La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 19539 depositata il 16 maggio 2024, intervenendo in tema di corruzione ed assoggettamento all’ablazione diretta del profitto del reato, ha ribadito, secondo il diritto vivente, “… non si possa disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto, mentre si possa disporre, a norma dell’art. 240, secondo comma, n.1 cod. pen., la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto sia rimasto inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio (Sez. U, n. 31617 del26/06/2015, Rv. 264434, richiamata anche da Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, Rv. 284209 cit.). …”
La vicenda ha riguardato un dirigente pubblico accusato, successivamente condannato dal Tribunale, del reato di cui agli artt. 318 – 321 cod. pen. per aver ricevuto indebitamente, per l’esercizio dei poteri e delle funzioni inerenti diversi incarichi svolti presso il Comune, utilità economiche consistenti nella messa a disposizione della somma di denaro impiegata per l’acquisto di un immobile, intestato alla moglie. Il Tribunale ordinava altresì la confisca dell’appartamento. Il condannato impugnava la sentenza di primo grado. La Corte di appello revocava la pena accessoria e confermava nel resto la sentenza di primo grado. La Corte Suprema, a cui si era rivolto l’imputato, decidendo sul ricorso annullava senza rinvio la sentenza di appello perché il reato è estinto per prescrizione e con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale limitatamente alla confisca ed alle statuizioni civili. Il giudice del rinvio revocava la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore dell’associazione, riduceva gli importi liquidati a titolo di risarcimento dei danni in favore delle altre parti civili e confermava la confisca dell’immobile in sequestro. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorsi per cassazione sia l’imputato che la parte civile associazione.
I giudici di legittimità annullano la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente.
Per gli Ermellini la “… pronuncia rescindente, sotto tale profilo, è coerente con la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità in tema di confisca disposta ai sensi dell’art. 322 ter cod. pen., secondo cui il bene immobile costruito con l’immediato reimpiego del provento del delitto di malversazione ai danni dello Stato costituisce il “profitto” del reato e, pertanto, è suscettibile di confisca diretta e non per equivalente (Sez. 6, n. 7896 del 15/12/2017, Rv. 272482 che, in motivazione, ha precisato che qualora l’immobile sia stato realizzato solo in parte con il reimpiego delle somme provento del reato di cui all’art.316 bis, cod. pen., in quella sede contestato, la confisca deve essere limitata all’importo delle somme illecitamente conseguite; conf. Sez. U, n. 10280 del 25/10/2007, Rv. 238700). …”
I giudici di piazza Cavour ribadiscono che “… in tema di confisca, infatti, non integra la nozione di “appartenenza a persona estranea al reato” la mera intestazione a terzi del bene mobile utilizzato per realizzare il reato stesso, nel caso in cui emerga da precisi elementi di fatto che l’intestazione sia del tutto fittizia e che l’autore dell’illecito abbia, in realtà, la sostanziale disponibilità del bene (Sez. 1, n. 44136 del 04/10/2023, Rv. 285401, fattispecie in materia di confisca disposta ai sensi dell’art. 322-ter, cod. pen.; Sez. 2, n. 13360 del 03/02/2011, Rv. 249885).
Si tratta, peraltro, di giurisprudenza costantemente seguita negli anni, e coerente anche con l’ormai risalente pronuncia delle Sezioni Unite n. 9 del 28/04/1999, Bacherotti, richiamata dal ricorrente, atteso che questa dichiarava espressamente di condividere l’orientamento secondo cui “non può considerarsi estraneo al reato il soggetto che da esso abbia ricavato vantaggi e utilità”, e ciò in quanto posizione “sorretta da univoci e convincenti dati interpretativi che concorrono a conformare la portata della nozione di “estraneità al reato” in termini maggiormente aderenti alla precisa connotazione funzionale della confisca, non potendo privilegiarsi la tutela del diritto del terzo allorquando costui abbia tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa e dovendo, anzi, riconoscersi la sussistenza, in una simile evenienza, di un collegamento tra la posizione del terzo e la commissione del fatto-reato“
Come rilevato dal ricorrente, con tale pronuncia le sezioni unite ricordavano che “la coessenziale inerenza del requisito della buona fede e dell’affidamento incolpevole alla condizione della persona estranea al reato, cui appartengono le cose confiscate, rappresenta l’inevitabile corollario della impossibilità di attribuire alla confisca una base meramente oggettiva, assolutamente incompatibile col principio di personalità della responsabilità penale, sancito dall’art. 27, comma 1 Cost.“. Rilevavano anche, però, che “è necessario precisare che i terzi che vantino diritti reali hanno l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, essendo evidente che essi sono tenuti a fornire la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di “appartenenza” e di “estraneità al reato“, dalle quali dipende l’operatività della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato. Ai terzi fa carico, pertanto, l’onere della prova sia relativamente alla titolarità dello “ius in re aliena”, il cui titolo deve essere costituito da un atto di data certa anteriore alla confisca e – nel caso in cui questa sia stata preceduta dalla misura cautelare reale ex art. 321, comma 2 cod. proc. pen.- anteriore al sequestro preventivo, sia relativamente alla mancanza di collegamento del proprio diritto con l’altrui condotta delittuosa o, nell’ipotesi in cui un simile nesso sia invece configurabile, all’affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di apparenza che rendeva scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza”. (Sez. U. n. 9 del 28/04/1999, Bacherotti, cit.) …”