La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17365 depositata il 19 agosto 2020 è intervenuta in tema di riconoscimento dei costi a franto dei maggiori ricavi accertata ha statuito che “in tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” ex art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (come in caso di indagini bancarie) è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario”
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento con il quale sono stati rideterminati i ricavi dell’attività del contribuente di artigiano edile non specializzato, sulla base dello studio di settore. Avverso tale atto impositivo il contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure non accolgono le doglianze del ricorrente. Il contribuente impugnava la decisione della CTR proponendo ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello riformarono parzialmente la sentenza della CTP. In particolare i giudici di secondo grado hanno affermato che l’esclusione della detrazione dei costi non documentati dal contribuente, infatti, è da ritenersi limitata solo ai casi di accertamento interamente analitico, cioè condotto sulla base delle stesse scritture contabili tenute dal soggetto passivo d’imposta e qualora la ricostruzione del reddito avvenga con criteri induttivo- sintetici, si dovrebbe tenere conto comunque delle passività, in assenza delle quali verrebbe ad essere tassato non il profitto netto dell’impresa, bensì il fatturato lordo. L’Amministrazione finanziaria proponeva, avverso la sentenza della CTR, ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
Gli Ermellini accolgono il ricorso, cassano la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigettano il ricorso del contribuente.
I giudici di legittimità evidenziano che “in tema di imposte sui redditi, l’accertamento induttivo di maggiori ricavi derivanti da un’attività di impresa non comporta l’automatico e forfettario riconoscimento degli elementi negativi del reddito, incombendo sul contribuente l’onere di provare la certezza dei costi e la loro inerenza all’attività.”
La Suprema corte riafferma che la determinazione del reddito mediante l’applicazione degli studi di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idonea a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria, nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa
Pertanto per la Corte i parametri o studi di settore previsti dall’art. 3, commi da 181 a 187, legge 28 dicembre 1995, n. 549, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico- induttivo, ex art. 39, primo comma, lett. d, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento.
In conclusione per i giudici di legittimità hanno ritenuto che, nel caso di specie, trattandosi di accertamento basato sugli studi di settore, l’unico dovere dell’ufficio è dedurre i costi e gli oneri correlati ai maggiori ricavi solo in relazione alle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente.
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