Il diritto al risarcimento dei danni ai cittadini che hanno subito dei danni dall’omesso o ritardato recepimento delle direttive UE oppure dalla violazione del diritto comunitario e della trasposizione non corretta di una direttiva. Tale diritto va rinvenuto nell’articolo 5 del Trattato UE.
Il comma 1 dell’articolo 117 della nostra carta Costituzionale stabilisce il principio della conformità dell’attività legislativa statale e regionale agli obblighi dell’Unione. Sul punto si richiama il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale del 1984 n.170, anche detta Granital con cui viene affermato che il diritto interno e il diritto comunitario devono coordinarsi. I giudici costituzionali hanno precisato che “nella costruzione giurisprudenziale dei rapporti fra diritto comunitario e diritto interno: i due sistemi sono configurati come autonomi e distinti, ancorché coordinati, secondo la ripartizione di competenza stabilita e garantita dal Trattato. “Esigenze fondamentali di eguaglianza e certezza giuridica postulano che le norme comunitarie – , non qualificabili come fonte di diritto internazionale, né di diritto straniero, né di diritto interno -, debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari”. Così la Corte ha statuito nella sentenza n. 183 del 1973. In detta decisione è per la prima volta affermata la prevalenza del regolamento comunitario nei confronti della legge nazionale.
(…) Le norme da essa derivanti vengono, in forza dell’art. 11 Cost., a ricevere diretta applicazione nel territorio italiano, ma rimangono estranee al sistema delle fonti interne: e se così è, esse non possono, a rigor di logica, essere valutate secondo gli schemi predisposti per la soluzione dei conflitti tra le norme del nostro ordinamento. In questo senso va quindi spiegata l’affermazione, fatta nella sentenza n. 232/75, che la norma interna non cede, di fronte a quella comunitaria, sulla base del rispettivo grado di resistenza. I principi stabiliti dalla Corte in relazione al diritto – nel caso in esame, al regolamento – comunitario, traggono significato, invece, precisamente da ciò: che l’ordinamento della CEE e quello dello Stato, pur distinti ed autonomi, sono, come esige il Trattato di Roma, necessariamente coordinati; il coordinamento discende, a sua volta, dall’avere la legge di esecuzione del Trattato trasferito agli organi comunitari, in conformità dell’art. 11 Cost., le competenze che questi esercitano, beninteso nelle materie loro riservate.
(…) la legge di esecuzione del Trattato possa andar soggetta al suo sindacato, in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana”
Il giudice delle leggi con successive sentenze ha ampliato l’applicazione del principio del primato degli atti normativi comunitari sul diritto interno. Infatti con la sentenza n. 113 del 23 aprile 195 ha statuito che tale principio si applica anche ai giudicati dalle sentenze interpretative della CGUE, alle sentenze di inadempimento. Con la sentenza n. 389 dell’ 11 luglio 1989 ha ritenuto applicabile il principio di prevalenza anche alle norme dei Trattati istitutivi alle quali deve riconoscersi efficacia diretta. Il principio suddetto viene esteso, con la sentenza n. 64 del 2 febbraio 1990, alle direttive aventi effetti diretti.
Il diritto al risarcimento è stato sancito per la prima volta dalla Corte di giustizia UE con la sentenza del 19 novembre 1991 nelle causa riuniti C-6/90 e C-9/90 sancendo al paragrafo 36 che ” L’ obbligo degli Stati membri di risarcire tali danni trova il suo fondamento anche nell’ art. 5 del Trattato, in forza del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l’ esecuzione degli obblighi ad essi derivanti dal diritto comunitario. Orbene, tra questi obblighi si trova quello di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario …”
Inoltre è stato chiarito, anche dalla sentenza dell’ 8 ottobre 1996 nelle cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94che le condizioni previste per il risarcimento del danno nei casi di violazione inerente alla mancato recepimento della direttiva nei termini previsti “uno Stato membro, in violazione dell’ art. 189, terzo comma, del Trattato, non prenda alcuno dei provvedimenti necessari per raggiungere il risultato prescritto da una direttiva, entro il termine fissato da quest’ultima, tale Stato membro viola, in modo grave e manifesto, i limiti posti all’ esercizio dei suoi poteri.
