito, e in via del tutto generale, si osserva che nessuna delle due qualificazioni – Onlus e impresa sociale – identifica un tipo normativo autonomo nell’ordinamento giuridico, trattandosi di qualifiche che determinate categorie di enti privati (elencati nei rispettivi decreti legislativi) possono assumere in presenza di determinate condizioni.
Quella di Onlus (art. 10 D. Lgs. n. 460/1997) rappresenta una categoria qualificante ai soli fini fiscali, a cui si sono ricollegate sin dal primo momento varie agevolazioni o esenzioni fiscali a fronte delle quali l’ente, in possesso di determinate caratteristiche, veniva assoggettato ad un regime particolare comprendente obblighi, divieti e sanzioni specifiche; quella di impresa sociale (introdotta per la prima volta dal d. lgs. n. 155/2006 e poi revisionata dal d. lgs. n. 112/2017) è invece una qualificazione giuridica, che prevede la sottoposizione dell’ente ad una serie di vincoli e disposizioni che riguardano non solo gli ambiti di attività e l’assenza di scopo di lucro, ma ulteriori prescrizioni e regole di azione finalizzate, in concorso tra loro, a delineare un nuovo modello di “fare impresa”. Prova della loro differente natura era la possibilità di cumulare entrambe le qualificazioni in capo allo stesso soggetto giuridico, con conseguente operatività di quanto previsto dall’art. 17, comma 1 del d. lgs. n. 155/2006: le Onlus che avessero acquisito anche la qualifica di impresa sociale avrebbero continuato ad applicare le specifiche disposizioni tributarie previste dal d. lgs. n. 460/1997, subordinatamente al rispetto dei requisiti soggettivi e delle altre condizioni ivi previsti; il d. lgs. n. 112/2017 non ha riproposto analoga disposizione avendo la riforma del terzo settore avviata con la l. 106/2016 e proseguita con la normazione delegata previsto il superamento della disciplina in materia di Onlus, la cui efficacia cesserà con le modalità e la tempistica definite dal Codice del Terzo settore. Trattandosi di diversi istituti non assimilabili ma eventualmente in grado di coesistere, il ricorso allo strumento dell’analogia non risulta appropriato.
Per quanto riguarda, nello specifico, la disciplina dell’impresa sociale, è noto come il d. lgs. n. 155/2006 non prevedesse alcuna misura fiscale, pur prevedendo invece l’obbligo della devoluzione del patrimonio residuo in caso di cessazione dell’impresa; successivamente, il d. lgs. n. 112/2017 ha introdotto alcune agevolazioni di natura fiscale ed ha altresì modificato la disciplina della devoluzione, attualmente prevista sia per i casi di scioglimento che di perdita volontaria della qualifica di impresa sociale, con appositi criteri per la determinazione del patrimonio residuo nel solo caso di enti costituiti in forma societaria (recupero delle quote di capitale versato).
Pertanto, considerato che l’acquisizione della qualifica di impresa sociale è un atto volontario, necessariamente l’adesione al regime posto dal d. lgs. n. 112/2017 (e prima di questi dal d. lgs. n. 155/2006) comporta l’assoggettamento rispetto a tutte le disposizioni ivi previste, ivi incluse quelle sulla devoluzione.
Laddove, difatti, la società in questione si fosse costituita in pendenza del d. lgs. n. 155/2006, acquisendo contestualmente la qualifica, avrebbe saputo sin dal primo momento di essere sottoposta all’obbligo di devoluzione e che questa – così come gli ulteriori vincoli posti dal decreto legislativo sull’impresa sociale – non sarebbe stata controbilanciata da alcun favore di natura fiscale. Solo in caso di coesistenza della qualifica anche con la normativa in materia di Onlus, la legge stessa individuava tra i due regimi quello fiscale da applicare in via prioritaria.
