La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 19196 del 21 aprile 2017 intervenendo in tema di reati tributari ha confermato che il reato di omessa dichiarazione, di cui all’art. 5 del DLgs. 74/2000, si “consuma” solo una volta decorso il novantesimo giorno successivo all’ultima scadenza concessa dalle leggi per la presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi o ai fini IVA (in termini vedasi anche Cass. nn. 17120/2015 e 48304/2016).
La vicenda ha riguardato un ex amministratore che si era dimesso prima dello spirare dei 90 giorni successivi alla scadenza per la presentazione della dichiarazione, il quale veniva riconosciuto colpevole sia in primo che in secondo grado dai giudici di merito del reato di cui all’articolo 5 comma 2 del D.Lgs. n. 74/2000. Nel caso di specie si trattava di un delitto di pura omissione che, in presenza di un’imposta evasa superiore alla soglia, si consuma non nel momento in cui scade il termine per la presentazione fissato dalla norma tributaria, ma, in virtù di quanto sancito dall’art. 5 comma 2 del DLgs. 74/2000, con il decorso di 90 giorni dalla scadenza del suddetto termine.
L’imputato impugna la decisione dei giudici di appello con ricorso in cassazione basato su due motivi.
Gli Ermellini hanno ritenuto inammissibile il ricorso proposto. I giudici di legittimità, pur muovendosi in conformità ai precedenti orientamenti, affermano il seguente principio di diritto: “Il termine dilatorio di giorni novanta, concesso al contribuente per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario (art. 5, comma secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74), non si configura quale elemento di una causa di non punibilità, ma costituisce un termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, e per individuare il momento consumativo, ma non scrimina chi alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione era tenuto a presentare la dichiarazione, eventualmente anche in concorso con il nuovo obbligato nei 90 giorni di proroga (nel caso di specie il rappresentante della società si era dimesso appena dopo la scadenza del termine per presentare la dichiarazione)”.
Le precisazioni contenute nel secondo periodo del principio di diritto non appaiono coerenti con il presupposto di partenza. Come già accennato, alla luce delle indicazioni di autorevole dottrina deve ritenersi che l’espressione “non si considera omessa” faccia pensare che fino al novantesimo giorno successivo non solo non vi sia “punibilità”, ma non vi sia “alcuna omissione”. Vale a dire che la tipicità dell’omissione prende corpo solo allo scadere del termine di 90 giorni successivi all’originario termine tributario.
In una precedente sentenza la Cassazione ha affermato che secondo la testuale formulazione dell’art. 5 comma 2 del DLgs. 74/2000, il periodo di 90 giorni concesso al contribuente per presentare la dichiarazione non è configurato quale causa di non punibilità del reato già consumato, bensì quale ulteriore termine per l’adempimento (“non si considera omessa la dichiarazione”), equiparato sul piano concreto alle altre irregolarità previste (dichiarazione non sottoscritta o non redatta su stampato conforme al modello prescritto).(Cassazione n. 43695/2011)
Il termine di prescrizione del reato di omessa dichiarazione comincia a decorrere dal novantunesimo giorno successivo alla scadenza del termine stabilito dalla legge per la presentazione della dichiarazione annuale (cfr. Cass. nn. 17120/2015 e 48304/2016).
L’ulteriore termine dei 90 giorni non si limita a porsi come mera ipotesi di generica causa di non punibilità, ma delinea la fisionomia del più importante degli elementi costitutivi del reato: la condotta tipica.
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