AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 114 del 20 gennaio 2023
Operazioni poste in essere da un soggetto non residente, con rappresentante fiscale in Italia, nell’ambito dell’utilizzo di depositi IVA ai sensi dell’art. 50 bis del D.L. n. 331/1993
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
L’interpellante riferisce che la società avente sede in Malta, fiscalmente identificata in Italia ai fini IVA da ALFA S.r.l. e priva di stabile organizzazione nel territorio Italiano «acquista stock di abbigliamento anche da fornitori italiani e li vende prevalentemente all’estero (UE ed extra UE) maturando solo lo status di esportatore abituale» e che per dette transazioni (acquisto e vendita) «si avvale di un deposito IVA autorizzato». Tanto premesso, l’istante chiede le modalità di fatturazione e dichiarazione delle operazioni nei seguenti casi:
vendita della merce a soggetto italiano all’interno del deposito;
estrazione dal deposito di beni di origine italiana per «utilizzo sul territorio nazionale»;
regolarizzazioni rispetto «a piccole differenze» quantitative rilevate in fase di introduzione dei beni in deposito.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In merito alla circostanza di cui al punto 1, ovvero quella relativa alle modalità di ”fatturazione a clienti italiani all’interno del deposito IVA”, l’Istante rileva come, in base alla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 21/E del 20 febbraio 2015, la fattura andrebbe emessa direttamente dal soggetto maltese e che l’eventuale documento prodotto dal rappresentante fiscale, esclusivamente con l’indicazione della partita IVA italiana, non sarebbe da considerarsi rilevante ai fini IVA.
Quanto asserito dall’Istante si fonda sulla lettera dell’articolo 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 secondo il quale ”gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, compresi i soggetti indicati all’articolo 7ter, comma 2, lettere b) e c), sono adempiuti dai cessionari o committenti” considerato che i beni ceduti all’interno del deposito IVA sono già presenti nel territorio nazionale.
Posto che le cessioni di beni custoditi presso il deposito IVA sono effettuate senza pagamento dell’imposta a norma dell’articolo 50bis, comma 4, lettera e) del D.L. 331/1993, la società istante ipotizza, ai fini del corretto adempimento dell’obbligazione di fatturazione, l’emissione della fattura al cliente italiano:
riportando unicamente la propria partita IVA estera (maltese);
specificando che il bene si trova in un deposito IVA;
evidenziando i riferimenti del proprio rappresentante fiscale in Italia;
utilizzando il formato analogico, non essendo imposto l’obbligo di emissione della fattura in formato elettronico ai soggetti non residenti.
Il tutto nel presupposto che:
il cliente italiano registri la fattura in reverse charge come fattura senza IVA in quanto non imponibile ai sensi dell’articolo 50bis, comma 4, lettera e) annotandola sia nel registro IVA vendite che in quello IVA acquisti;
il rappresentante fiscale italiano non annoti la fattura nei registri IVA e non includa la medesima nella LIPE trimestrale né nella dichiarazione annuale.
In merito al punto relativo alla ”estrazione dal deposito IVA di merce di origine nazionale con utilizzo del plafond” (punto sub 2), la Società, richiamando quanto stabilito nell’articolo 50bis, comma 6, del D.L. n. 331/1993, ritiene che l’estrazione dei beni dal deposito IVA possa essere effettuata senza pagamento dell’imposta da parte dei soggetti che si avvalgano del plafond per gli esportatori abituali.
In base alla risoluzione ministeriale n. 102/E/1999 ed alla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 80/E del 2011 detta facoltà sarebbe esercitabile anche dal rappresentante fiscale.
Il rappresentante fiscale sarà tenuto, secondo quanto esposto nell’istanza, a:
inviare una dichiarazione di intenti per via telematica, riportando nel campo fornitore il gestore del deposito;
riportare la partita IVA italiana assegnata alla società;
specificare che il bene estratto si trova in un deposito IVA;
evidenziare gli estremi del rappresentante fiscale in Italia;
riportare i riferimenti normativi dell’operazione in quanto ”estrazione di beni di origine nazionale da deposito IVA con utilizzo del plafond ai sensi del combinato disposto dell’art. 50bis, comma 6, del D.L. n. 331/93 e dell’art. 8, comma 1, lett. c), del DPR 633/72”;
riportare nell’autofattura il protocollo della ricevuta telematica della dichiarazione di intento.
