La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29751 dell’11.07.2013 ha confermato l’attuale orientamento giurisprudenziale sull’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi. Per cui secondo la Corte Suprema, le difficoltà finanziarie dell’azienda non esonerano dalla responsabilità penale l’imprenditore che non versa l’Iva. Neppure in prossimità del fallimento si possono privilegiare fornitori e dipendenti a discapito del pagamento dell’imposta.
Nel caso di specie il contribuente, a cui veniva contestato il reato di cui all’art. 10 ter del d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per avere omesso di versare l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. Nei confronti dell’imputato sia il Tribunale sia la Corte di appello viene condannata in entrambi i gradi di giudizio di merito.
L’imputato propone personalmente ricorso per cassazione deducendo mancata assunzione di una prova decisiva e mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dello elemento soggettivo del reato nonché alla valutazione della oggettiva impossibilità dell’imputato ad adempiere regolarmente al pagamento dovuto. In particolare, ribadisce che le difficoltà finanziane lo avevano costretto a tacitare alcuni creditori (fornitori e dipendenti) nel tentativo di evitare il fallimento e nella speranza di rimediare successivamente al versamento dell’imposta dovuta.
Gli Ermellini nel ritenere inammissibile il ricorso evidenziano che “si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, ed è comunque manifestamente infondato, avendo la corte d’appello fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulla sussistenza dello elemento psicologico del reato e sulla insussistenza di cause di giustificazione.”
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