(…) Di conseguenza, una siffatta violazione fa sorgere, a favore dei singoli, un diritto ad ottenere un risarcimento se il risultato imposto dalla direttiva comporta l’ attribuzione, a loro favore, di diritti il cui contenuto possa essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva e se esiste un nesso di causalità tra la violazione dell’ obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi, senza che debbano essere prese in considerazione altre condizioni. “
Il suddetto principio veniva sancito nel nostro sistema giuridico dalla Corte di Cassazione, sezioni unite, con la sentenza n. 9147 depositata il 17 aprile 2009. La suddetta decisione delle SS. UU. ha statuito il principio di diritto, in tema di ritardato od omesso recepimento di una direttiva europea, secondo cui ” la mancata trasposizione fa sorgere, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento del danno cagionato per il ritardato adempimento, consistente nella perdita della chance di ottenere i benefici – essenziali per consentire un percorso formativo scevro, almeno in parte, da preoccupazioni esistenziali – resi possibili da una tempestiva attuazione delle direttive medesime (Cass. 11 marzo 2008, n. 6427; 9842 del 2002).
(…) Per realizzare il risultato imposto dall’ordinamento comunitario con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, si deve riconoscere al danneggiato un credito alla riparazione del pregiudizio subito per effetto del c.d. fatto illecito del legislatore di natura indennitaria, rivolto, in presenza del requisito di gravità della violazione ma senza che operino i criteri di imputabilità per dolo o colpa, a compensare l’avente diritto della perdita subita in conseguenza del ritardo oggettivamente apprezzabile e avente perciò natura di credito di valore, rappresentando il danaro soltanto l’espressione monetaria dell’utilità sottratta al patrimonio””
La Corte di giustizia UE ha precisato che l’origine della responsabilità del Stato varia a secondo se gli atti hanno efficacia diretta oppure efficacia indiretta.
Gli atti ad efficacia diretta (quali i trattati istitutivi, i regolamenti e le direttive self-executing, quest’ultime solo alla presenza di determinati requisiti) attribuiscono immediatamente diritti ai singoli (artt. 11, 117 Cost.)
Per gli atti ad efficacia indiretta quali sono le direttive (sono atti che devono essere recepite con legge dello Stato) in caso di violazione di direttive da parte dello Stato membro (quale mancata o ritardato recepimento o trasposizione non corretta) l’articolo 4 TFUE, che statuisce il principio di leale collaborazione, è la fonte il fondamento della responsabilità da inadempimento.
La Corte di Giustizia UE con la sentenza del 19 giugno 1990, causa C-213/89 ha stabilito il principio secondo cui le corti nazionali debbano, autonomamente, essere in grado di predisporre un’adeguata tutela cautelare qualora essa sia richiesta da una delle parti e sia parimenti finalizzata a garantire l’effettività del diritto europeo. Principio superiore rispetto al principio della sovranità parlamentare, che prevede la necessità di una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti comunitari.
Anche con la sentenza del 19 giugno 1990 nella causa C-213/89 (c.d. sentenza Factortame ) sono stati ribaditi gli stessi principi della sentenza Francovich (sentnza del 19 novembre 1991 nelle cause riunite C-6/90 e C-9/90). In particolare al paragrafo 18 della sentenza viene ricordato che “nella sentenza 9 marzo 1978, Simmenthal ( causa 106/77, Racc . pag . 629 ), ha dichiarato che le norme di efficacia diretta del diritto comunitario “devono esplicare la pienezza dei loro effetti in maniera uniforme in tutti gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la durata della loro validità” ( punto 14 della motivazione ), e che, “in forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del Trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l’ effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati membri (…) di rendere ‘ipso iure’ inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale” ( punto 17 della motivazione ).”
Inoltre viene ribadito al paragrafo 19 della sentenza in commento che “è compito dei giudici nazionali, secondo il principio di collaborazione enunciato dall’ art. 5 del Trattato CEE, garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi efficacia diretta ( vedasi, da ultimo, le sentenze 10 luglio 1980, Ariete, causa 811/79, Racc . pag . 2545, e Mireco, causa 826/79, Racc . pag . 2559 ).”