Permane in capo all’Istante il dubbio sulla forma della autofattura (se debba cioè essere formata elettronicamente o analogicamente).
Secondo l’interpretazione dell’istante la fatturazione andrebbe eseguita analogicamente sulla base del presupposto che, essenzialmente, non sarebbe previsto un obbligo di emissione di fattura elettronica per gli esportatori abituali non residenti.
Per quanto attiene al punto 3, relativo alla ”regolarizzazione di lievi differenze quantitative nelle forniture di merci introdotte in deposito IVA”, la società istante sostiene che, laddove si riscontrino piccole differenze quantitative tra la merce ricevuta e quella indicata nella fattura dal fornitore e quest’ultimo non intenda regolarizzare la fattura originaria con note di variazione, dette differenze possano essere regolarizzate dal cessionario mediante propria nota di variazione ai sensi dell’articolo 26 del D.P.R. n. 633/1972.
A parere dell’Istante, ove la merce sia stata introdotta nel deposito, lo stesso depositario riscontrerà le differenze e le comunicherà alla Società per la regolarizzazione da effettuarsi con documento in formato analogico emesso dal rappresentante fiscale ai sensi dell’articolo 26 del D.P.R. n. 633/1972, mediante la partita IVA italiana, contenente:
i riferimenti della fattura originale;
le quantità e i valori imponibili riscontrati come differenza;
l’indicazione della normativa di cui all’articolo 50bis, comma 4, del D.L. n. 331/1993 in caso di acquisto.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
Le questioni prospettate attengono alla corretta gestione, sotto il profilo sostanziale e documentale, di talune operazioni poste in essere da un soggetto non residente con rappresentante fiscale in Italia, nell’ambito dell’utilizzo di depositi IVA ai sensi dell’articolo 50bis del D.L. n. 331/1993. Occorre preliminarmente sottolineare come le informazioni fornite dall’Istante e la sussistenza delle condizioni generali per la fruizione del regime sospensivo sopra citato vengano in questa risposta assunte acriticamente, e come il parere venga fornito sulla base della comprensione della fattispecie per come rappresentata dall’Istante.
Si rileva, in primo luogo, che la disciplina dei depositi IVA è contenuta nell’articolo 50bis del D.L. n. 331 del 1993, modificato dall’art. 4, comma 7, del D.L. del 22 ottobre 2016 n. 193, convertito con modificazioni dalla legge n. 225 del 1° dicembre 2016. Le modifiche citate hanno comportato, da un lato, l’estensione dell’utilizzo del deposito IVA a tutti i beni, senza distinguere in base alla provenienza e, dall’altro lato, una diversa modalità di estrazione dei beni stessi sulla base della predetta provenienza (risoluzione n. 55/E del 2017).
La problematica di cui al quesito n. 1 dell’istanza afferisce alla corretta individuazione del soggetto tenuto alla emissione della fattura (ed alla forma della stessa) nel caso di una cessione di beni, effettuata all’interno di un deposito IVA, da parte di soggetto passivo non residente dotato di rappresentante fiscale in Italia nei confronti di un soggetto passivo residente. Per quanto attiene alle transazioni nelle quali sono coinvolti un soggetto non residente ed un soggetto passivo nazionale, l’ordinamento attribuisce a quest’ultimo la qualità di debitore di imposta, ossia il compito di adempiere alle obbligazioni IVA, anche laddove vi sia la presenza di un rappresentante fiscale in Italia del soggetto estero. L’ordinamento attribuisce, infatti, il compito di versare l’IVA e di documentare le operazioni al soggetto avvinto dal vincolo legale più stringente con l’apparato tributario (il soggetto passivo italiano), non risultando necessario l’intervento del rappresentante fiscale dell’operatore non residente. La norma di riferimento è contenuta nell’articolo 17 comma 2, secondo la quale ”gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, sono adempiuti dai cessionari o committenti”.
