AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 05 ottobre 2021, n. 663
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n.212 – Note di variazione in diminuzione e dichiarazioni integrative a favore ex articolo 8, comma 6-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
[ALFA], nel prosieguo istante, fa presente quanto qui sinteticamente riportato.
Nel 2014 l’istante, dal 2019 parte dell’omonimo gruppo IVA, ha stipulato un contratto di locazione finanziaria optando per l’applicazione dell’imposta (aliquota 10 per cento) in relazione ai canoni dovuti dall’utilizzatore.
«A decorrere da luglio 2016 e fino al mese di febbraio 2021, la Società ha tuttavia erroneamente assoggettato ad IVA, con aliquota ordinaria del 22 per cento, tutti i canoni periodici (non applicando, quindi, l’aliquota ridotta del 10 per cento […]). Tale errore si è determinato per effetto dell’errata indicazione del codice di fatturazione nell’ambito delle procedure automatiche che presiedono alla fatturazione periodica dei canoni.
La maggiore IVA addebitata in rivalsa all’Utilizzatore è stata interamente versata all’Erario nel contesto delle liquidazioni periodiche di [ALFA] e, a decorrere dal 2019, del Gruppo IVA.
L’Utilizzatore – avvedutosi dell’errore in cui è incorsa [ALFA] solo nel mese di febbraio 2021 – ha richiesto la restituzione della maggiore IVA assolta per rivalsa su tutti i canoni fatturati dal 2016 al 2021. Si sottolinea che l’IVA addebitata all’Utilizzatore, inclusa quella addebitata in eccesso, non è mai stata detratta da quest’ultimo nelle annualità in questione: L’Utilizzatore è infatti soggetto, nelle citate annualità, ad un pro-rata di detrazione IVA pari a zero (cfr. all. n. 7 – dichiarazione sostitutiva/dichiarazioni IVA dell’Utilizzatore).
A fronte della sopra menzionata richiesta, la Società (condividendo la tesi secondo la quale l’aliquota correttamente applicabile sui canoni è quella ridotta del 10 per cento, circostanza quest’ultima che non è oggetto della presente istanza di interpello), ha restituito all’Utilizzatore un importo […] pari al differenziale di aliquota applicato in relazione ai canoni scaduti e già fatturati».
Alla luce di quanto sopra, l’istante chiede se le sia possibile «avvalersi dell’istituto della c.d. dichiarazione integrativa a favore di cui all’art. 8, comma 6-bis, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, per recuperare l’IVA Applicata in Eccesso [da intendersi quale imposta relativa alle «fatture emesse nel periodo intercorrente tra luglio 2016 e dicembre 2018», non recuperabile ex articoli 26, comma 3 e 30-ter, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (decreto IVA), ndr.], tenuto conto del principio generale di neutralità che connota il tributo sul valore aggiunto.».
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, in riferimento ai quesiti posti, «ad avviso dell’Istante, per le annualità per le quali non è possibile (i) attivare l’istituto di cui all’art. 26, citato, o (ii) presentare istanza di rimborso ex art. 30-ter, comma 1, citato, [ALFA] dovrebbe poter correttamente recuperare l’IVA Applicata in Eccesso presentando dichiarazione integrativa “a favore” entro i termini di cui all’art. 8, comma 6-bis, d.P.R. n. 322, citato. […] In subordine (e ferma la rilevanza della sola soluzione precedente a tutti gli effetti dell’art. 11, l. n. 212, citata) […] [ALFA] dovrebbe poter recuperare l’IVA Applicata in Eccesso presentando richiesta di rimborso ai sensi dell’art. 30-ter, comma 2, d.P.R. n. 633, citato; in specie, si tratterebbe di accreditare come valida la tesi per cui il termine decadenziale di due anni, previsto dalla norma da ultimo citata, decorrerebbe (non dalla data di versamento della maggiore imposta, bensì) dalla data di restituzione all’Utilizzatore dell’IVA Addebitata in Eccesso».
Parere dell’Agenzia delle entrate
Senza entrare nel merito di quelle questioni – ossia la corretta aliquota da applicare per l’operazione posta in essere, nonché l’eventuale ricorso agli articoli 26, comma 3 e 30-ter del decreto IVA per emendare l’errore ipotizzato e recuperare l’imposta versata in eccesso – che non costituiscono oggetto dell’istanza in esame, va evidenziato che il quesito posto richiede di esaminare i rapporti intercorrenti tra le disposizioni appena richiamate e l’articolo 8, comma 6-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322.
A questo fine occorre innanzitutto ricordare il contenuto delle disposizioni normative.
L’articolo 26, comma 3, del decreto IVA, nell’estendere la possibilità di emettere le note di variazione in diminuzione di cui al precedente comma 2 ai casi di accordo tra le parti, nonché di indicazione in fattura di corrispettivi o relative imposte in misura superiore a quella reale, ne limita tuttavia la portata temporale:
«La disposizione di cui al comma 2 non può essere applicata dopo il decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti e può essere applicata, entro lo stesso termine, anche in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione dell’articolo 21, comma 7.».
