Agenzia delle Entrate – Risposta n. 386 del 20 luglio 2022
Note di variazione IVA – Criteri di emissione in casi particolari – Articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
[ALFA], di seguito anche istante, fa presente quanto qui di seguito sinteticamente riportato.
L’istante esegue forniture di merci nei confronti dei propri soci che, tramite la loro attività individuale o mediante società (di capitali o di persone), gestiscono uno o più punti vendita associati, emettendo – a fronte di ogni vendita – regolare fattura.
Al riguardo, l’istante chiarisce che «Le forniture possono avvenire:
- in forza di contratto scritto che normalmente contiene anche una clausola risolutiva espressa;
- in forza di cosiddetti “ordini” periodici di merce e successive forniture».
Qualora l’istante debba procedere al recupero di crediti insoluti, «A seguito di lettera di primo intervento che contiene una diffida ad adempiere, rimasta senza riscontro, viene promossa azione monitoria verso il cliente moroso.
Qualora l’inadempimento sia grave ed ingente viene invocata la risoluzione del contratto per inadempimento (art.1454 c.c.) anche in forza, nel caso di cui alla precedente lettera i), della clausola risolutiva espressa concordata tra le Parti nel contratto di somministrazione».
Ciò premesso, l’istante chiede di sapere «quale sia la corretta operatività da seguire ai fini IVA in una serie di situazioni.
a) Risoluzione unilaterale del contratto con prestazioni continuative e periodiche.
In ipotesi di fornitura secondo le modalità di cui ai precedenti punti i) e ii) si ritiene possibile invocare la risoluzione del contratto ad esecuzione continuata o periodica per inadempimento (mancato pagamento) con conseguente emissione di nota di variazione Iva per le prestazioni non eseguite (fatture non pagate).
b) Tentativi di recupero giudiziale delle somme – società di persone.
Nel caso di società di persone, se l’esecuzione nei confronti della società risulta infruttuosa si ritiene di poter emettere la nota di variazione ai fini Iva (qualora non sia già stata emessa a seguito di risoluzione per inadempimento) e comunque si tentano le azioni nei confronti dei soci illimitatamente responsabili.
Tali azioni portano sovente a pignoramenti mobiliari di entità irrisoria o al pignoramento del quinto del salario o della pensione che, tuttavia, consentono eventualmente di recuperare, negli anni, solamente le spese sostenute per effettuare le azioni esecutive, gli accessori, gli interessi maturati e maturandi sul credito, raramente, il capitale.
Nel caso in cui sia stata emessa la nota di variazione Iva, si chiede quali conseguenze debba avere l’eventuale recupero delle somme accessorie o a titolo di capitale a fronte di esecuzione nei confronti dei soci di società illimitatamente responsabili.
c) Tentativi di recupero giudiziale delle somme – società di capitali.
Nel caso di società di capitali, se l’esecuzione nei confronti della società risulta infruttuosa si ritiene di poter emettere la nota di variazione ai fini Iva (qualora non sia già stata emessa a seguito di risoluzione per inadempimento).
Nel caso in cui siano state ottenute garanzie da parte di terzi soggetti si tentano le azioni anche nei confronti di questi ultimi.
In detto caso può accadere che si possa recuperare una parte delle somme dal garante che andranno a copertura delle spese legali, degli altri accessori, degli interessi maturati e maturandi e poi del capitale.
Nel caso in cui sia stata emessa la nota di variazione Iva, si chiede quali conseguenze debba avere l’eventuale recupero delle somme accessorie o a titolo di capitale a fronte di esecuzione nei confronti del garante.
d) Fallimento della società di capitali e pagamento parziale del garante.
Una delle situazioni che si sta concretizzando, inoltre, è la seguente.
La società di capitali è fallita e quindi è stata emessa la nota di variazione Iva.
Si prospetta la possibilità di recuperare parte della somma in capo al garante che aveva garantito il debito. Tali somme verranno imputate a recupero spese esecutive, interessi e successivamente a capitale e verranno pagate in rate mensili.
Nel caso in cui sia stata emessa la nota di variazione Iva, si chiede quali conseguenze, ai fini iva, debba avere l’eventuale recupero delle somme accessorie e/o eventualmente a titolo di capitale a fronte di esecuzione nei confronti del garante.
e) Risoluzione e riconoscimento dell’inadempimento a seguito di accordo transattivo.