L’Amministrazione finanziaria, per costante prassi, ha applicato la disposizione sopra citata ritenendo che l’IVA relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi territorialmente rilevanti in Italia rese da un cedente o prestatore ”estero” (i.e. soggetto passivo IVA stabilito in uno Stato estero), senza stabile organizzazione in Italia, vada assolta dal cessionario o committente italiano (i.e. soggetto passivo IVA stabilito in Italia) mediante l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile (cosiddetto reverse charge) e che tale obbligo ricorra anche se il cedente o prestatore ”estero” sia identificato ai fini IVA in Italia, mediante l’identificazione diretta o la nomina di un rappresentante fiscale, che non fanno venire meno la qualifica di ”non residente” del fornitore (cfr. le recenti risposte ad istanza di interpello n. 501/2021 e n. 11/2020 e le circolari 18 marzo 2010, n. 14 e 21 giugno 2010, n. 36, quesito n. 31).
La risoluzione 20 febbraio 2015, n. 21/E conferma che: ”il documento emesso con partita IVA italiana dal rappresentante fiscale di un soggetto passivo estero residente nella UE (o fuori dalla UE), per una cessione effettuata nei confronti di un soggetto passivo IVA residente in Italia, sia da considerare non rilevante come fattura ai fini IVA e debba essere richiesta al suo posto la fattura emessa direttamente dal fornitore estero”. Non è dunque richiesto l’intervento del rappresentante fiscale nella documentazione dell’operazione in discorso, per la quale sarà sufficiente la sola fattura emessa dal soggetto estero, seguita da integrazione e annotazione effettuata secondo la legge dal soggetto passivo nazionale. La dinamica non pare debba mutare neppure nel caso di operazione effettuata nel contesto operativo di un deposito IVA. La circolare n. 12/E del 2015 in materia di depositi IVA ha chiarito, in relazione alle transazioni con oggetto beni in custodia presso i depositi IVA (come sembrano quelli di cui al quesito) e per quanto qui di interesse, che: ”la circostanza che la transazione intervenga tra soggetti residenti o non residenti assume rilievo ai fini della individuazione del soggetto tenuto ad assolvere gli obblighi di fatturazione (cfr. paragrafo 7). In particolare: se il cedente è un soggetto d’imposta nazionale, questi è tenuto in ogni caso ad emettere fattura senza applicazione dell’imposta; se il cedente è un soggetto non residente, gli adempimenti contabili relativi all’operazione devono essere effettuati dal cessionario nazionale, ai sensi dell’art. 17, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, senza applicazione dell’imposta (cfr. ris. n. 89 del 25 agosto 2010); se il cedente ed il cessionario sono entrambi soggetti non residenti, non identificati ai fini IVA nel territorio dello Stato o con stabile organizzazione in Italia che non interviene materialmente nell’operazione, questi non sono tenuti agli obblighi di fatturazione, ma solo all’obbligo di consegnare o inviare in ogni caso al depositario un documento commerciale che attesti l’avvenuta transazione.”
La normativa relativa ai depositi IVA non sembra impattare, dunque, sulla distribuzione dell’onere di adempimento delle incombenze documentali sino ad ora riportata, limitandosi a prevedere la possibilità di versare l’imposta al momento dell’estrazione. Può dunque ritenersi che l’integrazione della fattura e la registrazione dell’operazione, con l’indicazione del motivo di non imponibilità ricollegabile alla disciplina dell’articolo 50bis del D.L. n. 331/1993, rimangano attribuite al soggetto passivo nazionale, ex art. 17 comma 2, senza intervento del rappresentante fiscale del soggetto estero. L’indicazione della rappresentanza nella fattura del soggetto estero occorre quale elemento di completa identificazione dell’operatore. Il rappresentante fiscale del soggetto non residente non dovrà registrare l’operazione, non essendo la stessa ascrivibile alla posizione IVA italiana del cedente e trattandosi di operazione propria del soggetto non residente effettuata con la posizione IVA estera.
