AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 128 del 20 gennaio 2023
Non applicabilità dell’articolo 27, comma 3–ter, del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 ai dividendi corrisposti alla casa madre residente nel Regno Unito
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La Società Istante (di seguito anche ”la Società” o ”l’Istante”) è interamente partecipata da una società del Regno Unito, cui distribuirà utili deliberati in unica soluzione e poi corrisposti nell’anno in più versamenti sulla base delle disponibilità liquide.
L’Istante espone un dubbio interpretativo proprio in merito al trattamento fiscale di tali dividendi, a seguito dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (c.d. Brexit), che renderebbe non più applicabile l’articolo 27bis del DPR 29 settembre 1973, n. 600 (in seguito ”DPR 600/73”), attuativo della direttiva madre-figlia (2011/96/UE).
In particolare, la Società chiede se, dopo la Brexit, risulti comunque applicabile la ritenuta dell’1,20 per cento, prevista dall’articolo 27, comma 3ter, del DPR 600/73 sui dividendi corrisposti a società di capitali ed enti commerciali residenti in Stati membri dell’Unione Europea o aderenti all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (in seguito ”Accordo SEE”) che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, a condizione che il percipiente sia soggetto ad imposte societarie nel paese di destinazione. Il Regno Unito ad oggi permane tra i Paesi collaborativi, ma non ha aderito all’Accordo SEE; quindi, non sembrerebbe integrare i requisiti soggettivi richiesti dalla norma ai fini della ritenuta ridotta.
L’Istante, tuttavia, osserva che, a seguito della Brexit, i rapporti tra Unione Europea e Regno Unito sono regolati dall’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Unione Europea e la Comunità europea dell’energia atomica, da una parte, e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del nord, dall’altra (in breve, ”Accordo UEUK”).
In particolare, nel Titolo II, Capo I, articolo SERVIN.2.3 (attualmente indicato come art. 129), si precisa che ciascuna parte accorda agli investitori dell’altra parte e alle imprese disciplinate, per quanto riguarda lo stabilimento e l’esercizio nel proprio territorio, un trattamento non meno favorevole di quello accordato in situazioni analoghe ai propri investitori e alle proprie imprese.
In tale contesto, l’Istante chiede se accordare ai dividendi corrisposti alla casa madre britannica un trattamento fiscale diverso da quello previsto dall’art. 27, comma 3ter, del DPR 600/1973, possa configurare una violazione dell’Accordo UEUK.
L’Istante ritiene, inoltre, che la disciplina interna debba essere coordinata con le previsioni contenute nella Convenzione per evitare le doppie imposizioni in vigore tra Italia e Regno Unito, firmata a Pallanza il 21 ottobre 1988 e ratificata con legge 5 novembre 1990, n. 329 (di seguito, ”la Convenzione” o ”il Trattato”). L’articolo 10 del Trattato prevede l’applicazione di una ritenuta in uscita con aliquota variabile tra il 15 per cento e il 5 per cento, a seconda del potere di voto attribuito al percipiente.
Nella fattispecie in esame, poiché la società madre britannica controlla interamente la Società, la ritenuta ammonterebbe al 5 per cento dei dividendi.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
Per quanto concerne il Quesito specificato in oggetto, l’Istante ritiene che, anche a seguito della Brexit, i dividendi corrisposti alla controllante residente nel Regno Unito possano essere soggetti alla ritenuta dell’1,20 per cento di cui all’articolo 27, comma 3ter, del DPR 600/1973, in ragione di una lettura della norma interna coordinata con l’Accordo UEUK.
L’Istante, quindi, previa acquisizione di una dichiarazione da parte della controllante dell’assoggettamento all’imposta sulle società nel Regno Unito, reputa corretto applicare la ritenuta dell’1,20 per cento per cassa sui versamenti corrisposti nel corso dell’anno, a prescindere dal fatto che siano deliberati da un’unica decisione dell’assemblea sociale.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
Con riferimento all’istanza di interpello specificata in oggetto, si ricorda innanzitutto che il 30 gennaio 2020 l‘Unione Europea ha ratificato l’accordo di recesso con il Regno che, dalla mezzanotte del 31 gennaio 2020, è diventato un Paese terzo. Ciò ha segnato l’inizio di un periodo transitorio che si è protratto fino al 31 dicembre 2020, in cui ha continuato a trovare provvisoriamente applicazione il diritto unionale, incluse le libertà fondamentali sancite dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
Terminato il periodo transitorio, i rapporti tra Unione Europea e Regno Unito sono regolati dal citato Accordo UEUK, applicabile in via provvisoria dal 1º gennaio 2021. Il 29 dicembre 2020 il Consiglio ha adottato la decisione relativa alla firma dell’accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione e dell’accordo sulla sicurezza delle informazioni tra l’UE e il Regno Unito e alla loro applicazione a titolo provvisorio a decorrere dal 1º gennaio 2021. L’accordo prevedeva che l’applicazione provvisoria cessasse a fine febbraio, a meno che le parti non concordassero una data successiva. Su richiesta dell’Unione Europea, il 23 febbraio il consiglio di partenariato UE-Regno Unito ha deciso di prorogare l’applicazione provvisoria al 30 aprile 2021, al fine di concedere un periodo di tempo sufficiente per completare la revisione giuridico-linguistica dell’Accordo UEUK in tutte le 24 lingue. L’autenticazione delle 24 versioni linguistiche è stata completata il 21 aprile. A seguito della richiesta di approvazione del Consiglio del 26 febbraio 2021, il Parlamento europeo ha approvato la decisione relativa alla conclusione dell’Accordo in esame il 27 aprile scorso. Nel testo convenzionale vengono definite ”le basi di ampie relazioni tra le parti, in uno spazio di prosperità e buon vicinato caratterizzato da relazioni strette e pacifiche basate sulla cooperazione, nel rispetto dell’autonomia e della sovranità delle parti” (Cfr. Parte Prima, Titolo I, Articolo 1 Finalità). Nello specifico, vengono disciplinati:
un accordo di libero scambio, che prevede una collaborazione in materia economica, sociale, ambientale e nel settore della pesca;
una stretta collaborazione per quanto riguarda la sicurezza dei cittadini;
un assetto generale di governance.
