AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 30 ottobre 2018, n. 54
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n.212 – Note di variazione IVA nel concordato preventivo con continuità aziendale
Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente:
Quesito
La ALFA S.p.A. (di seguito istante), operante nel settore ……, ha presentato in data ……… domanda di ammissione alla procedura di “concordato con continuità aziendale” ex articolo 186-bis del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito, legge fallimentare o L.F.), approvata dal Tribunale di …….. con decreto del ………. (di seguito, il “Concordato”).
Il Concordato, omologato in data ………., prevede il pagamento integrale dei soli creditori privilegiati e il pagamento nella misura percentuale del 12,665 per cento dei crediti chirografari, con conseguente falcidia concordataria dell’87,335 per cento sui predetti crediti non privilegiati.
Nel presupposto che, alla chiusura del concordato, i creditori rimasti insoddisfatti emetteranno note di variazione ai sensi dell’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, per recuperare l’IVA relativa alla parte di credito “falcidiata”, l’istante chiede chiarimenti in merito al trattamento da riservare all’imposta addebitata con le predette note di variazione. In particolare, chiede se possano applicarsi al “concordato con continuità aziendale” le indicazioni contenute nella risoluzione del 17 ottobre 2001, n. 161/E, relativamente al concordato preventivo ex articolo 160 della L.F., laddove è stato chiarito che la società in concordato, dopo aver ricevuto le note di variazione IVA relative ai debiti chirografari oggetto di falcidia, è obbligata ad annotarle nei registri IVA (registro delle fatture di vendita con segno positivo o di acquisto con segno negativo) ma non anche a versare all’Erario l’IVA oggetto di rettifica.
L’istante chiede, altresì, se le predette indicazioni siano ancora attuali, nonostante le modifiche recentemente subite dal citato articolo 26, del d.P.R. n. 633 del 1972, dapprima ad opera dell’articolo 1, comma 127 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) e successivamente dall’articolo 1, comma 567 della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017), che ha sostanzialmente ripristinato la normativa previgente.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante richiama la recente circolare del 7 aprile 2017, n. 8/E, con cui è stato chiarito – con riguardo al fallimento – che laddove il cedente/prestatore si avvalga della facoltà di emettere una nota di variazione in diminuzione, gli organi della procedura sono tenuti ad annotare nel registro IVA la corrispondente variazione in aumento, senza che tale adempimento determini l’inclusione del relativo credito IVA e nel riparto finale, ormai definitivo, ma soltanto allo scopo di evidenziare il credito eventualmente esigibile nei confronti del fallito tornato in bonis.
L’istante ritiene che tali indicazioni possano applicarsi anche al concordato con continuità aziendale ex articolo 186-bis L.F., sicché le note di variazione emesse dai creditori per recuperare l’IVA relativa al credito oggetto di falcidia vanno registrate nei registri IVA senza che tale adempimento determini un obbligo di versamento dell’imposta.
Parere dell’agenzia delle entrate
L’articolo 26, comma 2 del d.P.R. 633 del 1972 prevede che, “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25.”
Il successivo comma 5 dispone a sua volta che, “Ove il cedente o prestatore si avvalga della facoltà di cui al comma 2, il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi dell’articolo 25, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’articolo 23 o dell’articolo 24, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa”.
Con la risoluzione del 17 ottobre 2001, n. 161/E, l’Agenzia ha chiarito che, se, da un lato, la riduzione dei crediti non assistiti da privilegio per effetto della procedura di concordato preventivo ex articolo 160 della L.F., legittima il creditore ad emettere una nota di variazione ai sensi dell’articolo 26, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, al fine di adeguare l’imposta al corrispettivo effettivamente incassato, dall’altro, la regola generale di cui al successivo comma 5, deve essere interpretata tenendo conto della disciplina e degli effetti tipici del concordato preventivo, nella parte in cui consente al debitore di evitare la dichiarazione di fallimento adempiendo gli obblighi assunti nei confronti dei creditori.