Analogo discorso può svolgersi in merito ai dubbi relativi all’inserimento della transazione nella LIPE e nella dichiarazione IVA annuale. Sia le incombenze di contabilizzazione che quelle dichiarative si ritiene debbano essere adempiute dal soggetto non residente in base alle norme dello Stato membro di residenza ed il contenuto delle stesse potrà essere oggetto, ove necessario ai fini del controllo, di scambio di informazioni a norma del Regolamento UE n. 904 del 2010.
La fattura verrà emessa in formato analogico non essendo previsto l’obbligo di emissione delle fatture elettroniche in capo ai soggetti non residenti. La circolare n. 14/E del 2019 ha chiarito, infatti, che nel contesto degli scambi che avvengono all’interno dei depositi IVA: ”le successive cessioni del bene (ndr. successive rispetto alla introduzione)avvenute all’interno del deposito seppur non imponibili ai fini IVA per effetto di quanto disposto dal citato articolo 50bis, del D.L. n. 331 del 1993 devono, (…), essere documentate con fattura (si veda la citata circolare n. 12/E del 2015, punto 5.2.1, su quando ciò possa non avvenire), la quale sarà elettronica via SdI qualora entrambe le parti siano soggetti passivi residenti o stabiliti in Italia (ferme le eventuali eccezioni viste nel paragrafo 1), analogica o elettronica extra SdI ove uno degli operatori non lo sia (ipotesi in cui troverà applicazione l”’esterometro”)”. L’acquirente italiano, dunque, ha la possibilità di scegliere se procedere con l’integrazione cartacea o elettronica. Qualora decida di procedere con l’integrazione elettronica, di fatto emette un documento autonomo, utilizzando il tipo documento TD19 e codice natura N3.6. L’articolo 1, comma 3 bis, primo periodo, del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, stabilisce che ”I soggetti passivi di cui al comma 3 (ovvero i soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato, ndr) trasmettono telematicamente all’Agenzia delle entrate i dati relativi alle operazioni di cessione di beni e di prestazione di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato, salvo quelle per le quali è stata emessa una bolletta doganale e quelle per le quali siano state emesse o ricevute fatture elettroniche secondo le modalità indicate nel comma 3”. Conseguentemente, nell’ipotesi in cui l’acquirente italiano decida di procedere con l’integrazione cartacea, ha l’obbligo di trasmettere i dati dell’operazione (esterometro). Al riguardo va altresì precisato che, in base all’ultimo periodo del già richiamato articolo 2, comma 3bis, ”con riferimento alle operazioni effettuate a partire dal 1° luglio 2022, i dati di cui al primo periodo sono trasmessi telematicamente utilizzando il Sistema di interscambio secondo il formato di cui al comma 2”. Dal 1° luglio, quindi, tutti i dati relativi alle operazioni effettuate con soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato (ad eccezione di quelli per cui sia stata emessa una bolletta doganale o una fattura elettronica) dovranno transitare dal Sistema di Interscambio.
In ordine al quesito n. 2 si osserva come nel caso di estrazione del bene dal deposito IVA l’ordinamento ponga in capo al soggetto che effettua l’estrazione stessa il compito di adempiere agli obblighi di imposta a questa connessi, a prescindere dalla circostanza che il soggetto sia o meno residente.
