La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 38335 depositata il 18 settembre 2013 intervenendo in tema di reati fiscali ha affermato che nella fattispecie di omessa presentazione della dichiarazione IVA con riferimento alla quale l’incarico era stato affidato ad un consulente esterno, l’ignoranza della legge penale scusa l’autore dell’illecito solo se incolpevole a cagione della sua inevitabilità richiamando la sentenza della Corte Costituzionale del 1988 n. 364.
L’imputato, condannato dal Tribunale, proponeva appello sostenendo la mancanza di prova del dolo specifico che è il presupposto per il reato contestato, essendo emersa la sua più totale estraneità alla tempistica di tali obblighi; la corte di appello riteneva tuttavia che non può avere valenza esimente la circostanza che dell’adempimento fiscale de quo potesse essere stato dato incarico a consulente, rimanendo l’obbligo relativo a carico del contribuente.
Avverso la sentenza dei giudici di merito l’imputato proponeva ricorso alla Corte Suprema lamentando violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza assumendo che il reato contestato – avendo natura dolosa e non colposa – necessita del dolo specifico, che nel caso di specie il reato andava escluso, quanto meno sotto il profilo della mancanza dell’elemento soggettivo, assumendo l’imputato di non essere a conoscenza nè dell’obbligo di dover pagare l’imposta nè delle scadenze temporali previste per questo adempimento.
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato.
I Giudici di legittimità evidenziano che l’imputato vorrebbe sostenere l’ignoranza sull’esistenza degli obblighi violati che consistono, in sostanza, di ignoranza su obblighi connessi alle dichiarazioni tributarie e, dunque, su norme extrapenali integratrici del precetto. Tuttavia – continuano i giudici della Corte Suprema – tali norme sono in esso incorporate e, pertanto, vanno considerate come legge penale.
Di conseguenza, non vi può essere un problema di scusabilità dell’errore sul fatto così come disciplinato dall’art. 47 c.p., comma 3, ma solo di ignoranza della legge penale che va risolto in base all’art. 5 c.p..
Per il comune cittadino la predetta condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosidetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia.
Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis” nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto.
Nel caso in esame, nulla di tutto ciò è ravvisabile nemmeno astrattamente: ricadendo l’asserita ignoranza su obblighi di conoscenza generale specialmente per chi, come l’imputato, opera quale amministratore di società.
Quanto al fatto che il compito fosse stato affidato ad un consulente (secondo il ricorrente ciò comporterebbe al massimo un profilo di culpa in vigilando insufficiente come tale a configurare il dolo specifico richiesto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5) la Suprema Corte non ravvisa vizi nella sentenza di appello: i giudici di appello hanno chiarito come l’incarico al consulente non escluda l’obbligo del contribuente, il quale rimane comunque direttamente tenuto all’assolvimento degli obblighi indipendentemente dalla presenza di un consulente.
Per cui per gli Ermellini la tesi del mero omesso controllo – che implicherebbe la sussistenza di un esclusivo profilo di colpa – manca dunque di qualsiasi fondamento rispetto alle motivazioni della sentenza impugnata.
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