I giudici unionali hanno anche statuito che “uno Stato membro non può eccepire disposizioni, prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico interno per giustificare l’ inosservanza degli obblighi e dei termini prescritti dalle direttive (v., in particolare, sentenza 21 giugno 1988, causa 283/86, Commissione/Belgio, Racc. pag. 3271, punto 7).”
Inoltre è stato costantemente affermato che “il risarcimento dev’essere adeguato al danno subito, ossia tale da garantire una tutela effettiva dei diritti dei singoli lesi.“
Ancora p stato statuito che “costante a partire dalla citata sentenza Francovich I, punti 41-43, che, fatto salvo quanto precede, è nell’ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato, fermo restando che le condizioni, in particolare relative ai termini, stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna (principio dell’equivalenza) e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (principio di effettività).“
Principio risarcitorio dello Stato in caso di violazione del diritto comunitario
La giurisprudenza della Corte di Giustizia UE è la fonte principale del principio della responsabilità degli Stati per violazione del diritto UE. Come sopra ricordato la sentenza sentenza Francovich, in cui lo Stato inadempiente era l’Italia, statui il principio risarcitorio dello Stato in caso di violazione del diritto comunitario. Per cui l’obbligo gravante sullo Stato, ex articolo 249 Trattato CE, di dare attuazione alle direttive, corrisponde al diritto vantato dai singoli di vedere applicate le norme comunitarie.
Pur tuttavia il principio che il mancato recepimento di una direttiva comunitaria entro la data ultima stabilita nel provvedimento determinava una condanna dello Stato e un obbligo di risarcimento del cittadino che fosse risultato leso dall’inadempiente comportamento. Tale diritto del cittadino era possibile al verificarsi di determinate condizioni.
in mancanza di una corretta e tempestiva trasposizione delle direttive, lo Stato non può opporre ai singoli il suo inadempimento agli obblighi espressi dalla direttiva inattuata
Con la sentenza del 5 marzo 1996 Brasserie du Pêcheur e Factortame (cause riunite C-46/93 e C-48/93) la Corte di Giustizia UE afferma che il principio della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario trova applicazione tutte le volte che il potere legislativo, esecutivo o giudiziario abbia leso un diritto riconosciuto al singolo dal diritto comunitario. In particolare che il principio al risarcimento del cittadino trova applicazione anche quando “allorché uno Stato membro opera in un settore nel quale dispone di un ampio potere discrezionale, paragonabile a quello del quale si avvalgono le istituzioni comunitarie per l’ attuazione delle politiche comunitarie, i presupposti della sua responsabilità debbono essere, in via di principio, i medesimi di quelli dai quali dipende il sorgere della responsabilità della Comunità in una situazione analoga“, per cui in tale ipotesi “un diritto al risarcimento è riconosciuto dal diritto comunitario in quanto siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata e, infine, che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’ obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi“
La sentenza in commento prevede espressamente al paragrafo 32 e 36 che “… il principio ha valore in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato membro, qualunque sia l’organo di quest’ultimo la cui azione od omissione ha dato origine alla trasgressione.
(…) il principio in forza del quale gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad essi imputabili trova applicazione allorché l’inadempimento contestato è riconducibile al legislatore nazionale.
Sui presupposti della responsabilità dello Stato per atti ed omissioni del legislatore nazionale contrari al diritto comunitario (seconda questione nel procedimento C-46/93 e prima questione nel procedimento C-48/93) “
Continuando ai paragrafi 38 e 39 si precisa che “se la responsabilità dello Stato è imposta dal diritto comunitario, le condizioni in cui essa fa sorgere un diritto al risarcimento dipendono dalla natura della violazione del diritto comunitario che è all’ origine del danno provocato (sentenza Francovich e a., citata, punto 38).
(…) Per determinare tali condizioni occorre tener conto anzitutto dei principi propri dell’ ordinamento giuridico comunitario che costituiscono il fondamento per la responsabilità dello Stato, vale a dire la piena efficacia delle norme comunitarie e l’ effettiva tutela dei diritti da esse garantiti, da un lato, e l’ obbligo di cooperazione incombente agli Stati membri in forza dell’ art. 5 del Trattato, dall’ altro (sentenza Francovich e a., citata, punti 31-36).”