Da ultimo ci si chiede se sia possibile ed entro quale termine emettere la nota di variazione Iva a fronte della risoluzione del rapporto di somministrazione (ordini continuativi e periodici) per inadempimento formalizzata in un accordo transattivo espressamente non novativo nel quale il debitore riconosce l’inadempimento e si impegna a versare una parte del debito (saldo e stralcio) a fronte dell’interruzione delle procedure esecutive comunque rimaste infruttuose o al fine di evitare il contenzioso e l’avvio delle procedure esecutive.
Ci si chiede inoltre in che termini debba essere emessa tale nota di variazione».
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
In sintesi, con riferimento a «Ipotesi sub a) si ritiene che la risoluzione per inadempimento legittimi all’emissione della nota di accredito limitatamente alle prestazioni non eseguite (cioè non pagate).
L’articolo 26, comma 9, DPR n. 633/72 prevede: “nel caso di risoluzione contrattuale relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento, la facoltà di cui al comma 2 non si estende a quelle cessioni e a quelle prestazioni per cui sia il cedente o prestatore che il cessionario o committente abbiano correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni”.
[…]
Nelle ipotesi sub b) e c) si ritiene che, ove la nota di variazione non sia stata emessa a fronte della risoluzione per inadempimento, il pignoramento negativo redatto dall’Ufficiale Giudiziario nei confronti della società ovvero la risposta all’istanza di cui all’art. 492 bis c.p.c. che attesta, a seguito dell’indagine dei dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni, l’inesistenza di beni da aggredire integrino il requisito dell’infruttuosità della procedura individuale poiché consentono mediante accesso all’anagrafe tributaria ed ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni di verificare se il debitore possegga beni o intrattenga rapporti suscettibili di originare crediti aggredibili (in tal senso vedasi risposta DR Emilia Romagna 909-1188/2020).
Del pari, con riferimento all’ipotesi sub d), a seguito delle recenti modifiche normative (art.26, comma 3-bis, lett. a) e 10-bis, DPR n. 633/72) la dichiarazione di fallimento della società legittima l’emissione della nota di variazione Iva.
Per casi sub b), c) e d), a seguito dell’emissione della nota di variazione, in caso di successiva esecuzione a carico del socio di società di persone o del garante e conseguente pignoramento del quinto della pensione o dello stipendio che vada a reintegrare la fornitrice, delle spese legali, degli altri accessori, degli interessi maturati e maturandi, quindi dei debiti più risalenti e successivamente di quelli più recenti, si ritiene di non dover assolvere ad alcun adempimento ai fini IVA trattandosi di reintegro di somme avvenuto in epoca successiva alla data di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione ed ad opera di soggetti diversi dal cliente/società nei confronti del quale si è realizzata la cessione dei beni ai fini IVA.
In caso, invece, si ritenga che sussistano degli adempimenti ai fini IVA da espletare si chiede anche sotto un profilo strettamente operativo quali siano tali adempimenti, in che forma ed in che tempi vadano espletati a fronte di incassi mensili e/o di pagamento a rate.
In particolare si chiede di precisare:
- tipologia e forma dei documenti da emettere;
- momento/termine ultimo entro cui devono essere emessi (con espresso riferimento anche all’ipotesi di pignoramento dello stipendio o pensione mensile ovvero di pagamento a rate);
- soggetto nei confronti dei quali devono essere emessi.Con riferimento all’ipotesi sub e) si ritiene che l’inadempimento (ove non sia già intervenuta la risoluzione per inadempimento di cui al punto a)) riconosciuto in un negozio transattivo espressamente non novativo legittimi la fornitrice all’emissione della nota di variazione IVA limitatamente al corrispettivo non incassato al pari di quanto dedotto in relazione all’ipotesi sub a). Si ritiene che la nota di variazione debba essere emessa entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione che nel caso di specie è costituito dalla risoluzione del contratto ad esecuzione periodica per inadempimento contestuale all’accordo transattivo».