La circolare n. 12/E del 2015 evidenzia che ”possono procedere all’estrazione dei beni dal deposito solo i soggetti passivi d’imposta, identificati in Italia, direttamente o tramite rappresentante fiscale o i soggetti stabiliti in Italia per il tramite di una stabile organizzazione”. L’articolo 50bis, comma 6, del D.L. n. 331/193 stabilisce che ”per l’estrazione dei beni introdotti nel deposito IVA ai sensi del comma 4, lettera b), l’imposta è dovuta dal soggetto che procede all’estrazione, a norma dell’articolo 17, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, previa prestazione di idonea garanzia con i contenuti, secondo modalità e nei casi definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. Nei restanti casi di cui al comma 4 e, per quelli di cui al periodo precedente, sino all’adozione del decreto, l’imposta è dovuta dal soggetto che procede all’estrazione ed è versata in nome e per conto di tale soggetto dal gestore del deposito, che è solidalmente responsabile dell’imposta stessa”. Prevede altresì che ”il versamento dell’imposta è eseguito ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, esclusa la compensazione ivi prevista, entro il termine di cui all’articolo 18 del medesimo decreto, riferito al mese successivo alla data di estrazione e che il soggetto che procede all’estrazione annota nel registro di cui all’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, una fattura emessa ai sensi dell’articolo 17, secondo comma, del medesimo decreto, e i dati della ricevuta del versamento suddetto”. Pertanto, il soggetto estrattore verserà l’imposta al gestore del deposito e registrerà una fattura con il meccanismo dell’inversione contabile (si vedano la circolare n. 12/E del 24 marzo 2015, nonché, più recentemente, le risoluzioni n. 55/E del 3 maggio 2017 e n. 5/E del 16 gennaio 2018) e, ”se l’estrazione avviene da parte un soggetto non residente, questi dovrà nominare un rappresentante fiscale c.d. ”pesante” ovvero, se stabilito in un Paese comunitario, identificarsi direttamente (art. 35ter del D.P.R. n. 633 del 1972) e quindi provvedere ad assolvere l’imposta con le modalità ora illustrate” (circolare n. 12/E del 2015). La norma peraltro stabilisce che è possibile effettuare ”senza pagamento dell’imposta l’estrazione da parte di soggetti che si avvalgono della facoltà di cui alla lettera c) del primo comma e al secondo comma dell’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; in tal caso, la dichiarazione di cui all’all’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, deve essere trasmessa telematicamente all’Agenzia delle entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica”. È dunque consentito ai soggetti che rivestono le caratteristiche dell’esportatore abituale procedere all’estrazione senza il pagamento dell’imposta.
Riprendendo una prassi consolidata, la risposta ad istanza di interpello n. 148/2021 ha precisato che, ricorrendo le circostanze previste per la fruizione del beneficio del plafond, ”possono effettuarsi acquisti senza pagamento dell’IVA nei limiti del c.d. plafond maturato nell’anno precedente (o nei dodici mesi precedenti) anche quando ad effettuare le operazioni che danno accesso a tale facoltà siano come precisato nella risoluzione 21 giugno 1999, n. 102 soggetti esteri identificati ai fini IVA nel territorio dello Stato; l’identificazione fiscale del non residente può avvenire, in assenza di sua stabile organizzazione, direttamente, ai sensi dell’art. 35ter del DPR n. 633 del 1972 ovvero a mezzo di un rappresentante fiscale, ai sensi dell’art. 17, terzo comma, del DPR n. 633 del 1972)” (si vedano ex multis la risoluzione n. 80/E del 4 agosto 2011 e la risposta ad istanza di interpello n. 1/2021). Si condividono, per quanto esposto, le soluzioni interpretative formulate dall’Istante.
In merito alle modalità di fruizione del beneficio si ricorda come l’esportatore abituale che intenda avvalersi della facoltà prevista dall’art. 50bis, comma 6, sesto periodo, del D.L., n. 331/1993, debba compilare una dichiarazione d’intento per ogni singola estrazione indicando come destinatario della stessa il gestore del deposito, trasmettere telematicamente la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle entrate ed acquisire la relativa ricevuta telematica. La dichiarazione, unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate, deve essere consegnata al gestore del deposito, che procede a riscontrare telematicamente l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle Entrate. Per ulteriori approfondimenti sul tema si rimanda alla risoluzione n. 35/E del 2017.