Inoltre i giudici della Corte di Giustizia UE, con la sentenza dell’8 ottobre 1996 nelle cause riunite C-178, 179, 188, 189, 190/94, hanno anche disposto che “una violazione è sufficientemente grave e manifesta quando un’ istituzione o uno Stato membro, nell’esercizio del suo potere normativo, ha violato in modo grave e manifesto i limiti posti al suo potere discrezionale (v. sentenze 25 maggio 1978, cause riunite 83/76, 94/76, 4/77, 15/77 e 40/77, HNL e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. 1209, punto 6; Brasserie du pêcheur e Factortame, citata, punto 55, e British Telecommunications, citata, punto 42) e, in secondo luogo, nell’ ipotesi in cui lo Stato membro di cui trattasi, al momento in cui ha commesso la trasgressione, non si fosse trovato di fronte a scelte normative e disponesse di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per accertare l’ esistenza di una violazione sufficientemente grave e manifesta (v. sentenza Hedley Lomas, citata, punto 28).”
Responsabilità dello Stato nella non corretta trasposizione di una direttiva
Sul punto della non corretta trasposizione di una direttiva la Corte di Giustizia UE con la sentenza del 26 marzo 1996 nella causa C-392/93 ha statuito che ” il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato (sentenze 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e a., Racc. pag. I-5357, punto 35, e 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame, Racc. pag. II-0000, punto 31). Ne consegue che un principio siffatto ha valore in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato membro (sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, già citata, punto 32).
39 Occorre ricordare che, nell’ ultima sentenza citata, esaminando l’ipotesi di una violazione del diritto comunitario imputabile a uno Stato membro che agisca in un ambito in cui dispone di un’ ampia discrezionalità in merito alle scelte normative da compiere, la Corte ha parimenti giudicato che un diritto al risarcimento è riconosciuto dal diritto comunitario in quanto siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata e che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’ obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi (punti 50 e 51).
40 Dette condizioni devono essere applicate all’ ipotesi sottoposta alla Corte dal giudice a quo, vale a dire quella in cui uno Stato membro trasponga in modo non corretto una direttiva comunitaria nel proprio diritto interno. Il fatto di subordinare a condizioni restrittive l’ insorgere della responsabilità in capo allo Stato membro si giustifica infatti, in tale ipotesi, alla luce dei motivi che la Corte ha già considerato rilevanti per giustificare le condizioni restrittive per l’ insorgere della responsabilità extracontrattuale delle istituzioni o degli Stati membri quando esercitano la loro attività normativa in ambiti appartenenti al diritto comunitario e all’ interno dei quali godono di un ampio potere discrezionale, in particolare in considerazione del rischio che l’ esercizio di tale attività normativa possa essere ostacolato dalla prospettiva di azioni risarcitorie ogni volta che dette istituzioni o detti Stati membri debbano adottare, nell’ interesse generale, provvedimenti che possono ledere interessi di singoli (v., in particolare, sentenze 25 maggio 1978, cause riunite 83/76, 94/76, 4/77, 15/77 e 40/77, HNL e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. 1209, punti 5 e 6, e Brasserie du pêcheur e Factortame, già citata, punto 45). “
Inoltre nella sentenza è stabilito che:
- la responsabilità degli Stati membri sussiste anche nel caso di inadempimento derivante dalla violazione del diritto primario ( disposizioni dei Trattati) e non solo da violazioni del diritto derivato (atti posti in essere dalle istituzioni);
- il risarcimento può essere naturalmente accordato anche in caso di direttive self executive (direttamente efficaci);
- le condizioni per il sorgere della responsabilità sono ancorate al sistema del Trattato e, cioè, sono quelle stesse necessarie per il sorgere della responsabilità extracontrattuale;
- il danno risarcibile deve essere reale e comprende il danno emergente e il lucro cessante;
- l’azione di responsabilità è intentata dinanzi ai giudici nazionali, secondo la tradizionale ripartizione di competenze tra giudice ordinario ed amministrativo, ed è indipendente da un’eventuale pronuncia della Corte di giustizia di infrazione dello Stato membro.