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
L’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito decreto IVA) – nella versione vigente a decorrere dal 26 maggio 2021 – disciplina ai commi 2, 3 e 3-bis le variazioni in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta, il cui esercizio, diversamente dalle variazioni in aumento previste dal precedente comma 1, ha natura facoltativa ed è limitato alle ipotesi ivi espressamente richiamate.
In particolare, L’articolo 26, comma 2, del decreto IVA stabilisce che, «Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili […], il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25».
La disposizione è volta, in ossequio al principio di neutralità dell’imposta, ad evitare che i creditori (soggetti passivi) restino incisi di un’IVA versata all’Erario per la quale non ottengono il pagamento da parte del debitore.
La detrazione è subordinata all’emissione di una nota di variazione in diminuzione che, in base al comma 3 del medesimo articolo 26, non può essere emessa dopo un anno dall’effettuazione dell’operazione nel caso in cui gli eventi previsti dal comma 2 si verifichino in dipendenza di un sopravvenuto accordo tra le parti, ovvero nel caso di errori di fatturazione.
Con riferimento agli eventi indicati al comma 2 – che legittimano l’emissione della nota di variazione in diminuzione – la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che non è «necessario un formale atto di accertamento (negoziale o giudiziale) del verificarsi dell’anzidetta causa di risoluzione» (Cassazione 17 giugno 1996, n. 5568, Cassazione, 8 novembre 2002, n. 15696).
Non è quindi rilevante la circostanza che la risoluzione del contratto per inadempimento sia una risoluzione di diritto, laddove lo scioglimento dello stesso si realizza al verificarsi di determinati eventi specificatamente previsti dalla legge. Più nello specifico, con il principio di diritto n. 11, pubblicato il 6 agosto 2021 n e l l ‘ a p p o s i t a s e z i o n e d e l s i t o d e l l a s c r i v e n t e ( https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/normativa-e-prassi/risposte-agli- interpelli/principi-di-diritto/archivio-principi-di-diritto), è stato precisato che «Il verificarsi della condizione contemplata da una clausola risolutiva espressa apposta al contratto, quale il mancato pagamento (articolo 1456 c.c.) o l’inutile decorso del congruo termine intimato per iscritto alla parte inadempiente (articolo 1454 c.c.), può costituire il presupposto legittimante l’emissione di una nota di variazione di cui al predetto secondo comma dell’articolo 26».
In linea con quanto disposto in ambito civilistico – lì dove l’articolo 1458 del codice civile stabilisce che «La risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite» – il comma 9 dell’articolo 26 del decreto IVA prevede che «Nel caso di risoluzione contrattuale, relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento, la facoltà di cui al comma 2 non si estende a quelle cessioni e a quelle prestazioni per cui sia il cedente o prestatore che il cessionario o committente abbiano correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni».
La norma riconosce, dunque, al fornitore (adempiente) la possibilità di emettere note di credito esclusivamente con riferimento a quelle operazioni – già eseguite e fatturate – per le quali la controparte sia risultata inadempiente/insolvente. In tal caso, la risoluzione (giudiziale o di diritto) travolge le forniture per le quali si sia verificato l’inadempimento, lasciando impregiudicate quelle per le quali il cessionario/committente ha regolarmente adempiuto all’obbligo del pagamento del prezzo [cfr il principio di diritto n. 13, pubblicato il 2 aprile 2019 nell’apposita sezione del sito della scrivente ( https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/normativa-e- prassi/risposte-agli-interpelli/principi-di-diritto/archivio-principi-di-diritto)].
Al riguardo, la Corte di cassazione, con la sentenza 10 maggio 2019, n. 12468 ha chiarito che «In tema di IVA, in caso di risoluzione contrattuale relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica – nella specie: di abbonamento telefonico – il prestatore ha facoltà di variare in diminuzione la base imponibile in relazione alle prestazioni eseguite e non remunerate antecedentemente alla risoluzione per inadempimento unilaterale dell’altra parte in applicazione dell’art. 26, comma 9, del d.P.R. n. 633 del 1972 (come aggiunto dall’art. 1, comma 126, della l. n. 208 del 2015), la cui retroattività è conforme al diritto unionale, in quanto volta al ripristino della simmetria tra le parti e, quindi, a garantire la neutralità dell’imposta, il cui peso, diversamente, finirebbe col gravare irragionevolmente sul soggetto passivo».
