La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 2383 depositata il 21 gennaio 2025, intervenendo in tema di dichiarazione infedele e determinazione dell’imposta evasa, ha riaffermato il principio secondo cui pur se “il giudice penale [non] possa prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per determinare e quantificare l’imponibile dell’imposta sui redditi e quella sul valore aggiunto (e dunque l’imposta evasa): cambia la regola di giudizio, non la regola da applicare. La diversa regola di giudizio può condizionare l’ambito di applicabilità della norma tributaria, ma impone comunque al giudice penale di tenerne conto. Sicché anche ai fini della ricostruzione dell’imposta evasa ai sensi dell’art. 1, lett. f), d.lgs. n. 74 del 2000 è necessario attingere alle regole stabilite dalla normativa fiscale ma con le limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell’accertamento penale, per cui i costi concorrono sì alla determinazione dell’imponibile purché ne sussista la certezza o, come si vedrà, anche solo il ragionevole dubbio circa la loro esistenza. Poiché l’ammontare della «imposta evasa» è elemento costitutivo del reato di cui all’art. 4, d .lgs. n. 74 del 2000, della relativa prova deve farsi carico il Pubblico Ministero il quale, dovendo svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini, deve individuare i costi sostenuti per il conseguimento dei maggiori ricavi che siano stati comunque accertati, senza attendere che a ciò provveda la persona sottoposta alle indagini. E’ necessario, però, che di tali costi non contabilizzati sussista la prova, diretta o indiziaria. Sicché, ove a fronte dell’esistenza certa di ricavi non dichiarati la persona sottoposta alle indagini lamenti la mancata deduzione dei costi ad essi inerenti, deve provarne l’esistenza (artt. 187 e 190, cod. proc. pen.), o comunque allegare i dati dai quali l’esistenza di tali costi poteva essere desunta e dei quali né il Pubblico Ministero, né il Giudice hanno tenuto conto. Non è perciò legittimo, nemmeno in sede penale, presumere l’esistenza di costi deducibili in assenza quantomeno di allegazioni fattuali che rendano almeno legittimo il dubbio in ordine alla loro sussistenza (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 37131 del 09/04/2013, Siracusa, Rv. 257678). Il criterio di giudizio imposto dall’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., investe tutti gli elementi costitutivi del reato, sicché ove sussista il ragionevole dubbio circa il superamento delle soglie di punibilità indicate dall’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000 (e dunque l’ammontare dell’imposta evasa), il giudice deve affermare l’insussistenza del fatto; purché si tratti di un dubbio “ragionevole”, fondato cioè su fatti verificabili, non su mere congetture, ipotesi, astrazioni ed automatismi.“
Per il Supremo consesso “il giudice deve accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa attraverso una verifica che, pur non potendo prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l’imponibile, subisce le limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell’accertamento penale; con la conseguenza che occorre tenere conto dei costi non contabilizzati solo in presenza (quanto meno) di allegazioni fattuali, da cui desumere la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza (Sez. 5, 40412 del 13/06/2019, Tirozzi, Rv. 277120 – 01; Sez. 3, n. 8700 del 16/01/2019, Holz, Rv. 275856 – 01; Sez. 3, n. 37094 del 29/05/2015, Granata, Rv. 265160 – 01).
(…) È stato precisato che, ai fini del superamento delle soglie normative di punibilità nei reati tributari, le spese e gli oneri afferenti i ricavi e gli altri proventi, concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi anche quando non sono indicati nelle scritture contabili (Sez. 3, 53907 del 01/06/2016, Caterina, Rv. 268717 – 01; Sez. 3, n. 37131 del 09/04/2013, Siracusa, Rv. 257678 – 01 che ha affermato che il giudice ha l’onere di procedere ad una disamina analitica dei documenti prodotti per la quantificazione di costi la cui esistenza è rilevabile agli atti, anche in caso di irregolarità macroscopica, delle scritture contabili). “
Inoltre, gli Ermellini hanno ribadito che ” quando il reddito imponibile viene ricostruito incrociando la contabilità di impresa con quella “in nero”, è preciso onere del contribuente indicare gli ulteriori costi non contabilizzati effettivamente sostenuti per il conseguimento dei maggiori ricavi a loro volta non contabilizzati (Cass. , Sez. 5, n. 16198 del 27/10/2001, Rv. 551333; Cass. civ. Sez. 5, n. 11514 del 07/09/2001, Rv. 549206; Cass. civ. Sez. 5, n. 12330 del 08/10/2001, Rv. 549549; Cass. civ. Sez. 5, n. 1709 del 26/01/2007, Rv. 595661; Cass. civ. Sez. 5, n. 11205 del 16/05/2007, Rv. 599458; Cass. civ. Sez. 5, n. 21184 del 08/10/2014, Rv. 632824; Cass. civ. Sez. 6-5, ord. n. 27458 del 09/12/2013, Rv. 629460; cfr. altresì Cass. civ. Sez. 5, n. 5192 del 04/03/2011, 617112; Cass. civ. Sez. 5, n. 2935 del 13/02/2015, Rv. 634377; Cass. civ. Sez. 5, n. 20679 del 01/10/2014, Rv. 632502). Non sussiste, infatti, alcuna automatica correlazione tra ricavi non contabilizzati ed eventuali costi anche essi (in tesi) non contabilizzati. La mancata contabilizzazione di ricavi, insomma, non necessariamente comporta che i costi sostenuti per ottenerli non siano stati a loro volta annotati nei registri. Le spese e gli altri componenti negativi, infatti, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza solo se certi o comunque determinabili in modo obiettivo (art. 109, comma 1, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917); non possono essere puramente e semplicemente presunti. Il giudice penale non è certamente vincolato ai risultati degli accertamenti effettuati ai sensi dell’art. 39, d.P.R. n. 600 del 1973 né ai criteri di giudizio previsti dalla legislazione fiscale e civilistica, essendo suo preciso dovere ricostruire in modo autonomo e con le regole proprie del processo penale i fatti che danno luogo a responsabilità penale (Sez. 3, n. 2246 del 01/02/1996, Zullo, Rv. 205395; Sez. 3, n. 7078 del 23/01/2013, Piccolo, Rv. 254852)”