COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per l’Abruzzo sez. 7 sentenza n. 346 depositata il 12 aprile 2018
Con la sentenza n. 400 del 23/3 1-5-2016, la C.T.P. di Pescara rigettava il ricorso avanzato da G.P. avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta n. xxx, a mezzo del quale erano state revocate le agevolazioni relative all’acquisto (con I.V.A. agevolata) della “prima casa”.
L’ATTO D’APPELLO
Con l’appello del 27-12-2016, G.P. chiedeva la riforma della sentenza di primo grado, lamentando la violazione o falsa applicazione dell’art. 1, nota II bis, della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, come modificato dall’art. 33, comma 12, della L. 23 dicembre 2000, n. 388, là dove la C.T.P. non ha riconosciuto rilevanza alla non imputabilità al contribuente del mancato trasferimento della residenza nel termine previsto dalla legge.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello va rigettato, in ossequio agli insegnamenti diffusamente impartiti da Cass. sez. V n. 2616 del 22-12-2015/10-2-2016. Orbene, il testo normativo all’uopo applicabile è icastico. Il menzionato art. 1, nota II bis della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, il. 131, nel testo applicabile all’epoca dei fatti, dispone che “ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 3 per cento … devono ricorrere le seguenti condizioni:
a) che l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza … “. Non si può dubitare della natura cogente ditale termine. Un consistente orientamento della giurisprudenza ammette la configurabilità di esimenti dal rispetto di esso, che identifica con la forza maggiore o col factum principis e di cui conosce una variegata casistica (vedi, in particolare, Cass. 23 dicembre 2015, n. 25881 e 25880; 12 marzo 2015, n. 5015; 10 marzo 2015, n. 4800; 11 giugno 2014, n. 13177; 26 marzo 2014, n. 7067; 7 giugno 2013, n. 22898/2009);
da ultimo, sulla configurabilità della forza maggiore, ord. 19 gennaio 2016, n. 864 e 21 gennaio 2016, n. 1494). A fondamento dell’indirizzo v’è la configurazione dell’impegno di trasferire la residenza come un obbligo del contribuente nei confronti del fisco, l’adempimento del quale può risentire di ostacoli, destinati ad acquisire effetto esimente se contrassegnati dalla non imputabilità alla parte obbligata, dall’inevitabilità e dall’imprevedibilità. Estraneo al tema, benché contiguo, è l’orientamento secondo il quale il beneficio in questione spetta a coloro che, pur avendone formulata tempestiva e rituale richiesta, non siano riusciti in tempo ad ottenere il trasferimento della residenza per lungaggini burocratiche. Ciò in quanto l’unicità del procedimento amministrativo di mutamento dell’iscrizione anagrafica, sancita anche dall’art. 18, comma 2, del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223(contenente il regolamento anagrafico della popolazione residente), nell’affermare la necessità della saldatura temporale tra cancellazione dall’anagrafe del comune di precedente iscrizione ed iscrizione in quella del comune di nuova residenza, àncora la decorrenza alla dichiarazione di trasferimento resa dall’interessato nel comune di nuova residenza (Cass., ord. 16 settembre 2015, n. 18127; ord. 18 gennaio 2015, n. 110). La costruzione che accredita, invece, la rilevanza della forza maggiore sul corso del termine fissato per il trasferimento di residenza non è adeguata alla fattispecie. Il conseguimento dell’agevolazione fiscale, o, meglio, la conservazione di essa non scaturisce dall’adempimento di un obbligo del contribuente nei confronti del fisco, in quanto il fisco non è affatto titolare di una corrispondente e correlata situazione di diritto soggettivo. È il contribuente ad essere titolare di una situazione giuridica attiva, che è il potere di produrre, mediante l’attività in questione (cioè il trasferimento di residenza), che assume la configurazione di onere, l’impedimento di un effetto giuridico svantaggioso, ossia il venir meno del presupposto dell’agevolazione. Al cospetto di tale potere, il fisco non può che subirne l’esercizio, né dovrà cooperare, come avviene allorquando si realizzano diritti, quando la controparte si trova in una situazione di dovere. Quando l’ordinamento, come nel caso in esame, limita nel tempo la possibilità del soggetto di produrre un effetto giuridico a sé favorevole, o d’impedirne uno a sé sfavorevole, mediante l’esercizio di un potere, la mancata produzione dell’effetto scaturente dal mancato compimento dell’atto entro il termine fissato si presenta come estinzione del potere, ossia come decadenza. La decadenza ha dimensione oggettiva:
il potere, avendo l’atto come forma di esercizio, non può che esercitarsi in un momento puntuale di tempo. E la regola espressa dall’art. 2966 c.c., secondo cui la decadenza non è impedita se non dal compimento dell’atto previsto dalla legge o dal contratto. Con la previsione del termine, il legislatore fissa il momento oltre il quale l’interesse del titolare del potere di esercitarlo nel tempo prefissato non può più prevalere sui contrapposti interessi, pubblici o privati, in base all’esigenza che la possibilità di modificazione giuridica sia limitata nel tempo per garantire la certezza nel trattamento delle situazioni. A presidiare quest’esigenza è posto l’art. 2964 c.c., il quale esclude, al cospetto della fissazione di un termine di decadenza, l’applicabilità delle norme relative all’interruzione della prescrizione nonché, salva diversa previsione, di quelle che si riferiscono alla sospensione (sull’applicabilità di questa regola e sulla sua cogenza giustappunto in tema di revoca delle agevolazioni in questione, sia pure con riguardo al regime previgente, vedi, in motivazione, Cass. sez. un. 21 novembre 2000, n. 1196; più in generale, 11 febbraio 2010, n. 3078 e 10 gennaio 2007, n. 1090).