Il successivo articolo 30-ter disciplina il rimborso dell’imposta eventualmente non dovuta, prevedendo che:
«1. Il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
2. Nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.
3. La restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.».
Infine l’articolo 8 del d.P.R. n. 322 del 1998 disciplina, tra l’altro, l’integrazione delle dichiarazioni IVA ed i relativi effetti:
«[…] 6-bis. Salva l’applicazione delle sanzioni e ferma restando l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, le dichiarazioni dell’imposta sul valore aggiunto possono essere integrate per correggere errori od omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l’indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di una maggiore o di una minore eccedenza detraibile, mediante successiva dichiarazione da presentare, secondo le disposizioni di cui all’articolo 3, utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione, non oltre i termini stabiliti dall’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
6-ter. L’eventuale credito derivante dal minor debito o dalla maggiore eccedenza detraibile risultante dalle dichiarazioni di cui al comma 6-bis, presentate entro il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, può essere portato in detrazione in sede di liquidazione periodica o di dichiarazione annuale, ovvero utilizzato in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, ovvero, sempreché ricorrano per l’anno per cui è presentata la dichiarazione integrativa i requisiti di cui agli articoli 30 e 34, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, chiesto a rimborso.
6-quater. L’eventuale credito derivante dal minor debito o dalla maggiore eccedenza detraibile risultante dalle dichiarazioni di cui al comma 6-bis, presentate oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, può essere chiesto a rimborso ove ricorrano, per l’anno per cui è presentata la dichiarazione integrativa, i requisiti di cui agli articoli 30 e 34, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, ovvero può essere utilizzato in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, per eseguire il versamento di debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa.
Nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è presentata la dichiarazione integrativa è indicato il credito derivante dal minor debito o dal maggiore credito risultante dalla dichiarazione integrativa.».
Con diverse risposte a specifiche istanze dei contribuenti (consultabili nell’apposita sezione del sito istituzionale dell’Agenzia delle entrate, www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/normativa-e-prassi/risposte-agliinterpelli) la scrivente ha già chiarito quale sia il rapporto tra gli strumenti indivuati nelle disposizioni richiamate, ovvero:
– la prevalenza dell’articolo 26 del decreto IVA e dunque l’emissione di note di variazione in diminuzione quale strumento generale per porre rimedio agli errori compiuti in sede di fatturazione;
– nell’impossibilità oggettiva di emettere tempestivamente le note, il ricorso all’articolo 30-ter: «Né, peraltro, è possibile il ricorso all’istituto disciplinato dall’articolo 30-ter del decreto IVA che, essendo norma residuale ed eccezionale, trova applicazione ogni qual volta sussistano condizioni oggettive che non consentono di esperire il rimedio di ordine generale (nel caso di specie l’emissione di una nota di variazione in diminuzione). Il suddetto istituto, infatti, non può essere utilizzato ordinariamente per ovviare alla scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del diritto alla detrazione, qualora tale termine sia decorso per “colpevole” inerzia del soggetto passivo.» (così, la risposta n. 592 pubblicata il 15 dicembre 2020, ma, nello stesso senso, ad esempio, la successiva n. 593 di pari data dove, in continuità con la precedente n. 190, pubblicata il 13 giugno 2019, si è evidenziata la possibilità di ricorrere al rimborso solo «laddove il contribuente, per motivi a lui non imputabili, non sia legittimato ad emettere una nota di variazione in diminuzione ex articolo 26, comma 2, del dPR n. 633 del 1972»);
– l’inammissibilità del ricorso alla dichiarazione integrativa in base all’articolo 8, comma 6-bis, del d.P.R. n. 322 del 1998 laddove l’imposta a debito riportata nelle dichiarazioni annuali presentate sia «conforme alle fatture emesse nei confronti dei cessionari con riferimento alle quali, stante il decorso dell’anno, non è consentita l’emissione di note di variazione ex articolo 26 comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633» (così, anche di recente, la risposta n. 255 pubblicata il 16 aprile 2021, oltre a quelle citate dall’istante [nn. 55 e 331 del 2019]).
Dovendo fare applicazione dei principi richiamati anche nel caso in esame, al quesito formulato dall’istante va data risposta negativa.
Né è possibile convenire con la soluzione interpretativa ipotizzata in via subordinata (i.e. applicazione dell’articolo 30-ter, comma 2, del decreto IVA con termine decadenziale di due anni a decorrere dalla data di restituzione all’utilizzatore dell’imposta addebitata in eccesso).
Va rilevato, infatti, al di là del dies a quo per il computo del termine – fissato dal legislatore in «due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa» – come, secondo quanto già visto, la norma prevede il preventivo accertamento «in via definitiva» da parte dell’Amministrazione finanziaria che l’imposta non era dovuta.
Presupposto del tutto assente nell’odierna fattispecie.
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