L’Amministrazione finanziaria per l’avvio delle indagini finanziarie ha inizio con la richiesta da parte della Direzione Provinciale territorialmente competente alla Direzione Regionale di una specifica autorizzazione. Con la circolare ministeriale n. 32/2006 ha evidenziato che l’autorizzazione è atto preparatorio allo svolgimento della fase endoprocedimentale dell’istruttoria, non assumendo rilevanza esterna, autonoma ai fini della sua eventuale impugnazione, in quanto non immediatamente lesiva sotto il profilo tributario della posizione del contribuente interessato che non ha ancora subito, e potrebbe non subire, alcun atto di accertamento. Si tratta quindi di atto non soggetto a legittimità giurisdizionale in quanto lo stesso potrebbe essere oggetto di contestazione in sede di contenzioso. La predette limitazioni, stante la circolare n, 32/2006, non attenua la garanzia che l’autorizzazione riveste nell’ambito delle indagini finanziarie in quanto essendo un atto amministrativo preparatorio, consente al contribuente di valutare l’iter logico-giuridico, insieme alla documentazione, in sede di accesso, esperibile, presso l’Ufficio che lo detiene, ai sensi della legge 241/1990, a conclusione del procedimento di formazione dell’atto di accertamento.
La Suprema Corte ha avuto modo di valutare sulla fattispecie. Le sentenze più interessanti sono la Sent. n. 14023 del 09 maggio 2007 con cui, la corte suprema, ha evidenziato che la norma subordina la legittimità delle indagini bancarie e delle relative risultanze all’esistenza dell’autorizzazione e non anche alla relativa esibizione all’interessato. In particolare la Cassazione osserva che né dalla previsione dell’art- 6 né da quella dell’art. 12 della legge 212/2000 si desume che le risultanze delle indagini bancarie vadano poste nel nulla in conseguenza della mancata esibizione della pur esistente autorizzazione. Inoltre atteso che, comunque non risulta prospettato dal contribuente quale concreto pregiudizio abbia subito dalla lamentata mancata esibizione, va poi, considerato che eventuali illegittimità nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento diventano censurabili davanti al giudice tributario soltanto quando traducendosi in un concreto pregiudizio per il contribuente vengano ad inficiare il risultato finale del procedimento e, quindi, l’accertamento medesimo (cassazione n. 18836/2006). Pertanto la mancata esibizione dell’autorizzazione non costituisce di per se stessa motivo di illegittimità dell’accertamento.
Con la sentenza n. 16874 del 21 luglio 2009 la Corte ha ribadito, precisando che la mancanza dell’autorizzazione si riverbera sull’accertamento solo se questo crea un pregiudizio concreto al contribuente. Per la Corte a differenza di quanto previsto dall’art. 52 del Dpr 633/1972 che impone, per eseguire gli accessi, agli impiegati di essere muniti di apposita autorizzazione, che indichi lo scopo, rilasciata dal capo ufficio nell’art. 51 comma 2 n. 2 del Dpr 633/1972 non vi è traccia dell’eventuale obbligo di indicazione (che non implica affatto motivazione)né dello scopo ne del motivo e, a fortiori, di un obbligo di motivazione ovvero indicazioni delle ragioni logiche e giuridiche che li sorreggono per i provvedimenti che prevedono l’acquisizione dei conti correnti bancari e/o postali. Per cui l’esercizio del potere di indagini finanziarie rientra nel più genus dei poteri di controllo, senza specificazione di nessuna particolare circostanza giustificativa; la previa autorizzazione non deve contenere nessuna spiegazione delle ragioni che hanno indotto il Direttore Regionale o il comandante della G.d.F. ad autorizzare il proprio Ufficio ad effettuare la richiesta a detti enti perché non è stato disposto che la richiesta di questo provvedimento da parte degli uffici debba essere operata necessariamente per iscritto (o trasfusa in atto scritto); il rilievo impone di escludere la necessità di motivare la richiesta. (vedasi anche la sentenza n. 5849 del 13 aprile 2012)
In ultimo anche la sentenza della Corte di Cassazione n. 14026 del 03 agosto 2012 con un articolata e precisa disanima ha ritenuto che la mancanza di un autonoma motivazione della richiesta e dell’atto di autorizzazione all’espletamento delle indagini finanziarie non determina l’invalidità derivata dall’avvio di accertamento opposto.
La Suprema Corte inizia la disamina dall’analisi del dettato normativo. Le autorizzazioni previste dall’art. 32 comma 1 Dpr n. 600/1972 non necessitano di autonoma motivazione in considerazione dell’assenza di una specifica previsione normativa che imponga tale requisito all’atto, come emerge anche dal raffronto con le disposizioni contenute nel D.p.r. 633 del 1973 art. 52 (estese alla materia delle imposte sui redditi in virtù del rinvio operato dal D.p.r. n. 600 del 1973 art. 33 comma 1) che disciplinano le autorizzazioni agli acessi nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali (per le quali e richiesta, peraltro, soltanto la indicazione dello scopo : art. 52 comma 1) ovvero alla esecuzione di accessi in locali adibiti anche ad abitazione (per le quali è richiesta anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica che può essere rilasciata soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, art. 52 comma 2).
