AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 18 dicembre 2018, n. 113
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – Note di variazione IVA nel concordato preventivo con continuità aziendale
Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente:
Quesito
La società [ALFA] (di seguito istante) ha posto il quesito qui di seguito sinteticamente riportato. In particolare, l’istante riferisce di aver presentato il […] proposta di concordato in continuità ai sensi dell’articolo 186-bis del regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942 (di seguito, legge fallimentare o L.F.), omologato dal Tribunale di […] in data […].
Trattasi di una ristrutturazione aziendale di durata quadriennale che prevede la continuità dell’attività di impresa, focalizzata sulla produzione di alcuni prodotti con più elevati margini di ricavo, nonché sulla liquidazione dei beni non più funzionali allo svolgimento dell’attività così come ridefinita.
L’istante evidenzia che i creditori chirografari sono stati suddivisi in tre classi con percentuali di soddisfacimento dei relativi crediti nelle misure del […],[…] e […] per cento. I rispettivi pagamenti sono stati concordati in rate semestrali da corrispondere nel quadriennio […]. L’istante precisa che attualmente tali obbligazioni sono state integralmente adempiute.
Il piano relativo alla proposta di concordato prevede, inoltre, che il corrispettivo della vendita dei beni non più funzionali all’attività riparametrata sia prioritariamente destinato a copertura degli oneri connessi al giudizio in corso con uno dei creditori della società. L’eventuale residuo di detto corrispettivo è da destinare ai creditori chirografari in aggiunta a quanto già percepito sulla base delle percentuali individuate dal piano concordatario. L’istante rende noto che “l’udienza di precisazione conclusioni” relativa a detto contenzioso è prevista presso il Tribunale di […] in data […].
Nel presupposto che, per effetto del concordato, i creditori rimasti insoddisfatti emetteranno note di variazione ai sensi dell’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, per recuperare l’IVA relativa alla parte di credito “falcidiata”, l’istante chiede chiarimenti con riguardo alle seguenti questioni:
a) quale sia il dies a quo a partire dal quale i creditori ammessi alla descritta procedura concorsuale sono legittimati ad emettere le note di variazione IVA;
b) se il debitore assoggettato alla procedura (l’istante) sia obbligato a registrare le note di variazione nel caso in cui le stesse risultino emesse decorso il termine previsto dal combinato disposto dell’articolo 26, comma 2 e dell’articolo 19, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972;
c) se ricada sul medesimo soggetto istante l’obbligo di versare l’IVA esposta nelle predette note di variazione, emesse e ricevute entro e oltre il termine sopra richiamato.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, l’istante, richiamando la prassi sul tema, ritiene che:
a) il momento che legittima l’emissione delle note di variazione IVA da parte dei creditori ammessi al concordato preventivo in continuità decorre dal passaggio in giudicato del decreto di omologazione del concordato che, nel caso di specie, è la data del […];
b) da tale data decorre il termine entro cui i creditori possono emettere le note di variazione ed esercitare il diritto alla detrazione, sulla base dell’articolo 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 all’epoca vigente (entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto). Pertanto, per le note di variazione successive a tale termine l’istante ritiene di non essere tenuta all’obbligo di registrazione;
c) il debitore concordatario non e debitore dell’IVA relativa alle note di variazione ricevute, a prescindere dal termine entro cui sono state emesse.
Parere dell’agenzia delle entrate
L’articolo 26, comma 2 del d.P.R. 633 del 1972 prevede che, “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25.”
Con riguardo specifico alle procedure concorsuali o esecutive, il diritto alla variazione e subordinato alla “infruttuosità” delle stesse, perché è solo al verificarsi di tale condizione che si ha una ragionevole certezza dell’incapienza del patrimonio del debitore. Nello specifico caso del concordato preventivo, la circolare del 17 aprile 2000 n. 77/E (e più di recente la circolare del 7 aprile 2017, n. 8/E, par. 13.2) ha ritenuto che si possa parlare di infruttuosità della procedura solamente per i creditori chirografari per la parte percentuale del loro credito che non trova accoglimento con la chiusura del concordato. Per accertare la predetta infruttuosità, occorre aver riguardo oltre che alla sentenza di omologazione (articolo 181) divenuta definitiva, anche al momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato. Fino a tale data, infatti, il concordato può essere risolto e può essere dichiarato il fallimento.
In base a tali principi, suscettibili di applicazione anche al concordato preventivo in continuità, i creditori chirografari, dal momento in cui viene portato a compimento il piano di riparto, possono emettere la nota di variazione in diminuzione, fermo restando il diritto ad esercitare la detrazione entro il termine previsto dall’articolo 19, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972.
Con la risoluzione n. 89/E del 18 marzo 2002, è stato, infatti, chiarito che “le variazioni possono essere effettuate senza limiti temporali, anche se il diritto alla detrazione dell’imposta può essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si verifica il presupposto per operare la variazione in diminuzione.”.
Si ricorda che, per effetto delle modifiche recate all’articolo 19, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972dall’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, “Il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile ed è esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all’ anno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo.”. A norma del successivo comma 2-bis, tale disposizione si applica alle fatture e alle bollette doganali emesse dal 1° gennaio 2017.
