La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7080 depositata il 12 marzo 2020 intervenendo in tema fatture per operazioni oggettivamente inesistenti ha statuito che “In tema di IVA, nel caso in cui sia erroneamente emessa fattura per operazioni oggettivamente inesistenti, il contribuente non può avvalersi della procedura di cui all’art. 26, comma 2, del d. P.R. n. 633 del 1972, che consente la regolarizzazione solo ove si tratti di operazioni effettive e reali, anche se venute meno in tutto o in parte, ma, in base al principio di cartolarità, di cui all’art. 21, comma 7, dello stesso decreto, è tenuto a versare l’imposta per l’intero ammontare indicato, fermo restando il diritto del contribuente al rimborso dell’imposta versata qualora venga accertato dal giudice di merito che sia stato eliminato in tempo utile qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale, derivante dall’utilizzo della fattura ai fini della detrazione da parte del destinatario, quando la fattura non possa ritenersi emessa ai sensi dell’art. 21, comma 1, dello stesso decreto, ovvero quando sia stata emessa, ma tempestivamente ritirata dal destinatario, senza che quest’ultimo abbia potuto utilizzarla per finalità fiscali, o ancora quando l’Amministrazione abbia disconosciuto il diritto alla detrazione del destinatario con provvedimento definitivo o ritenuto legittimo con sentenza passata in giudicato.”
La vicenda ha riguardato una società per azioni che aveva presentato all’Agenzia delle Entrate una richiesta di rimborso dell’IVA esposta in una fattura che a seguito di apposita attività di indagine dell’Ufficio emergeva che la descrizione del servizio riportata nella fattura stessa costituiva, in realtà, una falsa giustificazione della effettiva operazione sottostante. La società che aveva ricevuto la fattura contestata dopo aver indebitamente portato in detrazione l’IVA di rivalsa a seguito dell’attività di recupero disposta dall’Ufficio con l’emissione di un avviso di accertamento, aveva versato al Fisco l’intero importo dell’imposta. Pertanto il cedente avanzò l’istanza di rimborso che fu respinta dall’Agenzia delle Entrate, in forza del c.d. principio di cartolarità di cui all’art. 21, comma 7, d.P.R. n. 633/1972. Avverso il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate la società proponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure accolsero le doglianze della ricorrente. L’Amministrazione finanziaria avverso la sentenza della CTP proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Regionale che in riforma della decisione impugnata accolse l’appello dell’Ufficio. La contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
Gli Ermellini accolgono la doglianza della società ricorrente. I giudici di legittimità richiamano una serie di orientamenti espressi dalla stessa Corte sul tema ed in particolare che l’emittente della fattura è tenuto, quale soggetto passivo, a versare l’IVA liquidata in fattura, nel caso in cui non abbia tempestivamente provveduto ad avvalersi della specifica disciplina predisposta dallo Stato membro per emendare gli errori concernenti la emissione o la indicazione dei dati riportati nella fattura: il ripristino della corrispondenza tra realtà economica e rappresentazione cartolare della stessa, riconduce a regolarità il funzionamento del sistema IVA, consentendo l’applicazione della esatta imposta dovuta ed il corretto esercizio del diritto a detrazione, da parte del destinatario della fattura emendata da errori; ed ancora che la inottemperanza dell’emittente agli adempimenti richiesti dalla predetta normativa statale per provvedere alla correzione od all’annullamento della fattura erroneamente emessa, non può tuttavia ritenersi ostativa al riconoscimento del rimborso dell’IVA indebita versata in eccedenza, né può ritenersi condizione integrativa della pretesa – fatta valere dalla Amministrazione finanziaria – del pagamento della imposta erroneamente liquidata nella fattura, laddove, con accertamento in fatto riservato al Giudice di merito. risulti che sia stato in tempo utile definitivamente eliminato qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale, perdita che si verifica allorché il destinatario della fattura – erroneamente emessa o nella quale è stata indebitamente liquidata l’imposta – abbia esercitato in base a tale documento il diritto alla detrazione (o al rimborso), o comunque possa attualmente esercitare tale diritto: deve riconoscersi la definitiva eliminazione del rischio in questione, quando risulti accertato che la fattura o il documento ad essa considerato equipollente non sia stata “emessa” ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 1, ovvero quando la fattura erroneamente “emessa” sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale, o ancora quando l’Amministrazione finanziaria abbia contestato e definitivamente disconosciuto con provvedimento divenuto definitivo – o riconosciuto legittimo con accertamento passato in giudicato – il diritto alla detrazione vantato dal destinatario della predetta fattura”
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