Agenzia delle Entrate – Risposta n. 261 dell’ 11 agosto 2020
Interpello articolo 11, comma 1, lettera a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – articolo 26, commi 2 e 9 del dPR 26 ottobre 1972, n. 633 – note di
variazione emesse dopo il fallimento
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
[ALFA] (di seguito istante), dichiarata fallita con sentenza del tribunale di […] del […], fa presente quanto qui di seguito sinteticamente riportato.
L’istante, successivamente alla dichiarazione di fallimento, ha ricevuto note di accredito emesse, ai sensi dell’articolo 26, commi 2 e 9, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito decreto IVA), da fornitori di servizi ad esecuzione continuata o periodica (principalmente per servizi elettrici e telefonia).
Trattasi nello specifico di note di accredito relative a fatture rimaste insolute (emesse sia nel periodo antecedente che in quello successivo al fallimento) per servizi effettivamente resi all’istante nel periodo antecedente al fallimento.
Le note di accredito, tuttavia, non sono state emesse avvalendosi del presupposto del “mancato pagamento” del corrispettivo, ma a seguito della “risoluzione del contratto” per inadempimento del cliente (poi fallito), e ciò in forza o di clausola risolutiva espressa prevista nei contratti di fornitura o di altra clausola contrattuale che permette la risoluzione immediata del contratto a seguito di inadempimento.
Tutto ciò premesso l’istante chiede di sapere come registrare dal punto di vista contabile/fiscale le note di accredito ricevute.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
In sintesi, l’istante ritiene che “la normale inclusione di dette note di accredito nelle liquidazioni IVA (e nella dichiarazione IVA) comporterebbe l’emersione di materia imponibile IVA nel periodo successivo al fallimento che però sarebbe in contrasto:
– sia con l’orientamento ormai consolidato nei fallimenti secondo il quale, a livello IVA, ciò che rileva è il momento genetico dell’operazione e non quello formale della fatturazione (o emissione della nota di accredito);
– sia, soprattutto, con il principio della “par condicio creditorum” dal momento in cui emergerebbe un debito IVA “di massa” relativo ad una operazione “concorsuale”. Il curatore, quindi, pagando l’IVA a debito emergente dalle predette note di accredito, violerebbe difatti la “par condicio creditorum”.
Non solo, anche da un punto di vista pratico/finanziario ciò comporterebbe una notevole problematica nel caso, non infrequente, di mancanza assoluta di liquidità della procedura, soprattutto nei primi mesi successivi al fallimento”.
In definitiva, l’istante ritiene di poter gestire dette note di accredito alla stregua di quelle ricevute – al termine della procedura – a seguito del “mancato pagamento”, e, quindi di poterle annotare semplicemente nei registri IVA del fallimento, senza tuttavia includerle nelle liquidazioni periodiche IVA e nella dichiarazione IVA.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
In via preliminare si evidenzia che esula dalle competenze della scrivente ogni valutazione in merito all’esistenza dei presupposti per l’emissione delle note di variazione oggetto dell’istanza ovvero alla loro entità.
Con riferimento alle modalità di emissione delle stesse, si osserva quanto segue.
L’articolo 26, comma 2, del decreto IVA dispone che “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (…) o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25”.
La richiamata disposizione regola le variazioni “in diminuzione” dell’imponibile e dell’imposta il cui esercizio, diversamente dalle variazioni “in aumento”, ha natura facoltativa (cfr. circolare ministeriale n. 27 del 9 agosto 1975 e Cassazione del 3 marzo 2017, n. 5403) ed è limitato ai casi espressamente previsti dal legislatore.
Il successivo comma 9, introdotto dall’articolo 1, comma 126, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Stabilità 2016), stabilisce che “Nel caso di risoluzione contrattuale, relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento, la facoltà di cui al comma 2 non si estende a quelle cessioni e a quelle prestazioni per cui sia il cedente o prestatore che il cessionario o committente abbiano correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni”.
Tale disposizione consente al cedente prestatore di recuperare l’IVA relativa ai corrispettivi non percepiti per forniture di beni e servizi effettuate in forza di contratti ad esecuzione continuata o periodica, purché ci si trovi in presenza di una risoluzione per inadempimento e l’esercizio della clausola comporti l’effettiva interruzione della fornitura.
Ne consegue che, in caso di mancato pagamento, previsto come causa di risoluzione del contratto, il cedente/prestatore ha la possibilità di operare le corrispondenti variazioni in diminuzione – senza promuovere una procedura esecutiva ed attenderne l’esito – e, quindi, recuperare l’IVA relativa a tutte le forniture regolarmente adempiute e per le quali non ha ricevuto alcun pagamento.
Al riguardo, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12468 del 10 maggio 2019 – pronunciandosi sui presupposti di operatività della procedura di variazione dell’IVA e sulle sue modalità di applicazione della stessa nei casi di risoluzione dei contratti ad esecuzione continuata o periodica – ha chiarito che “a fronte della risoluzione per inadempimento da parte del consumatore finale di un contratto di abbonamento a servizi telefonici, il prestatore, in base alla norma sopravvenuta introdotta dal comma 126 dell’art. 1 della Legge n. 208/2015, ha la facoltà di variare in diminuzione la base imponibile dell’IVA in relazione alle prestazioni eseguite, e non remunerate antecedentemente alla risoluzione”. In conclusione, quindi, per le prestazioni ad esecuzione continuata o periodica, il verificarsi della condizione contemplata da una causa risolutiva espressa apposta al contratto, quale il mancato pagamento (cfr. articolo 1456 del codice civile), determina la risoluzione del contratto con effetti ex tunc, cioè a decorrere dalla prima fattura rimasta insoluta.
Tutto ciò premesso, l’istante riferisce che, nel caso di specie, le note di variazione, emesse per effetto dell’esercizio della clausola risolutiva dopo l’apertura della procedura concorsuale, sono relative a fatture emesse sia prima che dopo la dichiarazione di fallimento per servizi resi prima del fallimento. Non è, invece, chiaro se l’esercizio della clausola risolutiva abbia comportato l’effettiva interruzione del servizio.
In ogni caso, si è dell’avviso che, essendo stato dichiarato il fallimento prima dell’esercizio della clausola risolutiva per inadempimento e dell’emissione delle note di variazione, il fornitore, al fine di recuperare l’IVA non riscossa, debba necessariamente procedere secondo quanto disposto dal comma 2 dell’articolo 26 del decreto IVA e, quindi, insinuarsi al passivo della procedura ed attendere l’esito della stessa (in caso di fallimento, la scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto finale o, in assenza di tale piano, alla scadenza del termine per opporre reclamo contro il decreto di fallimento – cfr. Circolare n. 77/E del 17 aprile 2000), non potendo beneficiare della disposizione di cui al successivo comma 12.
Il curatore, a sua volta, ricevute le note di accredito emesse, nei termini sopra richiamati, dovrà procedere alla sola annotazione di dette note di accredito (cfr. Circolare n. 8/E del 7 aprile 2017 – punto 13) senza inclusione nel riparto finale e nella dichiarazione IVA finale della procedura. Tale annotazione non determina l’inclusione del relativo credito IVA nel riparto finale, il quale è ormai definitivo, ma ha soltanto lo scopo di evidenziare il credito da parte dell’erario eventualmente esigibile nei confronti
del fallito tornato in bonis.
[…]
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