MINISTERO LAVORO E POLITICHE SOCIALI – Nota 29 aprile 2013, n. 7553
Art. 17 lett. b) e c) DLgs 151/01 così come modificato dalla legge 4 aprile 2012 n. 35 – Interdizione lavoratrici madri
Con nota prot. 8712 del 08/06/2012 questa Direzione ha fornito i primi chiarimenti in ordine alle modifiche apportate dalla legge 4 aprile 2012 n. 35 e ha chiesto a codesti uffici di provvedere al monitoraggio dei provvedimenti rilasciati.
Sulla base della disamina dei dati pervenuti, si ritiene necessario, al fine di uniformare l’attività di codesti uffici, fornire ulteriori chiarimenti in merito all’argomento.
La nominatività del provvedimento è individuata nell’art. 17, 2) comma del D.Lgs 151/01 laddove ricorrano i presupposti di fatto e di diritto costituti dalle seguenti condizioni:
– che l’attività svolta dalla lavoratrice rientri nelle previsioni di cui all’art. 7 commi 1 e 2;
– che sia verificata l’impossibilità di spostamento ad altre mansioni.
In merito all’art. 7 si precisa, anzitutto, che per esso valgono le disposizioni, ancora vigenti, del DPR 1026/76 quale regolamento di attuazione della Legge 1204/71 ed in particolare dell’art. 3 della medesima legge testualmente riportato nel corpo dell’art. 7 del D. Lg 151/01.
Ai commi 1 e 2 dell’art. 7 sono individuati i lavori vietati per i quali è prescritto lo spostamento ad altre mansioni. In relazione alle suddette previsioni risultano contemperate due ipotesi: il divieto fino a sette mesi dopo il parto, per lavori pericolosi ed insalubri a causa dell’esposizione ad agenti e situazioni che possano risultare pregiudizievoli per un organismo in fase di recupera delle energie fisiche e psichiche perdute nel parto e nell’eventuale Allattamento e il divieto fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro, per le prestazioni che comportano nocumento limitatamente all’andamento della gravidanza.
Il quarto comma ha per oggetto l’attività dell’Ispettorato del lavoro (attuali DTL) con riferimento ai compiti ad esso attribuiti consistenti nell’ordinare lo spostamento della lavoratrice ad altre mansioni quando condizioni di lavoro o ambientali non rientranti nel divieto di cui ai commi precedenti determinino una situazione ugualmente pregiudizievole per la salute.
In tale ipotesi i provvedimenti delle DTL devono essere adottati sulla base di un giudizio che tenga conto contestualmente delle condizioni obiettive dell’ambiente, del lavoro e dello Stato di salute della lavoratrice.
In particolare, si evidenzia che il termine “condizioni ambientali” può essere inteso in senso più ampio e conseguentemente non direttamente legato soltanto alle mansioni svolte ma più in generale alle caratteristiche del conteso ambientale dove è effettuata la prestazione lavorativa.
Pertanto la differenziazione operata dall’art. 17, comma 2 nelle due condizioni di lett. b) e lett. c) opera nella diversificazione sopra richiamata.
Per quanto riguarda gli aspetti temporali del provvedimento interdittivo lo stesso opera per il periodo fino all’astensione di cui alla lettera a), comma 1 dell’articolo 16 ovvero per il periodo di cui all’art. 7, comma 6, (sette mesi dopo il parto).
Ulteriormente si precisa che le condizioni che possano portare all’emanazione del provvedimento, laddove non ricorrono le previsioni di cui all’allegato A e B, sono riconducibili finche a condizioni di rischio evidenziate dal datore di lavoro nell’ambito della valutazione del rischio condotta a norma dell’art. 11 del D.Lgs 151/01 e, a norma del suddetto articolo, a fronte di uno specifico rischio riscontrato il ddl deve indicare anche le misure per l’eliminazione del suddetto ovvero l’impossibilita di adottarle.
