AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 17 dicembre 2018, n. 110
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – Note di variazione IVA nel piano attestato di risanamento
Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente:
Quesito
La società [ALFA] (di seguito istante), ha esposto la questione qui di seguito sinteticamente riportata.
Negli ultimi anni l’istante si è trovata in stato di crisi, che l’ha condotta ad una ristrutturazione dei debiti omologata dal Tribunale di […] in data […], ex articolo 182 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito, legge fallimentare o L.F.) e ad un successivo piano di risanamento – attestato in data […] e pubblicato presso il Registro delle Imprese di […] in data […]- ex articolo 67, comma 3, lettera d) della L.F., con sensibile falcidia della pretesa creditoria e ritorno in bonis della istante entro il […].
A fronte del piano così come depositato, un creditore dell’istante ha già emesso nota di credito IVA per la parte del credito falcidiato al fine di recuperare, ai sensi dell’articolo 26, comma 2 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, l’IVA originariamente addebitata all’istante a titolo di rivalsa. Il ricevimento della nota di variazione, avvenuto in data […], pone in capo alla società istante il problema della sua corretta rappresentazione formale e sostanziale, e della consequenziale rettifica ai fini IVA del debito d’imposta dell’anno 2018. Si pone cioè il problema sul se, come e quando annotare la variazione IVA rappresentata dal documento emesso dalla controparte, e sull’insorgenza dei relativi obblighi di versamento.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, l’opinione dell’istante è nel senso che l’IVA esposta nella nota emessa ex articolo 26 del d.P.R. 633 del 1972 da un soggetto creditore in costanza e per gli effetti del piano concorsuale di cui all’articolo 67 della L.F. (piano di risanamento) debba essere tempestivamente registrata dal soggetto in regime di risanamento, ma che non dia luogo all’obbligo di versamento del tributo se non al termine del piano di risanamento, e in caso di successo dello stesso. L’istante ha, su questo assunto, provveduto alla tempestiva registrazione della nota di credito, ricevuta in data […]n. […] ed emessa da […], ma ritiene di non dover provvedere al versamento della relativa imposta entro gli ordinari termini di legge ma solo a conclusione del piano di risanamento, ossia – nel caso di specie – solo successivamente al […].
L’istante osserva, tra l’altro, come il piano di risanamento di cui all’articolo 67, comma 3 lettera d), della L.F., rientri fra le procedure lato sensu concorsuali ed abbia l’obiettivo di far rientrare in bonis un’impresa in stato di crisi, attraverso una procedura consensuale satisfattiva per la massima parte possibile delle ragioni creditorie.
L’ascrivibilità del piano di risanamento all’ambito delle procedure lato sensu concorsuali farebbe sì che, anche nel caso dei piani di risanamento ex articolo 67 della L.F., il differimento del versamento dell’imposta di cui alla nota di variazione dovrebbe aver luogo sino al momento in cui il piano abbia concreta attuazione e realizzazione puntuale, in modo non dissimile a ciò che accade al debito d’imposta in una procedura concorsuale propriamente detta.
Nel ragionamento articolato dall’istante, la sorte del debitore in costanza di piano ex articolo 67 L.F., e per tutta la sua durata, sarebbe contraddistinta da una oggettiva alea in merito all’an e al quantum il debitore riuscirà ad adempiere agli obblighi assunti. Tale oggettiva incertezza risolvibile solo ex post, permetterebbe l’assimilazione anche ai fini IVA, come già ai fini delle imposte dirette, della procedura in questione a quella fallimentare e del concordato preventivo. In tale ottica, solo al termine del periodo temporale coperto dall’accordo sarà possibile vagliare l’adempimento effettivo del debitore: solo alla fine di questo periodo sarà possibile, per questo, versare correttamente l’IVA afferente alla nota di variazione più volte sopra richiamata.
Ne consegue – assume l’istante – come fino al termine del piano, attestato al […], lo stesso non possa ritenersi tornato in bonis e pertanto fino a tale data non debba versare l’IVA afferente alla citata nota di credito ricevuta da […].
Parere dell’agenzia delle entrate
L’articolo 26, comma 2 del d.P.R. 633 del 1972 prevede che, “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25”.
Il successivo comma 5 dispone a sua volta che, “Ove il cedente o prestatore si avvalga della facoltà di cui al comma 2, il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi dell’articolo 25, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’articolo 23 o dell’articolo 24, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa”.
Con la circolare del 7 aprile 2017 n. 8/E, in linea con quanto già espresso con la risoluzione n. 155/E del 12 ottobre 2001, l’Agenzia ha precisato come, in relazione alla procedura concorsuale del fallimento, a fronte della facoltà di eseguire la variazione in diminuzione “…gli organi della procedura sono tenuti ad annotare nel registro Iva la corrispondente variazione in aumento; tale adempimento, tuttavia, non determina l’inclusione del relativo credito IVA vantato dall’Amministrazione nel riparto finale, ormai definitivo, ma consente di evidenziare il credito eventualmente esigibile nei confronti del fallito tornato in bonis”.
