La Corte costituzionale, con la sentenza n. 170 del 22 giugno 2023, intervenuto a chiarire e precisare il concetto di corrispondenza, ha statuito che “… lo scambio di messaggi elettronici – e-mail, SMS, WhatsApp e simili – rappresenti, di per sé, una forma di corrispondenza agli effetti degli artt. 15 e 68, terzo comma, Cost. non può essere revocato in dubbio.
Posto che quello di «corrispondenza» è concetto ampiamente comprensivo, atto ad abbracciare ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza, questa Corte ha ripetutamente affermato che la tutela accordata dall’art. 15 Cost. – che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza «della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione», consentendone la limitazione «soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge» – prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero, «aprendo così il testo costituzionale alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme della comunicazione riservata» (sentenza n. 2 del 2023). La garanzia si estende, quindi, ad ogni strumento che l’evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale (sentenza n. 20 del 2017; già in precedenza, con riguardo agli apparecchi ricetrasmittenti di debole potenza, sentenza n. 1030 del 1988; sulla libertà del titolare del diritto di scegliere liberamente il mezzo con cui corrispondere, sentenza n. 81 del 1993).
Posta elettronica e messaggi inviati tramite l’applicazione WhatsApp (appartenente ai sistemi di cosiddetta messaggistica istantanea) rientrano, dunque, a pieno titolo nella sfera di protezione dell’art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi. La riservatezza della comunicazione, che nella tradizionale corrispondenza epistolare è garantita dall’inserimento del plico cartaceo o del biglietto in una busta chiusa, è qui assicurata dal fatto che la posta elettronica viene inviata a una specifica casella di posta, accessibile solo al destinatario tramite procedure che prevedono l’utilizzo di codici personali; mentre il messaggio WhatsApp, spedito tramite tecniche che assicurano la riservatezza, è accessibile solo al soggetto che abbia la disponibilità del dispositivo elettronico di destinazione, normalmente protetto anch’esso da codici di accesso o altri meccanismi di identificazione. …”
La stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non ha avuto incertezze nel ricondurre sotto il cono di protezione dell’art. 8 CEDU – ove pure si fa riferimento alla «corrispondenza» tout court – i messaggi di posta elettronica (Corte EDU, grande camera, sentenza 5 settembre 2017, Barbulescu contro Romania, paragrafo 72; Corte EDU, sezione quarta, sentenza 3 aprile 2007, Copland contro Regno Unito, paragrafo 41), gli SMS (Corte EDU, sezioni quinta, sentenza 17 dicembre 2020, Saber contro Norvegia, paragrafo 48) e la messaggistica istantanea inviata e ricevuta tramite internet (Corte EDU, Grande Camera, sentenza Barbulescu, paragrafo 74).
La lettura estensiva e orientata ad attualizzare i richiamati principi fa sì che la garanzia costituzionale coinvolga “ogni strumento che l’evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale” (cfr Corte costituzionale, sentenze nn. 1030/1988, 81/1993 e 20/2017).
Quindi, anche la posta elettronica e i messaggi inviati tramite i sistemi di messaggistica istantanea rientrano nella “sfera di protezione” dell’articolo 15 della Costituzione, risultando assimilabili a lettere o biglietti chiusi.
I giudici costituzionali hanno anche dato risposta alla circostanza se mantengano la natura di corrispondenza anche i messaggi di posta elettronica e WhatsApp già ricevuti e letti dal destinatario, ma conservati nella memoria dei dispositivi elettronici del destinatario stesso o del mittente ribadendo che “… analogamente all’art. 15 Cost., quanto alla corrispondenza della generalità dei cittadini, anche, e a maggior ragione, l’art. 68, terzo comma, Cost. tuteli la corrispondenza dei membri del Parlamento – ivi compresa quella elettronica – anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo, essa non abbia perso ogni carattere di attualità, in rapporto all’interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento “storico”. …”
Il giudice delle leggi ha chiarito che “l’acquisizione di messaggi di posta elettronica e” di messaggistica istantanea “non sia qualificabile come intercettazione”. Sul punto i giudici costituzionali hanno richiamato le sezioni unite penali della Corte di cassazione, le quali hanno chiarito che per “intercettazione» – fattispecie che il codice di procedura penale non definisce – deve intendersi (in conformità, peraltro, alla comune accezione del vocabolo) l’apprensione occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti, estranei al colloquio” (cfr Corte di cassazione, sentenza n. 36747/2003).
Sulla scorta di tale definizione di “intercettazione” al fine della sua configurazione devono ricorrere le seguenti due condizioni:
– “la comunicazione deve essere in corso nel momento della sua captazione da parte dell’extraneus; questa deve cogliere, cioè, la comunicazione nel suo momento “dinamico”, con conseguente estraneità al concetto dell’acquisizione del supporto fisico che reca memoria di una comunicazione già avvenuta (dunque, nel suo momento “statico”)
– l’apprensione del messaggio comunicativo da parte del terzo deve avvenire in modo occulto, ossia all’insaputa dei soggetti tra i quali la comunicazione intercorre”.
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