Se, dunque, il legislatore può riconoscere e in taluni casi riconosce rilevanza ad impedimenti di fatto non imputabili al titolare, ammettendo che essi sospendano il decorso del termine, tanto fa ricollegando la decorrenza del termine non già al momento in cui il potere sorge, bensì a quello, successivo, in cui il titolare ne prende conoscenza (si vedano le cause di sospensione per fatti bellici e calamità naturali, l’ipotesi contemplata dall’art. 61, comma 1, R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669, sulla cambiale e sul vaglia cambiario, e la disposizione omologa dell’art. 53, comma 1, R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, sugli assegni, bancario e circolare, nonché la rassegna in Cass. sez.un., 16 giugno 2014, n. 13676). E così risolto il principale fra gli ostacoli di fatto all’esercizio del potere, ossia l’ignoranza della situazione giuridicamente rilevante. Nessuna rilevanza sul decorso del termine, di contro, è riconosciuta dal legislatore nel settore in questione (diversamente da quanto previsto, in via d’esempio, dall’art. 20 L. 2 luglio 1949, n. 408, sulla portata del quale si vedano, fra varie, Cass. 21 luglio 2000, n. 9602; 15 marzo 1990, n. 2110 e 30 marzo 1983, n. 2300), né può esserlo in via pretoria, agli impedimenti che siano, come nel caso in esame, sopravvenuti. Sotto il profilo della rado propria della norma tributaria, va aggiunto, per un verso, che la funzione antielusiva della norma agevolativa comporta che un beneficio fiscale deve essere ancorato a un dato certo, certificativo della situazione di fatto enunciata nell’atto di acquisto;
per altro verso, l’applicazione dell’ordinario regime tributario nell’ipotesi del venir meno della finalità abitativa che abbia giustificato il godimento delle agevolazioni per la prima casa non ha natura sanzionatoria di una condotta dell’acquirente dell’immobile, solo rispetto alla quale potrebbe assumere significato la forza maggiore, ma consegue alla sopravvenuta mancanza di causa del beneficio invocato all’atto della registrazione dell’acquisto (Cass. 3 marzo 2010, n. 5139; 20 febbraio 2003, n. 2552). Affermazione, quest’ultima, coerente con l’orientamento secondo cui la decadenza, correlata al mero decorso del tempo, prescinde da qualsivoglia finalità sanzionatoria (arg. ex Cass., sez.un., 13676/14). In definitiva, non è configurabile esimente dal rispetto del termine perentorio di diciotto mesi fissato, a pena di decadenza, dal legislatore per il trasferimento di residenza, ai fini della conservazione dell’agevolazione fiscale fruita al momento della tassazione del contratto di compravendita della prima casa. Il che determina l’irrilevanza, pure in tesi, dell’impedimento di fatto rappresentato dal contribuente. Ciò posto, e pur ammettendo le scriminanti del caso fortuito o della forza maggiore, Cass. sez. VI (T) n. 5015 del 5-2/12-3-2015 ha già stabilito che non integra l’evento inevitabile ed imprevedibile la mancata ultimazione di un appartamento in costruzione, atteso che, in assenza di specifiche disposizioni, non vi è ragione di differenziare il regime fiscale di un siffatto acquisto rispetto a quello di un immobile già edificato. A maggior ragione il principio andrebbe applicato nell’ipotesi in esame, in cui ci si troverebbe dinanzi ad una semplicissima infiltrazione d’acqua nell’autorimessa ed alla realizzazione di un foro in una trave. Da ultimo ci si può riportare alla vicenda definita da Cass. sez. V ordinanza n. 1392 del 22- 10-2009/26-1-2010, nella quale l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale, in una controversia concernente impugnazione dell’avviso di liquidazione emesso in relazione alla revoca dei benefici previsti dal D.P.R. n. 131 del 1986, per la c.d. “prima casa”, la C.T.R. aveva rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate e confermato la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso dei contribuenti, rilevando che la mancata presa di possesso dell’immobile nei 