Tanto premesso, nel presupposto – non verificabile in questa sede perché non oggetto dell’istanza – che la fattispecie, così come descritta dall’istante, sia inquadrabile nel contratto di somministrazione periodica di cose disciplinato dall’articolo 1559 del codice civile, in risposta al quesito sub a), si evidenzia che, l’avverarsi della condizione contemplata dalla clausola risolutiva espressa apposta al contratto, quale il mancato pagamento (articolo 1456 c.c.) o la scadenza del termine intimato per iscritto alla parte inadempiente (articolo 1454 c.c.), determina la risoluzione del contratto con effetti ex tunc, cioè a decorrere dalla prima fattura rimasta insoluta (cfr. in tal senso la risposta ad interpello n. 261, pubblicata l’11 agosto 2020 nell’apposita sezione del sito della scrivente ( https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/normativa-e- prassi/risposte-agli-interpelli/interpelli).
Una volta verificatosi il presupposto per operare la variazione, l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta resta subordinato alle condizioni imposte dall’articolo 19 del decreto IVA.
In proposito, come recentemente chiarito con la circolare n. 20/E del 29 dicembre 2021, «emessa tempestivamente detta nota – entro il termine di presentazione ordinario della dichiarazione annuale IVA relativa all’anno in cui si sono verificati i presupposti per operare la variazione in diminuzione – “l’imposta detratta confluirà nella relativa liquidazione periodica o, al più tardi, nella dichiarazione annuale IVA di riferimento“. Rileva, in altre parole, ai fini della detrazione, anche il momento di emissione della nota di variazione, che rappresenta il presupposto formale necessario per l’esercizio concreto del diritto» (cfr. in tal senso anche le risposte ad interpelli n. 192 e n. 119 pubblicate, rispettivamente, il 24 giugno 2020 e il 17 febbraio 2021 nell’apposita sezione del sito internet dell’Agenzia delle entrate).
Ciò nondimeno, si rammenta che la possibilità di invocare la risoluzione per inadempimento (giudiziale o di diritto), ai fini di operare la variazione in diminuzione riconosciuta dai commi 2 e 9 dell’articolo 26 del Decreto IVA, rappresenta una facoltà riconosciuta al creditore. Egli, infatti, può rinunciare a detto beneficio, scegliendo, invece, nell’ipotesi di avvio di una procedura concorsuale o esecutiva, di operare la variazione in diminuzione alle condizioni stabilite dal nuovo comma 3-bis – introdotto nell’articolo 26 del decreto IVA dall’articolo 18, comma 1, lettera b), del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73 (cd. Decreto Sostegni-bis), convertito con modificazioni dalla legge 23 luglio 2021, n. 106 – che prevede «La disposizione di cui al comma 2 si applica anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente:
- a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale o dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis del Regio Decreto 16 marzo 1942, 267, o dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267;
- a causa di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose».
Con riferimento alla predetta lettera a), l’articolo 18, comma 2, del decreto Sostegni-bis chiarisce che la previsione normativa in parola trova applicazione relativamente alle «procedure concorsuali avviate dal 26 maggio»; mentre il novello comma 10-bis – introdotto sempre nell’articolo 26 del decreto IVA dall’articolo 18, comma 1, lettera f), del decreto Sostegni-bis – precisa che il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi».
In ragione della riconosciuta possibilità di emettere la nota di variazione in diminuzione sin dall’apertura della procedura concorsuale ed indipendentemente dal suo esito (ovvero, anche nell’ipotesi di omessa insinuazione al passivo, come chiarito dalla circolare n. 20/E del 2021, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti), il nuovo comma 5-bis dell’articolo 26 del decreto IVA – introdotto dall’articolo 18, comma 1, lettera d), del decreto Sostegni-bis – prevede che «nel caso in cui, successivamente agli eventi di cui al comma 3-bis», e quindi successivamente all’emissione della nota di variazione in diminuzione, «il corrispettivo sia pagato, in tutto o in parte, si applica la disposizione di cui al comma 14», ossia l’obbligo di emettere una variazione in aumento.
Per completezza, si precisa che detto obbligo sussiste anche nell’ipotesi di variazione in diminuzione operata sin da subito – invocando la “risoluzione di diritto” del contratto – e successivo incasso del corrispettivo, in tutto o in parte, all’esito della procedura concorsuale.