Nonostante l’Accordo in esame promuova un forte partenariato tra Unione Europea e Regno Unito, in nessun caso tale Paese può essere considerato al pari di uno Stato membro, non facendo ormai più parte né del mercato unico né dell’unione doganale e non essendo più coinvolto negli accordi internazionali dell’Unione. Nello stesso Preambolo all’Accordo UEUK, pur affermando l’intento di ”stabilire norme chiare e reciprocamente vantaggiose che disciplinino il commercio e gli investimenti tra le parti”, si precisa che ”ai fini dell’efficiente gestione e della corretta interpretazione e applicazione del presente accordo o eventuale accordo integrativo e dell’osservanza degli obblighi che ne derivano, è essenziale stabilire disposizioni che garantiscano la governance globale, in particolare norme in materia di risoluzione delle controversie e di esecuzione che rispettino integralmente l’autonomia degli ordinamenti giuridici dell’Unione e del Regno Unito nonché lo status del Regno Unito di paese esterno all’Unione europea”. Si ritiene, inoltre che il citato articolo SERVIN.2.3 (come anticipato, rinumerato in art. 129), richiamato dall’Istante, non abbia attinenza con la fattispecie in esame. La previsione dell’Accordo UEUK si inserisce nella Parte Seconda Rubrica Prima, dedicata al Commercio, nel Titolo II riservato a Servizi e investimenti e nel Capo II relativo alle misure che regolano lo stabilimento di un’impresa ai fini dello svolgimento di attività economiche e l’esercizio dell’attività imprenditoriale. Nello specifico, la norma è volta a garantire che sia reciprocamente accordato un trattamento equo nello stabilimento e nell’esercizio dell’attività d’impresa tra Unione europea e Regno Unito, ma non vale ad equiparare quest’ultimo Paese a uno Stato membro nel senso di garantire la libertà di stabilimento prescritta dall’art. 49 del TFUE, la cui applicazione resta circoscritta all’interno dell’Unione. Pertanto, la disposizione dell’Accordo UEUK, invocata dall’Istante, non attiene al trattamento fiscale dei dividendi corrisposti dalla Società alla controllante britannica, essendo diretta ad agevolare l’esercizio dell’attività imprenditoriale, nell’ambito dei servizi e investimenti, dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
Alla luce di quanto precede, si ritiene che l’intento di agevolare il commercio e gli investimenti, affermato dall’Accordo UEUK, non possa superare il dato normativo di cui all’articolo 27, comma 3ter, del DPR 600/1973 e che, pertanto, non possa trovare applicazione la ritenuta nella misura dell’1,20 per cento. La norma interna, infatti, presuppone che la distribuzione di utili sia rivolta a ”società e agli enti soggetti ad un’imposta sul reddito delle società negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo”. L’applicazione di tale ritenuta, peraltro, non può essere invocata neppure in ragione del fatto che il Regno Unito è incluso tra i Paesi collaborativi, poiché tale requisito è riferito esclusivamente agli Stati aderenti all’Accordo SEE. Tuttavia, come osservato dall’Istante, la normativa nazionale deve essere coordinata con quella convenzionale, la cui prevalenza sull’ordinamento interno è ammessa dall’articolo 169 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (in seguito ”TUIR”). In particolare, viene in rilievo l’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), del Trattato, secondo cui i ”dividendi possono essere tassati anche nello Stato contraente di cui la società che paga i dividendi è residente ed in conformità alla legislazione di detto Stato ma, se la persona che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere: a) il 5 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi se l’effettivo beneficiario è una società che controlla direttamente o indirettamente , almeno il 10 per cento del potere di voto della società che paga i dividendi”. Poiché, nel caso di specie, la società britannica partecipa interamente l’Istante, si ritiene applicabile la ritenuta convenzionale nella misura del 5 per cento.
Resta inteso che l’operatività del Trattato è subordinata al ricorrere delle condizioni ivi previste, ossia che la casa madre britannica integri le nozioni di persona residente ai fini convenzionali e sia beneficiaria effettiva dei dividendi.
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