Nel caso in cui, invece, la società-impresa sociale si sia costituita dopo l’entrata in vigore del d. lgs. n. 112/2017, l’acquisizione volontaria della qualifica non poteva che implicare la consapevolezza che l’efficacia delle nuove misure fiscali introdotte dalla riforma sarebbe stata subordinata a determinate condizioni (l’autorizzazione della commissione europea in primis), essendo invece applicabile da subito il regime devolutivo nei casi e alle condizioni previste, regime operante in maniera del tutto autonoma rispetto al regime fiscale e alla sua efficacia. Tuttavia, innovando rispetto a passato, possiamo dire come tale obbligo sia stato diversamente declinato, consentendo sia nei casi di scioglimento dell’ente che di (sola) perdita della qualifica di impresa sociale alle imprese sociali costituite in forma societaria, la previa deduzione del capitale effettivamente versato dai soci, eventualmente rivalutato o aumentato e dei dividendi deliberati e non distribuiti nei limiti di cui all’art. 3 comma 3 lett. a del d. lgs. n. 112/2017.
Dati i profili di specialità che caratterizzano le due differenti qualificazioni e considerata l’esistenza di specifiche e differenti regole sulla devoluzione applicabili a ciascuno dei due istituti, risulta problematico asserire che singole disposizioni relative ad uno di essi siano suscettibili di applicazione estensiva all’altro, che non presenta lacune nel proprio regime di riferimento, in quanto interamente regolato da disposizioni compiute; nel caso de quo, ciò sarebbe ancor più arduo da ipotizzare in quanto avrebbe ad oggetto indirizzi interpretativi fissati in una circolare (dell’Agenzia delle entrate) e in un atto di indirizzo (dell’ex Agenzia per le Onlus) su alcune aree Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Direzione Generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese tematiche sollevate specificatamente per le Onlus, dunque non suscettibili di applicazione analogica.
Inoltre, non secondaria ai fini dell’attuale valutazione è la considerazione che la perdita della qualifica di impresa sociale non sarebbe limitata al solo aspetto fiscale, il che renderebbe la determinazione del patrimonio residuo vincolata a dati parametrabili; a prescindere dalla attuale inoperatività del regime delle agevolazioni fiscali (o come nel caso del precedente quadro normativo, dall’assenza di esse) non si può escludere che un’impresa, durante il periodo di possesso della qualifica di impresa sociale, abbia per questo motivo ricavato dei benefici di diversa natura e origine (ad esempio sotto forma di contributi e/o finanziamenti regionali, nazionali o comunitari, accessibili specificamente ad imprese sociali); anche in tali casi le agevolazioni avrebbero potuto incidere sull’ammontare del patrimonio sociale, seppure non agevolmente determinabili nel loro ammontare.
Dunque, tenuto conto di tali elementi, si ritiene che il calcolo del patrimonio residuo per la devoluzione delle imprese sociali debba necessariamente essere effettuato sulla base delle sole prescrizioni contenute nell’art. 12 comma 5 del d. lgs. n. 112/2017; la specialità delle prescrizioni in materia di imprese sociali infatti, oltre a comportare l’impossibilità di assimilazione alle Onlus, comporta anche l’inapplicabilità di quanto previsto dall’articolo 50 del Codice del Terzo settore per la generalità degli altri enti (tale ultimo articolo riprende, formalizzandoli in diritto positivo, i precedenti orientamenti interpretativi dell’Agenzia delle entrate richiamati da codesto Studio legale).
Ciò senza tenere in conto un’ulteriore ragione preclusiva, del tutto assorbita dalle precedenti considerazioni: da quanto rappresentato, nel caso prospettato, non sarebbe possibile distinguere un patrimonio “ante qualifica” da un patrimonio “post qualifica”, dato che l’acquisizione della qualifica stessa è stata contestuale alla costituzione della società.
Per tali ragioni e in riscontro ai quesiti formulati, ogni qualvolta un’impresa sociale deliberi di perdere volontariamente la qualifica posseduta senza contestualmente sciogliersi dovrà devolvere il proprio patrimonio residuo attenendosi al combinato disposto dell’art. 12 comma 5 del d. lgs. n. 112/2017 e dell’art.6 del decreto ministeriale attuativo n. 50/2018; inoltre, alla luce delle considerazioni sopra svolte, le indicazioni fornite nel richiamato atto di indirizzo del 2008 dell’ex Agenzia delle Onlus con riferimento a un vincolo devolutivo parziale non possono ritenersi applicabili per analogia alle imprese sociali, il cui ammontare di patrimonio residuo ai fini della devoluzione dovrà essere determinato secondo i soli criteri forniti dall’art. 12 comma 5 d. lgs. n. 112/2017.
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