Quanto, invece, alle ipotesi contemplate alla lettera b) del medesimo comma 3- bis, il comma 12 dell’articolo 26 del Decreto IVA, in vigore dal 1° gennaio 2016, chiarisce che «una procedura esecutiva individuale si considera in ogni caso infruttuosa:
- nell’ipotesi di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare;
- nell’ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità;
- nell’ipotesi in cui, dopo che per tre volte l’asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità».
Al riguardo, la risoluzione 16 maggio 2008, n. 195 già in precedenza aveva chiarito che «il diritto alla variazione è subordinato all’avvenuto accertamento dell’infruttuosità della procedura, dovendosene escludere l’insorgenza a seguito della mera pendenza della stessa. […] Con riferimento alle procedure esecutive» il momento genetico del diritto alla variazione IVA «viene ad esistenza quando il credito del cedente o prestatore del servizio non trova soddisfacimento attraverso la distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni dell’esecutato, ossia quando sia stata accertata e documentata dagli organi della procedura l’insussistenza di beni da assoggettare all’esecuzione».
È altresì opportuno precisare che la risoluzione per inadempimento (giudiziale o di diritto) o l’avvio della procedura esecutiva sono due percorsi tra loro alternativi ai fini di operare la variazione in diminuzione, essendo il primo una facoltà riconosciuta al creditore che non intenda procedere in via esecutiva per recuperare il proprio credito, ritenendo l’iniziativa poco proficua. Dunque, il creditore che decide di avviare l’azione esecutiva, rinuncia al suo diritto di invocare la risoluzione contrattuale quale presupposto per emettere la nota di credito e deve, quindi, a tal fine attendere l’esito infruttuoso della procedura.
Conseguentemente, in risposta ai quesiti sub b), c) e d), si ritiene che l’istante, qualora non si sia avvalso della possibilità di operare la variazione in diminuzione alle condizioni stabilite dai commi 2 e 9 dell’articolo 26 del decreto IVA (ed in ogni caso prima dell’avvio dell’eventuale procedura esecutiva), potrà comunque effettuare la variazione:
- dalla data della dichiarazione di fallimento del debitore;
- dal momento del definitivo accertamento dell’infruttuosità dell’azione per l’insussistenza di beni da assoggettare all’esecuzione, documentato dagli organi della procedura (cd. verbale di pignoramento negativo, predisposto dall’Ufficiale giudiziario anche all’esito delle indagini eseguite con modalità telematiche in base all’articolo 492- bis del codice civile).
Qualora poi, successivamente alle variazioni in parola – a fronte dell’avvio di azioni esecutive a carico dei soci illimitatamente responsabili di società di persone, ovvero del garante del debito di società di capitali – l’istante riesca ad incassare somme (benché ratealmente e a mezzo di pignoramento dello stipendio o della pensione) indistintamente imputabili a spese legali per le azioni intraprese, interessi, accessori e per il residuo a capitale, detti importi, riconducibili comunque per natura al corrispettivo non percepito, saranno oggetto di fatture autonome e distinte da emettere nei confronti dell’originario debitore al momento dell’incasso, ripartiti proporzionalmente tra imponibile ed imposta (in tal senso si è già espressa la prassi, sebbene, specularmente, con riferimento alla nota di variazione in diminuzione, con la risoluzione 3 aprile 2008, n. 127 e, più di recente, con la risposta ad interpello n. 801 pubblicata il 3 dicembre 2021 nell’apposita sezione del sito della scrivente ( www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/normativa-e-prassi/risposte-agli- interpelli/interpelli).
Da ultimo, si ritiene che la fattispecie rappresentata con il quesito sub e) rientri tra le ipotesi di variazione in diminuzione contemplate al comma 3 dell’articolo 26 del decreto IVA, consentita entro «un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile» (e non come prospettato dall’istante «entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione») qualora la «risoluzione» contemplata al comma 2 della medesima norma si verifichi «in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti». In detta ipotesi, ovviamente, l’importo recato dalla nota di credito sarà pari alla somma oggetto di rinuncia all’incasso per effetto dell’accordo transattivo, sempre ripartita proporzionalmente tra imponibile ed imposta.
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