Principio risarcitorio dello Stato in caso una semplice trasgressione del diritto comunitario
Con la sentenza dell’ 8 ottobre 1996 nelle cause riunite C-178, 179, 188, 189, 190/94 i giudici unionali hanno ribadito che “qualora il termine stabilito per l’ attuazione di una direttiva si riveli troppo breve, l’unico rimedio compatibile col diritto comunitario consiste, per lo Stato membro interessato, nel prendere, sul piano della Comunità, le iniziative idonee allo scopo di ottenere, da parte dell’ istituzione comunitaria competente, un’adeguata proroga del termine stesso (v. sentenza 26 febbraio 1976, causa 52/75, Commissione/Italia, Racc. pag. 277, punto 12).”
Inoltre la sopra indicata sentenza ha stabilito che “La mancanza di qualsiasi provvedimento d’ attuazione di una direttiva per raggiungere il risultato prescritto da quest’ultima entro il termine a tal fine stabilito costituisce di per sé una violazione grave e manifesta del diritto comunitario e pertanto fa sorgere un diritto a risarcimento a favore dei singoli lesi qualora, da un lato, il risultato prescritto dalla direttiva implichi l’ attribuzione, a favore dei singoli, di diritti il cui contenuto possa essere individuato e, dall’ altro, esista un nesso di causalità tra la violazione dell’ obbligo a carico dello Stato e il danno subito.“
Viene ribadito, inoltre che “le disposizioni di una direttiva devono essere attuate con efficacia cogente incontestabile, con la specificità, precisione e chiarezza necessarie per garantire pienamente la certezza del diritto (sentenza 30 maggio 1991, causa C-59/89, Commissione/Germania, Racc. pag. I-2607, punto 24).”
Principio risarcitorio dello Stato limitato dall’applicazione retroattiva e completa della direttiva
Sul tema della limitazione della responsabilità dello Stato membro in caso di applicazione retroattiva della direttiva i giudici unionali con la sentenza depositata il 10 luglio 1997 nella cause riunite C-94/95 e C-95/95 hanno statuito che “l’applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione della direttiva permette di rimediare alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione di quest’ultima, a condizione che la direttiva sia stata regolarmente recepita. Tuttavia, spetta al giudice nazionale far sì che il risarcimento del danno subito dai beneficiari sia adeguato. Un’applicazione retroattiva, regolare e completa delle misure di attuazione della direttiva sarà a tal fine sufficiente, a meno che i beneficiari non dimostrino l’esistenza di danni ulteriori da essi eventualmente subiti per non aver potuto fruire a suo tempo dei vantaggi pecuniari garantiti dalla direttiva e che dovrebbero quindi essere anch’essi risarciti.“
Inoltre, la Corte di Giustizia UE con la sentenza depositata il 10 luglio 1997 nella causa C-261/95, ha evidenziato che “nelle sentenze[…] nelle cause riunite C-94/95 e C-95/95, Bonifaci e a. e Berto e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 53) e nella causa C-373/95, Maso e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 41), che il risarcimento non può in tutti i casi essere pienamente assicurato da un’applicazione retroattiva, regolare e completa delle misure di attuazione della direttiva. Spetta infatti al giudice nazionale far sì che il risarcimento del danno subito dai beneficiari sia adeguato. Un’applicazione retroattiva, regolare e completa delle misure di attuazione della direttiva sarà a tal fine sufficiente, a meno che i beneficiari non dimostrino l’esistenza di danni ulteriori da essi eventualmente subiti per non aver potuto fruire a suo tempo dei vantaggi pecuniari garantiti dalla direttiva e che dovrebbero quindi essere anch’essi risarciti.“
Nella sentenza del 10 luglio 1997 nella causa C-261/95 è stato stabilito, anche, che “il diritto comunitario, al suo stato attuale, non osta a che uno Stato membro imponga, per la proposizione di ogni ricorso diretto al risarcimento del danno subito a seguito della tardiva attuazione della direttiva, un termine di decadenza di un anno a decorrere dalla recezione nel suo ordinamento giuridico interno, purché tale modalità procedurale non sia meno favorevole di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna.“
Principio risarcitorio dello Stato imputabile a una decisione di un organo giurisdizionale
I giudici unionali con la sentenza depositata il 30 settembre 2003 nella causa C-261/01 ha ribadito, al paragrafo 30, che “il principio della responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato (sentenze 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90, C-9/90, Francovich e a., Racc. pag. I-5357, punto 35; Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 31; 26 marzo 1996, causa C-392/93, British Telecommunications, Racc. pag. I-1631, punto 38; 23 maggio 1996, causa C-5/94, Hedley Lomas, Racc. pag. I-2553, punto 24; 8 ottobre 1996, cause riunite C-178/94, C-179/94 e da C-188/94 a C-190/94, Dillenkofer e a., Racc. pag. I-4845, punto 20; 2 aprile 1998, causa C-127/95, Norbrook Laboratories, Racc. pag. I-1531, punto 106, e Haim, cit., punto 26).”
