La vicenda ha riguardato due società che svolgevano l’attività di fabbricazione di poltrone e divani e che avevano acquistato un capannone industriale detraendo la relativa Iva sostenuta per tali spese. In una fase successiva entrambe le società venivano incorporate in una nuova società a cui l’Agenzia delle Entrate, con la notifica degli avvisi di rettifica parziale IVA, contestava il diritto alla detrazione dei crediti Iva, in relazione all’acquisto del citato capannone industriale in quanto dalla costituzione e fino alla loro fusione, le incorporate non risultava avessero mai svolto le operazioni commerciali relative alla predetta attività di fabbricazione di poltrone e divani.
Avverso tali atti impositivi la società contribuente ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale che rigettava le doglianze del ricorrente ritenendo che la contribuente non abbia fornito la prova contraria in ordine all’inoperatività delle due società. La società impugnava la pronuncia del giudice di prime cure inanzi alla Commissione Tributaria Regionale che in riforma della sentenza di primo grado accoglieva l’appello della contribuente e dichiarava infondata la pretesa tributaria stante il perfezionamento dell’istanza di condono ex art. 9 comma 10 legge 289/2002. Inoltre per i giudici di appello la società non aveva mai di fatto avviato l’attività in conseguenza di circostanze avverse sotto il profilo economico stante la crisi finanziaria e le fluttuazioni del mercato.
L’Amministrazione Finanziaria per la cassazione della pronuncia della CTR con ricorso, basato su tre motivo di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini rigettano il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. I giudici di legittimità richiamando la sentenza n. 5739 del 16 marzo 2005 ha affermato che “la detrazione dell’IVA regolata dall’articolo 19 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, connessa all’inerenza dei “beni o servizi acquistati o importati” all’attività d’impresa, è configurabile, in presenza di documentate spese di investimeno, sostenute in vista dello svolgimento di attività lucrativa artivolata in un’iniziativa complessa e quantitativamente rilevante, anche in assenza di operazione attive, non potendo escludersi che una società intenda perseguire lo scopo per cui è stata costituita solo perché costretta ad una stasi da una temporanea crisi finanziaria o da fluttuazioni del mercato”.
Per i giudici di legittimità è accertata l’inoperatività della società con la conseguenza che spetta all’ufficio la prova dell’illiceità fiscale dell’operazione.
Viene ribadito dunque, che il presupposto necessario e sufficiente per l’esercizio della detrazione dell’Iva è unicamente il rapporto di inerenza o strumentalità tra il bene o il servizio acquistato e l’attività dell’impresa (non è necessario che vi sia un rapporto diretto tra acquisto e una particolare operazione imponibile attiva).
Il Fisco per poter limitare o negare il diritto alla detrazione IVA, ha l’onere di provare alternativamente:
- la volontà effettiva dell’imprenditore di non voler perseguire lo scopo per il quale la sua impresa è stata costituita (o l’esistenza di situazioni abusive o fraudolente)
- l’assenza del nesso di causalità (principio di inerenza) tra l’acquisto effettuato a monte e l’attività svolta dall’impresa
La decisione è in linea con l’orientamento della Corte di Giustizia (ricordato anche da Cassazione n. 410/2013) secondo cui, salvo casi di fraudolenza, la qualità di soggetto passivo Iva non può essere revocata anche se l’impresa ha deciso di non passare alla fase operativa. E’ necessario, quindi, per negare la detrazione o per giustificare il diniego al rimborso, la prova di eventuali pratiche fraudolente o abusive. La normativa europea stabilisce che il diritto al recupero dell’Iva sorge nel momento in cui se ne verifica l’esigibilità in capo a colui che ha posto in essere la cessione o la prestazione, a condizione e nella misura in cui i beni e i servizi acquistati siano impiegabili dal soggetto acquirente ai fini delle sue operazioni imponibili (o a queste assimilate).
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