In particolare, è stato puntualizzato che, essendo la nota di variazione relativa ad un debito sorto prima dell’avvio della procedura concorsuale, la sua registrazione non comporta, per il debitore concordatario, l’obbligo di rispondere verso l’Erario di un debito sul quale si sono già prodotti gli effetti estintivi del concordato preventivo. Diversamente – conclude il citato documento di prassi – si avrebbe una deroga all’efficacia liberatoria della procedura, da ritenersi ingiustificata in relazione alle norme che dispongono l’estinzione di ogni debito sorto anteriormente all’inizio della procedura medesima.
Nel predetto documento di prassi, le cui posizioni sono state ribadite con la circolare n. 8/E del 2017, la rettifica della detrazione non viene considerata doverosa alla luce delle stesse logiche che ispirano la procedura concorsuale e della più ampia finalità di esdebitazione del debitore cui la medesima è orientata.
Tale interpretazione è, peraltro, coerente con la previsione contenuta al comma 2 dell’articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1973, il quale, nella vigente formulazione, qualifica le procedure concorsuali come causa del “mancato pagamento in tutto o in parte” del prezzo convenuto e con l’articolo 185, paragrafo 2, della Direttiva 2006/112/CE, che dispone una deroga all’obbligo di rettifica della detrazione in caso di variazione dell’imposta proprio nell’ipotesi di “operazioni totalmente o parzialmente non pagate”.
Occorre, tuttavia, evidenziare come la fattispecie in esame sia stata recentemente affrontata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 22 febbraio 2018, resa nella causa C-396/16.
La citata sentenza si esprime, in particolare, in merito all’applicabilità, nell’ambito del concordato preventivo, dei principi contenuti nell’articolo 185 della predetta direttiva IVA, concernenti la rettifica dell’IVA detratta, secondo cui:
“1. La rettifica ha luogo, in particolare, quando, successivamente alla dichiarazione dell’IVA, sono mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni, in particolare, in caso di annullamento di acquisti o qualora si siano ottenute riduzioni di prezzo.
2. In deroga al paragrafo 1, la rettifica non è richiesta in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate, in caso di distruzione, perdita o furto debitamente provati o giustificati, nonché in caso di prelievi effettuati per dare regali di scarso valore e campioni di cui all’articolo 16. In caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate e in caso di furto gli Stati membri possono tuttavia esigere la rettifica”.
In merito, la Corte dichiara che:
“1) L’articolo 185, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che la riduzione delle obbligazioni di un debitore risultante dall’omologazione definitiva di un concordato costituisce un mutamento degli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni, ai sensi di tale disposizione.
2) L’articolo 185, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2006/112 deve essere interpretato nel senso che la riduzione delle obbligazioni di un debitore risultante dall’omologazione definitiva di un concordato non costituisce un caso di operazione totalmente o parzialmente non pagata che non dà luogo a una rettifica della detrazione operata inizialmente, allorché tale riduzione è definitiva, circostanza che spetta, tuttavia, al giudice del rinvio verificare.
3) L’articolo 185, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2006/112 deve essere interpretato nel senso che, al fine di attuare la facoltà prevista in tale disposizione, uno Stato membro non è tenuto a prevedere espressamente un obbligo di rettifica delle detrazioni in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate.”
La normativa nazionale (articolo 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1973), tuttavia, come già detto, qualifica le procedure concorsuali come causa del “mancato pagamento in tutto o in parte del prezzo convenuto”, cui consegue il diritto del debitore al mantenimento della detrazione dell’IVA conseguente all’operazione originaria.
Stante la vigente formulazione del citato articolo 26, comma 2 del decreto IVA, in applicazione dell’articolo 185, paragrafo 2, della direttiva IVA, restano confermati i chiarimenti finora resi nei documenti di prassi richiamati.
Conseguentemente, sulla base delle suesposte considerazioni, la soluzione prospettata dal contribuente è condivisibile.
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