Si ritiene corretta la constatazione in base alla quale la fattura possa essere emessa analogicamente, posto che deve considerarsi estesa alle autofatture o alle fatture ”integrate” emesse dai rappresentanti fiscali di soggetti non residenti l’esclusione dalla obbligatorietà della modalità elettronica di emissione. La già citata circolare n. 14/E del 2019 ha escluso in generale l’obbligo di fattura elettronica per i soggetti non residenti statuendo che ”l’Italia è stata autorizzata ad accettare come fatture documenti o messaggi solo in formato elettronico se sono emessi da soggetti passivi ”stabiliti” sul territorio italiano, diversi da soggetti che beneficiano della franchigia delle piccole imprese, nonché a disporre che l’uso delle fatture elettroniche emesse da soggetti passivi stabiliti sul territorio italiano non sia subordinato all’accordo del destinatario, se stabilito in Italia. Tale autorizzazione è stata pienamente recepita dal legislatore, in ultimo espungendo, dall’articolo 1, comma 3, del d.lgs. n. 127 del 2015, il riferimento ai soggetti identificati (tramite identificazione diretta ovvero rappresentante fiscale), i quali non sono tenuti alla fatturazione elettronica” (v. anche circolare n. 13 del 2018). Al riguardo, nella risposta ad istanza di interpello n. 104 del 2019, in un caso simile a quello oggetto dell’istanza in esame, si è avuto modo di chiarire che ”a tale regola non si sottrae l’estrazione dei beni dai depositi IVA, operazione per la quale senza qui entrare nel merito del computo della base imponibile e del soggetto tenuto al versamento dell’imposta (fattispecie non oggetto di interpello) l’articolo 50bis, comma 6, del D.L. n. 331 del 1993 prevede, in generale, che «Il soggetto che procede all’estrazione annota nel registro di cui all’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, una fattura emessa ai sensi dell’articolo 17, secondo comma, del medesimo decreto [ossia l”’autofattura” individuata dall’articolo 21, comma 5, del medesimo D.P.R. ovvero la fattura ”integrata” proveniente dall’operatore estero comunitario, ndr.], e i dati della ricevuta del versamento suddetto» (così il quinto periodo)”. Dunque, la citata risposta ad istanza di interpello conclude che ”il rappresentante fiscale dell’istante potrà procedere all’emissione delle autofatture in esame in modalità analogica o elettronica extra SdI”.
Per quanto attiene alla questione sottoposta con il quesito n. 3, relativa alle modalità di ”regolarizzazione di lievi differenze quantitative nelle forniture di merci introdotte in deposito IVA”, preliminarmente si osserva come la possibilità di rettificare le fatture sia accordata in generale dall’articolo 26 del D.P.R. n. 633 del 1972 al soggetto che effettua l’operazione (cedente/prestatore). Colui che emette fattura, in caso di errori di fatturazione, infatti ha l’obbligo di apportare una variazione in aumento (articolo 26, comma 1) nel caso in cui emerga un maggior imponibile e/o una maggiore imposta dovuta ovvero la facoltà di apportare una variazione in diminuzione (articolo 26, comma 3) nel caso in cui emerga un minor imponibile e/o una minore imposta. Qualora, come rappresentato dall’istante, il cedente non intenda regolarizzare la fattura originale, emettendo la relativa nota di variazione al fine di indicare le corrette quantità oggetto di transazione, il cessionario deve ricorrere alla procedura di cui all’articolo articolo 6, comma 8, lettera b), d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, al fine di non incorrere nella sanzione prevista dalla medesima norma. In base al citato articolo 6, comma 8, qualora il prestatore/cedente non proceda alla regolarizzazione o, comunque, le parti non trovino una soluzione condivisa, il cessionario/committente, che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini di legge o con emissione di fattura irregolare da parte dell’altro contraente, è punito, salva la responsabilità del cedente/prestatore, con una sanzione amministrativa pari al cento per cento dell’imposta, con un minimo di 250 euro, sempre che non provveda, entro il trentesimo giorno successivo a quello della registrazione, a regolarizzare l’operazione con le seguenti modalità:
a) se non ha ricevuto la fattura, entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione, presentando all’ufficio competente nei suoi confronti, previo pagamento dell’imposta, entro il trentesimo giorno successivo, un documento in duplice esemplare dal quale risultino le indicazioni prescritte dall’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, relativo alla fatturazione delle operazioni;
b) se ha ricevuto una fattura irregolare, presentando all’ufficio indicato nella lettera a), entro il trentesimo giorno successivo a quello della sua registrazione, un documento integrativo in duplice esemplare recante le indicazioni medesime, previo versamento della maggior imposta eventualmente dovuta.
La norma in parola trova applicazione anche qualora non sia dovuta alcuna imposta, come nell’ipotesi di introduzione della merce all’interno di un deposito IVA.
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