Pertanto, laddove il dies a quo per l’emissione delle note di variazione sia antecedente il 1° gennaio 2017, il diritto alla detrazione può essere esercitato “con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto”; a decorrere invece dal 1° gennaio 2017, la detrazione può essere esercitata al più tardi “con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto”.
La nota di variazione emessa decorsi tali termini, non legittima l’emittente alla detrazione e non obbliga alla registrazione chi la riceve. Non ha, invece, alcuna rilevanza ai fini del diritto alla detrazione la data di ricezione della nota di variazione.
Limitatamente alla nota di variazione emessa entro i predetti termini, si pone, infine, il quesito se ricada sul debitore concordatario l’obbligo di versare l’IVA relativa.
Il comma 5 del citato articolo 26 dispone che, “Ove il cedente o prestatore si avvalga della facoltà di cui al comma 2, il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi dell’articolo 25, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’articolo 23 o dell’articolo 24, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa”.
Con la risoluzione del 17 ottobre 2001, n. 161/E, l’Agenzia ha chiarito che, se, da un lato, la riduzione dei crediti non assistiti da privilegio per effetto della procedura di concordato preventivo ex articolo 160 della L.F. legittima il creditore ad emettere una nota di variazione ai sensi dell’articolo 26, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, al fine di adeguare l’imposta al corrispettivo effettivamente incassato, dall’altro, la regola generale di cui al successivo comma 5 deve essere interpretata tenendo conto della disciplina e degli effetti tipici del concordato preventivo, nella parte in cui consente al debitore di evitare la dichiarazione di fallimento adempiendo gli obblighi assunti nei confronti dei creditori.
In particolare, è stato puntualizzato che, essendo la nota di variazione relativa ad un debito sorto prima dell’avvio della procedura concorsuale, la sua registrazione non comporta, per il debitore concordatario, l’obbligo di rispondere verso l’Erario di un debito sul quale si sono già prodotti gli effetti estintivi del concordato preventivo. Diversamente – conclude il citato documento di prassi – si avrebbe una deroga all’efficacia liberatoria della procedura, da ritenersi ingiustificata in relazione alle norme che dispongono l’estinzione di ogni debito sorto anteriormente all’inizio della procedura medesima.
Nel predetto documento di prassi, le cui posizioni sono state ribadite con la citata circolare n. 8/E del 2017, la rettifica della detrazione non viene considerata doverosa alla luce delle stesse logiche che ispirano la procedura concorsuale e della più ampia finalità di esdebitazione del debitore cui la medesima è orientata.
Tale interpretazione è, peraltro, coerente con la previsione contenuta al comma 2 dell’articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale, nella vigente formulazione, qualifica le procedure concorsuali come causa del “mancato pagamento in tutto o in parte” del prezzo convenuto e con l’articolo 185, paragrafo 2, della Direttiva 2006/112/CE, che dispone una deroga all’obbligo di rettifica della detrazione in caso di variazione dell’imposta proprio nell’ipotesi di “operazioni totalmente o parzialmente non pagate”.
La fattispecie in esame è stata recentemente affrontata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 22 febbraio 2018, resa nella causa C-396/16.
La citata sentenza si esprime, in particolare, in merito all’applicabilità, nell’ambito del concordato preventivo, dei principi contenuti nell’articolo 185 della predetta direttiva IVA, concernenti la rettifica dell’IVA detratta, secondo cui:
“1. La rettifica ha luogo, in particolare, quando, successivamente alla dichiarazione dell’IVA, sono mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni, in particolare, in caso di annullamento di acquisti o qualora si siano ottenute riduzioni di prezzo.
2. In deroga al paragrafo 1, la rettifica non è richiesta in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate, in caso di distruzione, perdita o furto debitamente provati o giustificati, nonché in caso di prelievi effettuati per dare regali di scarso valore e campioni di cui all’articolo 16. In caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate e in caso di furto gli Stati membri possono tuttavia esigere la rettifica”.
In merito, la Corte dichiara che:
“1) L’articolo 185, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che la riduzione delle obbligazioni di un debitore risultante dall’omologazione definitiva di un concordato costituisce un mutamento degli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni, ai sensi di tale disposizione.
2) L’articolo 185, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2006/112 deve essere interpretato nel senso che la riduzione delle obbligazioni di un debitore risultante dall’omologazione definitiva di un concordato non costituisce un caso di operazione totalmente o parzialmente non pagata che non dà luogo a una rettifica della detrazione operata inizialmente, allorché tale riduzione è definitiva, circostanza che spetta, tuttavia, al giudice del rinvio verificare.
3) L’articolo 185, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2006/112 deve essere interpretato nel senso che, al fine di attuare la facoltà prevista in tale disposizione, uno Stato membro non è tenuto a prevedere espressamente un obbligo di rettifica delle detrazioni in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate.”
La normativa nazionale (articolo 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972), tuttavia, come già detto, qualifica le procedure concorsuali come causa del “mancato pagamento in tutto o in parte del prezzo convenuto”, cui consegue il diritto del debitore al mantenimento della detrazione dell’IVA conseguente all’operazione originaria.
Stante la vigente formulazione del citato articolo 26, comma 2 del decreto IVA, in applicazione dell’articolo 185, paragrafo 2, della direttiva IVA, restano confermati i chiarimenti finora resi nei documenti di prassi richiamati.
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