In particolare per quest’ultimo aspetto si precisa che come già indicato con circolare 16 dicembre 2002, n. 3328 “…la valutazione del rischio per la sicurezza e la salute delle lavoratrici previste dall’art. 11 del D.Lgs, n. 151/2001, nell’ambito e per gli effetti dell’art. 4 del Decreto Legislativo n. 626/1994, debba avvenire contestualmente alla valutazione dei rischi generali. Detta valutazione preventiva consente al datore di lavoro di informare le lavoratrici, prima ancora che sopraggiunga una gravidanza, dei rischi esistenti in azienda, delle misure di prevenzione e protezione che egli ritiene di dover adottare in tal caso e, quindi, dell’importanza che le dipendenti gli comunichino tempestivamente il proprio stato, in modo che possano essere valutati con immediatezza i rischi specifici e la conseguente opportunità di spostarle ad altre mansioni compatibili con la gestazione e poi con il periodo di allattamento, fino a sette mesi dopo il parto”.
Di fatto quindi la valutazione del rischio fatta dal datore di lavoro costituisce il presupposto sulla base del quale deve essere emesso il provvedimento di interdizione fuori dai casi di cui all’art. 7 commi 1 e 2.
Il comportamento di codesti uffici dovrà quindi tener conto sia delle situazioni di rischio individuati dal datare di lavoro sia delle misure adottate dallo stesso in linea con quanto previsto dall’art. 12 del Dlgs 151/01.
In proposito occorre sottolineare che in tale sede non appare assolutamente opportuno entrare nel merito della valutazione del rischio effettuata dal datore di lavoro.
In casi del tutto eccezionali, ove emergano vistose contraddittorietà, assoluta carenza di adeguati criteri valutativi e assoluta genericità delle risultanze della valutazione, si potrà valutare l’opportunità di interessare la competente azienda sanitaria locale per l’attivazione di una verifica di carattere ispettiva in ordine all’adeguatezza del documento. Indipendentemente da tale evenienza l’ufficio provvedere a rilasciare il richiesto provvedimento interdittivo.
Altresì si rileva che l’impossibilità di spostamento è l’ulteriore condizione unitamente connessa alle condizioni di pregiudizio sopra richiamate per l’adozione del provvedimento. Essa è anche disciplinata da quanto previsto dall’art. 18 comma 6 del DPR 1026/76″ … Ferma restando la facoltà di successivi accertamenti, l’ispettorato del lavoro può disporre immediatamente l’astensione dal lavoro allorquando il datore di lavoro, anche tramite la lavoratrice, secondo la richiamala lettera c) dell’art. 5 della legge, produca una dichiarazione di quest’ultimo nella quale risulti in modo chiaro, sulla base di elementi tecnici attinenti all’organizzazione aziendale, l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni.”
In relazione alle previsioni sopra richiamate si afferma in linea di principio un potere “esclusivo” del datore di lavoro di valutare la fattibilità dello spostamento tenuto che egli è l’unico soggetto in grado di conoscere, in quanto da lui stesso definita in ragione del ruolo rivestito, l’effettiva organizzazione aziendale. Quanto sopra trova conferma nelle previsioni di cui all’art. 12 comma 2 laddove espressamente prevede “…Ove la modifica delle condizioni o dell’orario di lavoro non sia possibile per motivi organizzativi o produttivi, il dolore di lavoro applica quanto stabilito dall’articolo 7, commi 3, 4 e 5”. La motivazione nel provvedimento amministrativo deve, pertanto, far espresso riferimento o alla non sussistenza delle condizioni di cui all’allegato A e B ovvero all’esito della valutazione del rischio nel suo complesso, sia per quanto attiene l’individuazione del rischio che per le misure organizzative e tecniche adottate per la salvaguardia della salute della lavoratrice comprensive dell’eventuale spostamento ad altre mansioni.
Nel caso in cui l’ufficio ritenga sussistente, contrariamente a quanto asserito dal datore di lavoro nel DVR, la possibilità di spostamento ad altra mansione tale evenienza deve costituire la motivazione del provvedimento di diniego ed essere oggetto di esplicita argomentazione a supporto della motivazione e nel rispetto dei principi richiamati nella presente nota circa le limitazioni oggettive delle scelte del datore di lavoro.
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