La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 16150 depositata l’ 11 giugno 2024, intervenendo in tema di trattamento economico nei rapporti del pubblico impiego privatizzati, ha ribadito il principio di diritto secondo cui “… nel pubblico impiego privatizzato – nel quale il rapporto di lavoro è disciplinato esclusivamente dalla legge e dalla contrattazione collettiva – non possono essere attribuiti trattamenti economici non previsti dalle suddette fonti, nemmeno se di miglior favore (Cass. L – Ordinanza n. 31387 del 02/12/2019).

Da ciò deriva che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 2, comma 3, D. Lgs. n. 165/2001, l’attribuzione dei trattamenti economici è riservata alla contrattazione collettiva, sicché non è sufficiente a tale scopo un atto deliberativo della P.A. ma occorre, a pena di nullità, la conformità di tale atto alla contrattazione collettiva (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 17226 del 18/08/2020). …”

La Vicenda ha riguardato un dipendente di un ente pubblico non economico, il quale citava in giudizio il datore di lavoro per il riconoscimento delle differenze retributive tra il livello A1 e il livello A del CCNL Autostrade e Trafori per lo svolgimento di mansioni superiori. Il Tribunale adito, in veste di giudice del lavoro, respinse le richieste del dipendente. Avverso tale decisione il lavoratore propose appello. La Corte Territoriale accolse le richieste del lavoratore. Il datore di lavoro, avverso la decisione di appello, proponeva ricorso in cassazione fondato su quattro motivi.

I giudici di legittimità accolsero il primo motivo di ricorso, assorbiti gli ulteriori.

Per gli Ermellini “… nel pubblico impiego contrattualizzato, il parametro per verificare l’attuazione del principio della parità di trattamento economico di cui all’art. 45 D. Lgs. n. 165/2001, è costituito dall’applicazione del contratto collettivo del comparto di appartenenza, rispetto al quale l’amministrazione datrice di lavoro non ha alcun potere di disposizione, mentre non assume rilevanza l’applicazione di fatto di un contratto collettivo diverso ad altri dipendenti di ruolo, neanche quando ciò sia avvenuto in forza di una sentenza passata in giudicato (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 6090 del 04/03/2021).

In altri termini, l’amministrazione datrice di lavoro non può scegliere a proprio piacimento il contratto collettivo applicabile, ma è tenuta in ogni caso al rispetto del vincolo derivante dall’art. 2, comma 3, D. Lgs. n. 165/2001, dovendo quindi applicare il trattamento economico previsto dal contratto collettivo di comparto, determinandosi altrimenti una condizione di disparità rispetto a quei lavoratori ai quali, invece, venga applicato il trattamento previsto dal contratto collettivo correttamente individuato. …”

Inoltre il Supremo consesso sulla base dei predetti principi conclude che “… nell’impiego pubblico contrattualizzato, il riconoscimento al lavoratore di un trattamento economico di miglior favore rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la P.A., anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata mediante la ripetizione delle somme corrisposte senza titolo (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 13479 del 29/05/2018; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 6715 del 10/03/2021).

In sintesi, quindi:

  • l’Amministrazione datrice di lavoro è tenuta ad individuare per i propri dipendenti il trattamento economico derivante dal contratto collettivo di comparto correttamente applicabile, essendole preclusa la possibilità di far ricorso ad un diverso contratto collettivo – neppure se fonte di un trattamento migliorativo – ed anzi risultando viziato l’atto deliberativo con il quale l’Amministrazione medesima venga ad osservare un contratto collettivo diverso da quello correttamente applicabile;
  • qualora sia riconosciuto al lavoratore di un trattamento economico maggiore di quello previsto dalla contrattazione collettiva correttamente applicabile tale riconoscimento è affetto da nullità e l’Amministrazione datrice di lavoro, nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata mediante la ripetizione delle somme già corrisposte, in quanto dette somme risultano erogate senza titolo;
  • non è ravvisabile, in capo al lavoratore cui sia stato illegittimamente applicato un trattamento individuale – anche migliorativo – diverso da quello previsto dalla contrattazione collettiva una posizione giuridica soggettiva tutelabile in virtù dell’adozione, da parte dell’Amministrazione, di un provvedimento (illegittimo) di individuazione di un errato regime degli emolumenti, e ciò in quanto il trattamento economico deve trovare necessario fondamento nella contrattazione collettiva, con la conseguenza che il diritto si stabilizza in capo al dipendente solo qualora l’atto sia conforme alla volontà delle parti collettive (Cass. Sez. L – Sentenza n. 15902 del 15/06/2018);
  • risulta inapplicabile a tale ipotesi la norma di cui all’art. 2126 c.c., in quanto quest’ultima previsione è riferita all’ipotesi di prestazione lavorativa resa sulla base di un contratto nullo e non all’ipotesi – che nella specie ricorre – in cui il vizio di nullità non concerna il rapporto lavorativo in sé bensì la sua irregolare regolamentazione tramite un atto dispositivo viziato adottato dall’Amministrazione datrice di lavoro, la quale venga ad applicare un trattamento economico diverso da quello previsto dalla fonte legale vincolante, e cioè la contrattazione collettiva di settore. …”