Corte di Cassazione sentenza n. 9490 depositata il 18 aprile 2018
IMPOSTA COMUNALE SULLA PUBBLICITA’ – AUTONOLEGGIO – PALINE SEGNALETICHE E INDICAZIONI DI ACCESSO
RITENUTO
che la (OMISSIS) s.p.a., con ricorso notificato alla (OMISSIS) s.p.a., Concessionaria del servizio di accertamento e riscossione dell’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni, per il Comune di Segrate, impugnava l’avviso di accertamento per omesso pagamento dell’imposta dovuta per l’anno 2007, in relazione a sette paline, ed altrettanti cassonetti luminosi, recanti il marchio “(OMISSIS)”, situati in corrispondenza di posti auto riservati ai clienti della società di autonoleggio, all’interno di un parcheggio presso l’aeroporto di (OMISSIS), assumendo, tra l’altro, che non assolvono ad alcuna funzione pubblicitaria;
che il ricorso veniva respinto dall’adita Commissione Tributaria Provinciale di Milano, e con la sentenza indicata in epigrafe la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia accoglieva l’appello della contribuente, sul rilievo che i predetti mezzi segnaletici sono destinati ad indirizzare i clienti della società di autonoleggio, i quali hanno già concluso il contratto per usufruire del servizio, verso il posto nel quale ritirare il veicolo o riconsegnarlo al termine del noleggio.
che il Concessionario ricorre per la cassazione della sentenza con due motivi, cui la intimata resiste con controricorso.
CONSIDERATO
che la ricorrente deduce (primo motivo), ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 5 giacche’ il giudice di appello non ha chiarito se i segnali costituiti dalle paline a dai cassonetti recanti il logo “(OMISSIS)” siano o meno assimilabili all’insegna, la quale ha la funzione di indicare il luogo di esercizio dell’attività commerciale, e neppure ha considerato che la norma richiamata colpisce la diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione diverse, al fine di migliorare l’immagine di una impresa, ovvero i suoi servizi e prodotti, come nel caso oggetto di causa, e (secondo motivo), ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di motivazione della sentenza impugnata, giacche’ il giudice di appello non ha in ogni caso esplicitato le ragioni per cui siffatti segnali non integrano mezzi pubblicitari atteso che essi non sono collocati presso la sede della società (OMISSIS);
che le censure, scrutinabili congiuntamente in quanto strettamente connesse, sono infondate e vanno disattese, in quanto il giudizio della Commissione Tributaria Regionale, secondo cui le scritte “(OMISSIS)” apposte su paline e cassonetti assolvono alla specifica funzione di indirizzare i clienti della società di autonoleggio verso il luogo, di pertinenza della predetta società, in cui vanno prelevati o riconsegnati i veicoli noleggiati, trattandosi di luogo, il parcheggio, “il cui accesso e riservato solamente ai clienti delle varie società di noleggio che vi operano”, non si pone in contrasto con il quadro normativo che disciplina l’imposta comunale sulla pubblicità, secondo l’interpretazione costantemente data da questa Corte;
che il Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 5, comma 1 individua il presupposto dell’imposta nella diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile, cio’ in quanto quel che rileva e’ l’astratta possibilità del messaggio, in rapporto alle dimensioni ed ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, ed il secondo comma, della stessa norma, considera rilevanti, ai fini dell’imposizione, i messaggi diffusi nell’esercizio di un’attività economica, allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato;
che, inoltre, il Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 17, comma 1 bis, prevede che l’imposta non e’ dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a 5 metri quadrati;
che, secondo il Concessionario, la pretesa impositiva di cui qui si controverte ha per oggetto mezzi pubblicitari assoggettabili all’imposizione in quanto riportano il marchio con cui la contribuente contraddistingue i servizi resi alla clientela, ed assolvono quindi alla funzione di far conoscere, alla massa indiscriminata dei potenziali utenti, il nome ed il servizio reso da una determinata impresa di autonoleggio presente sul mercato, sicche’ il riferimento all’insegna di esercizio, contenuto nella sentenza di secondo grado, sarebbe mal posto, dal momento che le caratteristiche del messaggio pubblicitario veicolato da paline e cassonetti depongo a favore di una loro funzione pubblicitaria, non meramente informativa del luogo di svolgimento dell’attività commerciale, e delle sue pertinenze (area di parcheggio);
che, in buona sostanza, il vizio di legittimità viene dedotto come causato da una valutazione asseritamene erronea della fattispecie concreta, in conseguenza dell’assimilazione dei predetti segnali all’insegna d’esercizio vera e propria, valutazione che viene denunziata anche in quanto espressa da sentenza affetta da carenze motivazionali relativamente all’accertamento fattuale dei giudici di merito;
che, tuttavia, la prospettata violazione del Decreto Legislativo n. 507 del 1993, articolo 5 presuppone una erronea interpretazione della norma di legge, la quale non ricorre per il solo fatto che la CTR ha trovato un elemento di coerenza di sistema, che non equivale a confondere fattispecie normativamente diverse, nel principio affermato da questa Corte, con la sentenza n. 13824/2005, in materia di insegna d’esercizio, laddove e’ corretto escludere dalla imposizione dei mezzi pubblicitari quei segnali che, al pari delle insegne, servono soltanto a trasmettere un’informazione (Cass. n. 13824/2005); che, sulla scorta degli elementi fattuali considerati (la presenza del solo marchio “(OMISSIS)” in corrispondenza di ogni singolo posto auto assegnato alla ricorrente all’interno del parcheggio, l’accesso riservato solamente ai clienti delle varie società di noleggio operanti nell’aeroporto, l’adeguatezza della segnaletica, anche di quella luminosa, rispetto ad una funzione meramente informativa), il cui accertamento inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la decisione impugnata evidenzia che lo scopo di promuovere la domanda di beni e/o servizi, e di pubblicità per la società di appartenenza, risulta recessivo rispetto a quello di indirizzare i clienti, che hanno già concluso un contratto di noleggio, verso il luogo in cui sono parcheggiati i veicoli, luogo peraltro di pertinenza della società (OMISSIS), in quanto operante, con esercizio ad essa riconducibile, nell’ambito aeroportuale milanese;
che a tali precisi riscontri fattuali la ricorrente oppone, con il denunziato vizio motivazionale, la propria contraria affermazione (massaggio pubblicitario rappresentato da scritte, di notevoli dimensioni, apposte su paline e cassonetti, reclamizzanti la denominazione dell’impresa di autonoleggio, tali da richiamare l’attenzione dei possibili utenti del servizio offerto) e, quindi, unicamente considerazioni meritali volte a contrastare il giudizio (di segno diverso) espresso dal giudice di appello, tanto pero’ non costituisce idonea censura di quel giudizio, perche’ non rivela alcuno dei vizi di razionalità e logicità sui quali questa Corte puo’ portare il suo controllo, non potendosi porre in discussione in sede di legittimità l’apprezzamento dei giudici di merito (Cass. 9097/2017);
che il vizio previsto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, e non conferisce alla Corte di legittimità il potere di esaminare e valutare il merito della causa, ma appunto solo quello di controllare, sul piano logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione;
che le spese del giudizio di legittimità vanno poste, secondo soccombenza, a carico della ricorrente e liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed accessori di legge.
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