La Corte di Cassazione con la sentenza n. 22925 depositata il 29 settembre 2017 intervenendo in tema di fruizione dei permessi “104” ha stabilito che il diritto alla fruizione dei permessi per l’assistenza dei familiari affetto da handicap grave spetta al lavoratore che abbia trasformato il proprio rapporto di lavoro in part-time a condizione che sia articolata sulla base di un orario settimanale, che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario
La vicenda ha riguardato un dipendente, il quale aveva trasformato il proprio rapporto di lavoro da full-time in part-time verticale, lavorando quattro giorni su sei a settimana (67%), si era visto ridurre, dal datore di lavoro aveva riproporzionato i giorni di permesso in base alla percentuale del rapporto part-time, da tre a due i giorni di permesso mensile retribuito di cui fruiva, per assistere la figlia affetta da handicap grave, già prima della trasformazione. Il lavoratore non ritenendo corretto quanto disposta dal datore di lavoro si rivolge al Tribunale, quale giudice del lavoro, sulla base che il diritto a fruire dei tre giorni di permesso mensile retribuito, riconosciuti dall’art. 33, comma 3 della L. 104/92 in favore dei lavoratori dipendenti che assistono un congiunto affetto da handicap grave, non può essere riproporzionato se il rapporto di lavoro a tempo pieno viene trasformato in un rapporto a regime part time verticale e se il numero di giornate lavorate è superiore al 50% di quello ordinario. Il Tribunale accolse le doglianze del ricorrente.
Avverso la decisione di prime cure il datore di lavoro e l’INPS propongono appello alla Corte Territoriale. I giudici di appello, confermano la sentenza impugnata, hanno precisato che in mancanza di una specifica previsione che regoli la fruizione dei “permessi 104” in caso di orario di lavoro in part time verticale, occorre far riferimento al principio di non discriminazione di rango europeo (Direttiva 97/81/CE), attuato dall’art. 4 del DLgs. 61/2000, oggi abrogato, ma “ripreso” dall’art. 7 del DLgs. 81/2015.
Il datore di lavoro e l’INPS propongono ricorso in cassazione fondato su due motivi.
Gli Ermellini confermano la decisione di appello. I giudici di legittimità operano un contemperamento fra le due posizioni esposte.
Per i giudici del palazzaccio premettono che “il permesso mensile retribuito di cui all’art. art. 33, comma 3, L. 104/1992 costituisce espressione dello Stato sociale che eroga una provvidenza in forma indiretta, tramite facilitazioni e incentivi ai congiunti che si fanno carico dell’assistenza di un parente disabile grave.” ed inoltre sulla base della sentenza della Corte Costituzionale n. 213 del 2016, “trattasi di uno strumento di politica socio-assistenziale, che, come quello del congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, è basato sul riconoscimento della cura alle persone con handicap in situazione di gravità prestata dai congiunti e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale. La tutela della salute psico-fisica del disabile, costituente la finalità perseguita dalla legge n. 104 del 1992, postula anche l’adozione di interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie «il cui ruolo resta fondamentale nella cura e nell’assistenza dei soggetti portatori di handicap» (sentenze n. 203 del 2013; n. 19 del 2009; n. 158 del 2007 e n. 233 del 2005). Per cui risulta evidente che il “congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 – è quello di «assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall’età e dalla condizione di figlio dell’assistito» (sentenze n. 19 del 2009 e n. 158 del 2007)”
La Corte Suprema sottolinea che vige il divieto di discriminazione, sia diretta che indiretta tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale, a fronte della ridotta entità della prestazione di lavoro e nello specifico “la disciplina alla quale occorre fare riferimento è quella dettata dal d. lgs 25 febbraio 2000 n. 61 ( Provvedimento abrogato dal d. lgs 15 giugno 2015 n. 81) di attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES.. Tale disciplina, nel ribadire i divieti di discriminazione diretta e indiretta previsti dalla legislazione vigente, ha puntualizzato le implicazioni del divieto di discriminazione tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale, con particolare riferimento all’ambito di operatività del riproporziona mento in ragione della ridotta entità della prestazione di lavoro”.
Per completezza, si ricorda che ad oggi, sempre in applicazione del principio di non discriminazione, gli artt. 7, 9 e 11 del DLgs. 81/2015 stabiliscono che i lavoratori a tempo parziale non devono ricevere un trattamento meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno di pari inquadramento. Gli stessi hanno i medesimi diritti dei lavoratori a tempo pieno ad essi comparabili (per esempio riposi, ferie, festività e congedi), salvo il riproporzionamento del trattamento economico in base al minor numero di ore lavorate.
Per tutte le ragioni esposte dalla Suprema Corte occorre operare una “distribuzione paritaria degli oneri e dei sacrifici connessi all’adozione del rapporto di lavoro part time”, distinguendo le “ipotesi in cui la prestazione di lavoro part time sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello che comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata ad alcuni periodi dell’anno e riconoscere solo nel primo caso […] il diritto alla integrale fruizione dei permessi in oggetto”
Note operative
Occorre chiarire, per i pochi a non conoscerla, la differenza tra part-time verticale e part-time orizzontale:
- part-time orizzontale: il dipendente non lavora tutta la giornata, ma solo alcune ore; fa quindi “mezza giornata”;
- part-time verticale: il dipendente lavora tutta la giornata, come un lavoratore a tempo pieno, ma non lavora tutti i giorni della settimana ma solo alcuni.
Per il part-time orizzontale, i giorni di permessi 104 sono 3 al mese, ma per ciascuna giornata spettano meno ore di permesso poiché inferiori sono le ore lavorate.
Per il part-time verticale con attività lavorativa (ad orario pieno o ridotto) limitata ad alcuni giorni del mese, sia in caso di riduzione dell’attività lavorativa coincidente con un periodo di integrazione salariale, il numero dei giorni di permesso spettanti deve essere ridimensionato proporzionalmente, salvo per il dipendente che lavori almeno 4 giorni su 6 a settimana spettano tre giorni di permessi 104.
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