Quanto sopra detto con riguardo ai fallimenti, non può tuttavia applicarsi al piano di risanamento aziendale di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), della L.F., non riconducibile, come tale, alle predette procedure concorsuali.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, “il piano di risanamento ex art. 67 non è una ‘procedura concorsualè. La sua natura non partecipa, per essere più precisi, né al primo, né al secondo termine della richiamata espressione. Alla vicenda di strutturazione e conformazione del piano non concorre alcun intervento giudiziale, sia esso di valutazione oppure di controllo.
Né ha luogo discorrersi di una partecipazione del ceto creditorio (tanto meno se assunta in termini di necessaria partecipazione). La giurisprudenza di questa Corte ha già rilevato, d’altro canto, che la vicenda espressa dal piano non raffigura una “procedura”, rientrando invece nell’amplissimo genere delle “convenzioni stragiudiziali” (cfr. Cass., 5 luglio 2016, n. 13719). Sulla scia di questa indicazione si può in via di specificazione procedere pure rilevando che il piano in questione è in realtà frutto di una decisione dell’impresa, come attinente alla programmazione della propria futura attività e intesa al risanamento della relativa “situazione finanziaria”. Decisione che nella sua traduzione operativa, poi, viene di necessità ad avvalersi dell’attività contrattuale di un professionista indipendente, per la funzione di attentatore (recte, attestatore, ndr), e che può anche venire a comportare, nel caso, la conclusione di convenzioni con creditori o terzi in genere: secondo un ventaglio di ipotesi per la verità assai articolato, che nel suo ambito va a ricomprendere tanto i consulenti tecnici di effettiva predisposizione al piano, quanto gli eventuali acquirenti di assets aziendali.
Decisione così determinante, in ogni caso, da riguardare addirittura la stessa eventualità di “esternalizzazione” del piano, portandolo così a conoscenza dei creditori in genere e del mercato: a mezzo appunto della scelta di pubblicarlo o meno nel registro delle imprese a mente dell’ultimo periodo dell’art. 67, comma 3, lett. d., che di per sé rappresenta una scelta propria dell’autonomia di impresa.
“7.- E’ senz’altro da escludere, d’altra parte, che la norma dell’art. 111 sia da leggere e interpretare come se essa si riferisse anche alle composizioni negoziali delle crisi di impresa.” (Corte di cassazione n. 1895 del 25 gennaio 2018).
In linea con il citato orientamento della Suprema corte, si richiamano i precedenti chiarimenti di cui alla circolare 8 aprile 2016, n. 12/E, risposta al quesito n. 13.2, a commento delle modifiche recate dall’articolo 1, comma 126 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) all’articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972. In particolare, la circolare si sofferma sulle disposizioni contenute nel secondo periodo del comma 5 [ante modifica recata, a decorrere dal 1° gennaio 2017, dall’articolo 1, comma 567, lett. d), della legge 11 dicembre 2016, n. 232], affermando che “l’obbligo del cessionario o committente di registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa, ‘non si applica nel caso di procedure concorsuali di cui al comma 4, lettera a)’ “. In proposito, la predetta circolare puntualizza che “Il richiamo alle sole procedure concorsuali comporta che nell’ipotesi di accordo di ristrutturazione dei debiti ovvero di un piano attestato ai sensi, rispettivamente, dell’art. 182-bis e dell’art. 67, terzo comma, lett. d), della legge Fallimentare, permane l’obbligo del cessionario o committente di registrare la variazione, in rettifica della detrazione originariamente operata. Pertanto, il cedente o prestatore del servizio può portare in detrazione l’IVA, nella misura esposta nella nota di variazione, mentre la controparte è tenuta a ridurre in pari misura la detrazione che aveva effettuato, riversando l’imposta all’Erario”.
Il citato chiarimento, seppur riferito ad una disposizione poi modificata [il citato articolo 1, comma 567, lett. d), della legge n. 232 del 2016, ha soppresso la previsione secondo cui l’obbligo di registrazione della nota di variazione da parte del committente/cessionario “non si applica nel caso di procedure concorsuali di cui al comma 4, lettera a)”] conserva, comunque, una sua attualità al fine di declinare gli istituti riconducibili tra le “procedure concorsuali” cui si riferisce il comma 2 dell’articolo 26.
In ragione di quanto sin qui rappresentato, si ritiene, in conclusione, che, nell’ipotesi di piano attestato ex articolo 67 della L.F. il debitore abbia l’obbligo, non solo di registrare la nota di variazione in diminuzione, ma anche di procedere al riversamento della relativa imposta all’Erario senza attendere la conclusione del piano di risanamento.
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