La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 27675 depositata il 11 dicembre 2013 intervenendo in materia di determinazione del momento impositivo ha stabilito che il momento di effettuazione delle operazioni (come sembrerebbe doversi desumersi dalla rubrica), aliunde rilevanti ai fini IVA (perché aventi ad oggetto le cessioni o le prestazioni di servizi di cui agli artt. 2 e 3 del medesimo decreto), la norma dell’art. 6 d.P.R.633/72 stabilisce le modalità con le quali è possibile individuare un’operazione rilevante ai fini dell’imposta in questione, con la conseguente insorgenza dei connessi obblighi di fatturazione e registrazione. Sicché prima dei momenti previsti dalla norma suindicata, non esiste alcuna operazione che rilevi ai fini IVA, quand’anche rientrante nel novero di quelle dalle quali può scaturire, in astratto, l’obbligazione di imposta in parola, fintanto che non venga a verificarsi, in concreto, uno dei fatti previsti dalla succitata norma dell’art. 6 del decreto cit.
La vicenda ha riguardato la costituzione di un consorzio, lo scopo di realizzare opere di urbanizzazione nei comparti edificatori, con i cui socie erano due società di capitali. Il consorzio utilizzando i finanziamenti, a suo favore, erogati dai due soci venivano utilizzati per il pagamento dei costi di urbanizzazione che poi provvedeva a ribaltare ai soci medesimi, che emettevano, di conseguenza, fattura per i servizi resi ai terzi. Inoltre alla fine di di ciascun esercizio consortile veniva, quindi, approvato il rendiconto consuntivo, determinandosi l’ammontare definitivo dei contributi a carico di ciascun consorziato per l’anno decorso, e procedendosi ai relativi conguagli con i versamenti anticipati, in base al preventivo a suo tempo approvato, con conseguente ribaltamento dei costì sulle imprese associate e relativa fatturazione.
A seguito di processo verbale di constatazione al consorzio veniva notificato un avviso di irrogazione sanzioni per tardiva fatturazione di operazioni imponibili , avendo ritenuto l’Amministrazione finanziaria non corretta la procedura adottata dal consorzio.
Avverso la ricezione dell’atto impositivo il contribuente proponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici non accoglievano le doglianze del ricorrente. Il consorzio impugnava la decisione del giudice di prime cure inanzi alla Commissione Tributaria Regionale che in riforma della sentenza impugnata accoglieva le lamentele del contribuente. In particolare i giudici di appello ritennero tempestivamente emessa la fattura in data 17.2.1997, poiché riferentesi – non ai corrispettivi per costi di lavori di urbanizzazione eseguiti dal Consorzio nell’anno 1996, nell’interesse dei Consorziati, da fatturare ai sensi dell’art. 6, comma 3 e art. 41, comma 6 DPR n. 633/1972, nei termini ivi previsti – bensì ai conguagli dei contributi a carico dei consorziati, da emettere solo a fine esercizio, ossia dopo il 31 dicembre di ogni anno.
Per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure l’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema. Il Fisco lamentava, in particolare, la falsa applicazione degli artt. 6 e 41 DPR n. 633/1972, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c..
Gli Ermellini rigettano il ricorso ritenendo le motivazioni infondate. Infatti, per i giudici di legittimità, il Fisco non ha dimostrato il presupposto che le somme versate, per i soci a titolo di finanziamento, siano invece corrispettivi dei servizi resi dall’ente alla propria consorziata. Pertanto, affermano i giudici del Palazzaccio, gli assunti dell’Amministrazione finanziaria sono, peraltro, erronee e non possono essere condivise.
Inoltre i giudici della cassazione l’articolo 6 del Dpr 633/72 al comma 3 dispone, per quanto concerne le prestazioni di servizi, che “si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo”. Per cui, continuano i giudici, prima di tale momento, per le ragioni suesposte, non sussiste obbligo alcuno di emettere la fattura e di pagare l’imposta, la pretesa fiscale relativa ad una prestazione di servizi non può prescindere, in mancanza dì fatturazione o autofatturazione spontanea, dall’accertamento – da parte dell’Amministrazione – che vi sia stato, in concreto, il pagamento di un corrispettivo, a fronte di una prestazione di servizi effettivamente resa dal soggetto IVA (Cass. n. 13209/2009).
Pertanto alla luce di quanto precedentemente scritto, per i giudici della Corte, nel caso di specie risulta di tutta evidenza che la fattura emessa in sede di riaddebito dei costi alle ditte associate, il che avviene – per lo più – a chiusura dell’esercizio sociale, non può essere in alcun modo intesa come adempimento degli obblighi IVA connessi al pagamento del corrispettivo dei servizi resi alla società consorziate, ai sensi degli artt. 3, 6, comma 3 e 21 DPR n. 633/1972.