IL CONTRATTO DI MUTUO – aspetti civilistici
Il contratto di mutuo vine disciplinato dal Libro Quarto, Delle Obbligazioni (Contratti), Capo XV c.c. Secondo quanto previsto dell’art. 1813 il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di danaro o di cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità. L’art. 1815 prevede, salvo diversa volontà delle parti, la corresponsione di interessi al mutuante, da parte del mutuatario, determinati in misura pari al saggio di interesse legale (art. 1284 c.c.). Se sono convenuti interessi usurai, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi. Il termine per la restituzione si presume stipulato, ai sensi dell’art. 1816 c.c. a favore di entrambe le parti e, se il mutuo è a titolo gratuito, a favore del mutuatario. Se l’accordo ha previsto una restituzione rateale, ed il mutuatario non adempie al pagamento anche di una sola rata, il mutuante ha diritto, secondo il testo dell’art. 1819 c.c., a chiedere l’immediata restituzione dell’intero. Il mancato pagamento degli interessi da parte del mutuatario, infine, consente al mutuante di chiedere, ex art. 1820 c.c., la risoluzione del contratto.
GARANZIE – a tutela del credito concesso
La dottrina si è stato posto il problema di individuare con precisione sia i termini degli accordi in grado di stabilire con certezza modi e tempi di restituzione, sia idonee forme delle garanzie che il richiedente concederà a colui che effettua il prestito del denaro. Trattandosi di un contratto appare assolutamente indispensabile non solo redigere il contratto in forma scritta ma anche precostituirsi un salvacondotto nel caso in cui il mutuatario non rispetti i suoi impegni. Al riguardo, è stata ipotizzata l’eventualità di acquisire fideiussione bancaria o assicurativa ovvero anche l’impegno di un soggetto (persona fisica o società) diverso dal mutuatario, che garantisca il mutuante di pagare il debito del mutuatario nel caso in cui questi non vi provveda; oppure la concessione di ipoteca su bene immobile di proprietà del mutuatario, e cioè la stessa garanzia che normalmente caratterizza i mutui bancari. Si osserva, infine, che chi ha promesso di dare una mano ad un amico o ad un parente può sempre ripensarci. Secondo quanto previsto dall’art. 1822 c.c., nonostante la promessa di mutuo, può essere rifiutata l’obbligazione se le condizioni patrimoniali dell’altro contraente divengano tali da rendere difficile la restituzione e non gli sono offerte idonee garanzie.
ESERCIZIO ABUSIVO del credito e attività finanziarie
Ai sensi dell’art. 106, del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, l’esercizio nei confronti del pubblico delle attività di:
– assunzione di partecipazioni;
– concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma;
– prestazione di servizi di pagamento;
– intermediazione in cambi;
è riservato a intermediari finanziari scritti in un apposito elenco tenuto dall’Ufficio Italiano Cambi. Unicamente questi soggetti possono svolgere esclusivamente attività finanziarie, fatte salve le riserve di attività previste dalla legge. Il successivo art. 132, del medesimo D.Lgs. n. 385/1993, individua l’ipotesi di abusiva attività finanziaria per coloro che svolgono, nei confronti del pubblico, una o più delle attività finanziarie previste dall’art. 106, comma 1, senza essere iscritti nell’elenco previsto dal medesimo articolo citato in precedenza. Per «pubblico» non necessariamente si intende comunità indifferenziata dei destinatari, ma anche «ristretta cerchia di soggetti», indipendentemente che rilevi la destinazione da costoro data al denaro. In caso di inosservanza è prevista la sanzione penale della reclusione e della multa. Chiunque svolge in via prevalente, non nei confronti del pubblico, una o più delle attività finanziarie previste in precedenza dall’art. 106, comma 1, senza essere iscritto nell’apposita sezione dell’elenco generale indicata nell’art. 113 è punito con l’arresto da sei mesi a tre anni. Con particolare riferimento alla «… concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma …», s’intende «l’erogazione di somme di denaro a favore di privati o di imprenditori privati», anche «credito al consumo». Ma non solo. Anche la concessione di crediti, compreso il rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di firma, nonché ogni tipo di finanziamento connesso con una vasta gamma di operazioni, come la locazione finanziaria, il credito al consumo, il credito ipotecario, il prestito su pegno, il rilascio di garanzie. In termini generali, pertanto, le attività specificate sono esercitate nei confronti del pubblico quando vengono svolte nei confronti dei terzi con carattere di professionalità, ovvero in maniera ricorrente ed abituale.