Inoltre al paragrafo 31 la Corte ha anche ribadito che ” questo principio ha valore in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato membro, qualunque sia l’organo di quest’ultimo la cui azione od omissione ha dato origine alla trasgressione (sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 32; 1° giugno 1999, causa C-302/97, Konle, Racc. pag. I-3099, punto 62, e Haim, cit., punto 27).”
Infatti per laCorte nella sentenza sopra indicata al paragrafo n. 33 che “In considerazione del ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella tutela dei diritti che ai singoli derivano dalle norme comunitarie, la piena efficacia di queste ultime verrebbe rimessa in discussione e la tutela dei diritti che esse riconoscono sarebbe affievolita se fosse escluso che i singoli possano, a talune condizioni, ottenere un risarcimento allorché i loro diritti sono lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile a una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado di uno Stato membro.
(…) a tale riguardo che un organo giurisdizionale di ultimo grado costituisce per definizione l’ultima istanza dinanzi alla quale i singoli possono far valere i diritti ad essi riconosciuti dal diritto comunitario. Poiché normalmente non può più costituire oggetto di riparazione una violazione di questi diritti in una decisione di un tale organo giurisdizionale che è divenuta definitiva, i singoli non possono essere privati della possibilità di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere in tal modo una tutela giuridica dei loro diritti.”
Viene sotto lineato dai giudici unionali nel paragrafo 39 della causa C-261/01 che “il riconoscimento del principio della responsabilità dello Stato per la decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado non ha di per sé come conseguenza di rimettere in discussione l’autorità della cosa definitivamente giudicata di una tale decisione. Un procedimento inteso a far dichiarare la responsabilità dello Stato non ha lo stesso oggetto e non implica necessariamente le stesse parti del procedimento che ha dato luogo alla decisione che ha acquisito l’autorità della cosa definitivamente giudicata. Infatti, il ricorrente in un’azione per responsabilità contro lo Stato ottiene, in caso di successo, la condanna di quest’ultimo a risarcire il danno subito, ma non necessariamente che sia rimessa in discussione l’autorità della cosa definitivamente giudicata della decisione giurisdizionale che ha causato il danno. In ogni caso, il principio della responsabilità dello Stato inerente all’ordinamento giuridico comunitario richiede un tale risarcimento, ma non la revisione della decisione giurisdizionale che ha causato il danno.“
In ordine alla richiesta di risarcimento occorre evidenziare che l’art. 234, terzo comma, CE prevede che un giudice avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno è tenuto a rivolgersi alla Corte di Giustizia.
Inoltre viene confermato l’applicazione anche per tale violazione de ” il principio secondo cui gli Stati membri sono obbligati a risarcire i danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad essi imputabili è applicabile anche allorché la violazione di cui trattasi deriva da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, sempreché la norma di diritto comunitario violata sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la violazione sia sufficientemente caratterizzata e sussista un nesso causale diretto tra questa violazione e il danno subito dalle parti lese. Al fine di determinare se la violazione sia sufficientemente caratterizzata allorché deriva da una tale decisione, il giudice nazionale competente deve, tenuto conto della specificità della funzione giurisdizionale, accertare se tale violazione presenti un carattere manifesto. Spetta all’ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro designare il giudice competente a risolvere le controversie relative al detto risarcimento”
Inoltre, la Corte di Giustizia UE con la sentenza depositata il 13 giugno 2006, causa C-173/03, ha stabilito che il diritto comunitario osta ad una normativa nazionale (come quella italiana della L. n. 117/1988) che limiti la sussistenza della responsabilità dello Stato membro ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove tale limitazione conduca ad escludere la sussistenza di tale responsabilità nel caso in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente. (v. anche sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler)