Non poche sono le controversie sorte su accertamenti fiscali basati su indagini bancarie per i prelievi del titolare. Infatti la giurisprudenza si è soffermata piùvolte sulle indagini bancarie. In particolare una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale lo fà in maniera approfondita e con estrema chiarezza. Infatti cerca di dirimere le problematiche connesse alle deduzioni che possono sorgere a seguito di prelevamenti dai conti correnti bancari non giustificati. La Sentenza in oggetto è la n. 58/3/13 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Cremona, depositata in segreteria il 27 maggio scorso.
I giudici di prime cure hanno accolto il ricorso del contribuente sul punto specifico, ritenendo congrui dei prelievi annuali di 20 mila euro per spese personali.
Infatti l’articolo 32, n. 2), del dpr 600/1973 dispone, nella sua attuale formulazione, che «sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche e accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni».
Pertanto il contribuente può liberarsi da questa presunzione, che assimila ai maggiori ricavi e proventi i prelevamenti non giustificati, se ha registrato l’uscita in contabilità oppure se fornisce le generalità del beneficiario della somma. In alcuni casi, tuttavia, qualora il contribuente abbia optato per un regime di contabilità semplificata, è impossibile fornire le scritture contabili.
Un aspetto importante e rilevante viene colto nella sentenza in esame ed è riferita ad una sorte di soglia forfettaria al di sotto della quale la giustificazione di eventuali prelevamenti può essere correttamente individuata nelle esigenze familiari del contribuente.
A tal proposito occorre rammentare che l’Agenzia delle Entrate aveva, con la Circolare n.32/E del 2006, invitato gli uffici periferici alla cautela, trascurando la dimostrazione di uscite non aventi rilevanza fiscale sia per la loro esiguità, sia per la loro occasionalità e, comunque, per la loro coerenza con il tenore di vita rapportabile al volume di affari dichiarato.
È infatti da tempo noto come la presunzione in questione sia estremamente debole: la sentenza in oggetto ne è l’ennesima dimostrazione.
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