IL PRESTITO CD. «OCCASIONALE»: Cassazione sentenza n. 2404/2010
La quinta sezione penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 2404/2010) ha escluso l’ipotesi di esercizio abusivo del credito, quando trattasi di erogazione effettuata in via occasionale. Per integrare la fattispecie di reato previsto dal D.Lgs. n. 385/1993, occorre che l’attività di finanziamento sia svolta nei confronti del pubblico in via continuativa ed abituale. Pertanto, secondo i Giudici di Legittimità, non opera l’ipotesi di esercizio abusivo del credito quando il prestito viene erogato ad un amico, o comunque a qualsiasi soggetto, in modo non abituale, secondo una lettura a contraris dell’art. 2082 c.c. La pronuncia chiarisce quindi la portata dell’art. 132 del D.Lgs. 385/1993 e richiama l’art. 106 dello stesso decreto per precisare cosa debba intendersi per attività finanziaria. In essa vi rientra sicuramente l’erogazione di prestiti e finanziamenti ma – annotano i supremi giudici – «… per integrare questa fattispecie di reato è necessario che l’attività sia svolta nei confronti del pubblico e non si tratti quindi di una erogazione fatta in via occasionale …». Da un punto di vista quantitativo, a «… nulla rileva poi la misura del prestito …» ha precisato la Corte di Cassazione. Ciò che rileva ai fini penali è che vi sia un’attività rivolta a un numero indeterminato di persone. In conclusione, non è quindi da considerare «attività finanziaria» l’erogazione occasionale del prestito quando non si tratta di attività continuativa. La sentenza dei Giudici del Supremo Collegio riprende, in parte, alcuni dei passaggi già contenuti in precedenti interventi della Corte (Cassazione penale, Sez. 4°, Sent. 21 aprile 1999, n. 5118; Sez. 2°, 8 gennaio 1998, n. 5285, Sez. 4°, 19 febbraio 1996, n. 5009): «… affinché possa configurarsi il reato di abusiva attività finanziaria, di cui all’art. 132, D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), è indispensabile che l’agente ponga in essere una delle condotte indicate dall’art. 106 del medesimo decreto inserendosi abusivamente nel libero mercato (sottraendosi, così, al controllo di affidabilità e di stabilità) ed operando indiscriminatamente tra il pubblico …». Il che comporta la necessità che la predetta attività sia professionalmente organizzata con modalità e strumenti tali da prevedere e consentire la concessione sistematica di un numero indeterminato di mutui e finanziamenti, rivolgendosi ad un numero di persone potenzialmente vasto e realizzandosi, così, quella latitudine di gestione tale da farla trasmigrare dal settore privato a quello pubblico e ricondurla, quindi, nell’ambito di operatività della legge bancaria.
ASPETTI TRIBUTARI DEL PRESTITO OCCASIONALE
Si distingue la rilevanza del contratto di prestito ai fini imposte dirette, rispetto ai riflessi in materia di imposizione indiretta. Il privato che presta il denaro ed, eventualmente, percepisce un interesse, consegue un reddito di capitale ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. h), D.P.R. 22. dicembre 1986, n. 917; il provento andrà esposto nella dichiarazione annuale dei redditi (Mod. UNICO, Persone fisiche – Quadro RL 2). Le imposte indirette che si applicano al contratto di prestito sono essenzialmente due: l’imposta di bollo che va apposta attraverso contrassegno telematico autoadesivo da euro 14,62 per ogni quattro facciate del contratto di prestito di danaro (art. 2, Tariffa, Parte I allegata al D.P.R. n. 642/1972); l’imposta di registro da corrispondere in misura pari al 3% del capitale erogato (art. 9, Tariffa, Parte I allegata al D.P.R. n. 131/1986). Se, ad esempio, il mutuatario concede una fideiussione occorre anche scontare un ulteriore 0,50% sull’importo della garanzia eventualmente concessa (art. 6, Tariffa, Parte I allegata al D.P.R. n. 131/1986). Da segnalare, infine, l’applicazione dell’imposta ipotecaria se il richiedente, a garanzia della restituzione del prestito, faccia iscrivere ipoteca su immobile di proprietà; in tal caso l’imposta è pari al 2% calcolato sull’importo della garanzia eventualmente concessa (Tariffa, allegata al D.P.R. n. 347/1990, punto 6).
Documentazione
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