18 mesi dall’acquisto doveva attribuirsi ad un impedimento oggettivo e non prevedibile consistente in un’infiltrazione di acque reflue proveniente dall’appartamento sovrastante, impedimento che non aveva fatto decadere i contribuenti dal beneficio, consentendo uno slittamento del termine per il perdurare della forza maggiore, il cui venire meno aveva poi consentito l’iscrizione nell’anagrafe del comune. La Corte allora premetteva che, ai fini della fruizione dell’agevolazione de qua, era necessario l’intervenuto trasferimento della residenza anagrafica, e che “stabilire” la residenza, se non significava che era intervenuto il suddetto trasferimento, era assolutamente irrilevante ai fini del decidere. Poi proseguiva affermando che, ai fini della fruizione dell’agevolazione fiscale per l’acquisto della prima casa, non era sufficiente attivarsi al fine di trasferire nei termini la residenza, ma occorreva la sussistenza, entro il termine previsto, del requisito della residenza nel comune ove l’immobile era ubicato, senza che, peraltro, potesse attribuirsi alcuna rilevanza giuridica alla, realtà fattuale, ove contrastante con il dato anagrafico, o all’eventuale successivo ottenimento della residenza. Il motivo di ricorso in quella vicenda (col quale si deduceva violazione dell’art. 1 della Tariffa del D.P.R. n. 131 del 1986) risultava allora manifestamente fondato, posto che, a prescindere da ogni altra considerazione, un’infiltrazione di acque reflue in un appartamento non rappresentava in sé un impedimento avente le caratteristiche della forza maggiore (soprattutto considerato l’ampio lasso di tempo entro il quale il trasferimento di residenza avrebbe potuto realizzarsi) se non in caso di prova del momento della sua insorgenza, del suo protrarsi, ovvero di eventuali complicanze idonee a rendere particolarmente lunga e difficile la riparazione e ad impedire in ogni modo assoluto e per tutto il tempo a disposizione non solo la presenza nell’immobile, ma, in ogni caso, l’ottenimento del trasferimento della residenza anagrafica. L’appellante soccombente va condannato al pagamento delle spese di giudizio, non potendosi ritenere inesistenti le controdeduzioni telematiche (prot. xxx del 24-2-2017) dell’Agenzia delle Entrate, come invece sostenuto dal P. nelle memorie del 16-2-2018. Muovendo, infatti, dall’insegnamento di Cass. sez. II n. 9772 dcl 15-4/12-5-2016 secondo il quale, in tema di processo civile telematico, nei procedimenti contenziosi iniziati dinanzi ai tribunali dal 30 giugno 2014, nella disciplina dell’art. 16-bis D.L. n. 179 del 2012, inserito dall’art. 1, comma 19, numero 2), L. n. 228 del 2012, anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2015 (che, con l’art. 19, comma 1, lettera a, n. 1), vi ha aggiunto il comma 1-bis), il deposito per via telematica, anziché con modalità cartacee, dell’atto introduttivo del giudizio, ivi compreso l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore, ma ad una mera irregolarità, sicché ogniqualvolta l’atto sia stato inserito nei registri informatizzati dell’ufficio giudiziario previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, deve ritenersi integrato il raggiungimento della scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle altre parti, deve ritenersi che – se non vi è nullità della “costituzione telematica” dell’attore in caso di atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo – a fortiori non può ravvisarsi inammissibilità/nullità nel “deposito telematico” di semplici controdeduzioni dell’appellato, le quali non hanno minimamente ostacolato la facoltà (per l’allora ricorrente) di impugnare la sentenza di I grado, avendo esse avuto il limitato effetto di “controbattere” ai motivi d’appello.
PQM
la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione VII, rigetta l’appello e condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in Euro 2.000, oltre oneri di legge se dovuti.
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