La Corte di Cassazione sez. Tributaria con la sentenza n. 23997 depositata il 23 ottobre 2013 intervenendo in materia di accertamento e condono fiscale ha riaffermato che il condono fiscale non è ammesso ” per i soggetti nei cui confronti è stata esercitata l’azione penale per i reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000 n.74, di cui il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di perfezionamento della definizione”- deve interpretarsi nel senso che la condizione ostativa al condono trova applicazione, non soltanto nell’ipotesi di piena coincidenza tra il soggetto indagato/imputato ed il soggetto-contribuente, che si realizza quando la medesima persona fisica rivesta entrambe tali posizioni, ma anche nell’ipotesi in cui tali soggetti non coincidono, come avviene nel caso in cui il reato tributario contestato al titolare persona fisica di un organo societario ridondi, per gli effetti economici fiscali che dallo stesso derivano a vantaggio dell’ente societari
La vicenda ha riguardato una società sottoposta ad una verifica fiscale ed in seguito veniva notificato un avviso di accertamento maggiore imposta IRAP, oltre sanzioni ed interessi. Il contribuente avverso l’atto impositivo ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici accoglievano le doglianze del ricorrente e dichiararono estinto per intervenuta presentazione della domanda di condono ai sensi dell’art.15 comma 5 della legge 27.12.2002 n.289 con l’argomentazione che l’azione penale esercitata nei confronti dell’amministratore non inibiva la validità del condono poiché “non era possibile considerare responsabile un soggetto diverso”. A parere dei giudici di primo grado l’azione penale esercitata nei confronti dell’amministratore non inibiva la validità del condono poiché non era possibile considerare responsabile un soggetto diverso (nella specie, la società di capitali).
L’Amministrazione Finanziaria avverso la sentenza del giudice di prime cure ricorre alla Commissione Tributaria Regionale che confermava integralmente la sentenza di primo grado, pertanto, l’Agenzia delle Entrate ricorreva alla Corte Suprema per la cassazione, basando il ricorso su due motivi di censura.
Gli Ermellini ritengono fondato il ricorso depositato dall’Agenzia delle Entrate. In particolare, i giudici di legittimità hanno ribadito come l’interpretazione dell’articolo 15 della legge 289/2002 vada inteso come la condizione ostativa al condono, trova applicazione, non soltanto nell’ipotesi di piena coincidenza tra il soggetto indagato/imputato ed il soggetto-contribuente, ma anche nell’ipotesi in cui tali soggetti non coincidono (come nel caso in cui il reato tributario contestato al titolare persona fisica di un organo societario ridondi, per gli effetti economici fiscali che dallo stesso derivano a vantaggio dell’ente societario cui l’organo appartiene).
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