L’assenza di una previsione normativa espressa che prescriva la motivazione delle autorizzazioni di cui all’art. 51 comma 2 nn. 6-bis, 7 e 7-bis (ed analogamente ex art. 32 comma 1 nn. 6-bis, 7 e 7-bis) viene giustificata con la riconduzione della acquisizione di notizie, informazioni, documenti –anche presso banche, istituti di credito, società di intermediazione finanziaria, amministrazione postale – alle competenze ed al potere di verifica delle situazioni reddituali e patrimoniali dei contribuenti (in funzione dell’eventuale successiva attivazione del procedimento di accertamento) attribuiti per legge (art. 95 Cost. comma 3; D.p.r. n. 600 del 1973 art. 31; D.p.r. n. 633 del 1972 art. 51 comma 1) all’Amministrazione finanziaria. In pratica, l’autorizzazione ha ad oggetto un richiesta che è rivolta esclusivamente all’ente che intrattiene i rapporti con il contribuente (deve essere indirizzata al responsabile della struttura, sede od ufficio) con la conseguenza che non essendo legittimato detto ente a contestare la verifica fiscale condotta nei confronti di un soggetto diverso (cliente), al quale invece la richiesta (e tanto meno l’ autorizzazione) non deve essere comunicata, il requisito formale della motivazione dell’atto di autorizzazione appare logicamente del tutto inutile (vedasi anche Corte Cass. sez. V n. 16874 del 15 giugno 2007 che a sua volta richiama il precedente della stessa sezione V del 15/06/2007 n. 14023 secondo cui la norma tributaria configura l’esistenza dell’autorizzazione come condizione di legittimità dell’attività di verifica e dell’atto di accertamento, ma non richiede, tuttavia la preventiva notifica od esibizione di tale atto all’interessato che potrà lamentare eventuali pregiudizi subiti mediante l’impugnazione dell’atto di accertamento).
Inoltre la Suprema Corte, nella sentenza che stiamo esaminando, osserva che il <> (autorizzazione) non si può ritenere ex se dirimente alla individuazione degli effetti giuridici e della natura, ma va riconosciuta in base alla concreta funzione che l’atto viene a svolgere nella relazione di tipo organizzativo e procedimentale che si instaura tra gli uffici appartenenti alla medesima Amministrazione finanziaria e gli altri atti ed attività che convergono nell’attuazione delle competenze riservate ex lege a detti uffici. Per la Corte Suprema la stessa circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/E del 19/10/2006 fa emergere come dato certo due elementi:
- Autorizzazione in funzione organizzativa. Tale tipo di autorizzazione interviene tra gli uffici inseriti nella medesima organizzazione pubblica, collocati in rapporto di subordinazione gerarchica (Direzione Regionale e Direzione Provinciale), con la conseguenza che, nel caso di specie, non è dato ipotizzare una diversificazione di interessi pubblici facenti capo a ciascun ufficio, dovendo invece ravvisarsi una identità di competenza tra ufficio superiore e quello locale. Questo consente di attribuire alla predetta autorizzazione una preminente funzione organizzativa, mediante la quale il titolare dell’ufficio regionale cui è demandata la competenza di disporre l’acquisizione di dati, notizie ed informazioni anche attraverso indagini finanziarie, assolve più agevolmente e speditamente il proprio compito legittimando l’ufficio inferiore alla relativa attività. La relazione tra i due uffici si attua, pertanto, attraverso uno schema di tipo organizzativo riconducibile alla delega-autorizzazione, nel quale la valutazione rimessa al titolare dell’ufficio “delegante” si esaurisce nella modalità di attuazione della competenza attribuita in vista del perseguimento del medesimo interesse pubblico (acquisizione delle entrate patrimoniali allo Stato) e dunque si esaurisce nell’ambito del rapporto organizzativo interno tra gli uffici (così come evidenziata nella ripetuta circolare amministrativa 32/2006, l’esame valutativo rimesso al capo dell’ufficio locale superiore “autorizzante”, oltre alla verifica degli elementi essenziali della richiesta, necessari ad assolvere allo scopo della indagine – quali la individuazione del contribuente, la specificazione delle operazioni per le quali debbano essere acquisiti i dati e le informazioni; l’indicazione della durata del periodo indagato; la identificazione dell’ente al quale indirizzare la richiesta; l’indicazione del termie assegnato per la risposta – concerne la opportunità e proficuità della indagine, valutazione che deve essere compiuta in relazione al parametro della efficienza cui deve uniformarsi l’attività amministrativa, e dunque in base all’applicazione del criterio costi-benefici, dovendo tenersi conto a tal fine sia delle previsioni formulabili in ordine al conseguimento di un risultato utile, che delle complessive esigenze organizzative degli uffici locali in relazione alla necessità di impedire ritardi od interruzioni nell’esercizio delle altre competenze loro affidate, nonché della concreta disponibilità del personale da destinare a tale indagine e che dovrà essere distolto durante tale periodo da altri necessari compiti )
- Autorizzazione priva di natura provvedimentale. Tale autorizzazione viene ad operare sul piano delle relazioni organizzative tra uffici del medesimo ente pubblico, rimane esclusa la natura “provvedimentale” di tale atto, in quanto inidoneo a produrre effetti giuridici all’esterno della organizzazione e ad incidere sulla sfera giuridica di terzi. Nel diritto pubblico, infatti, la autorizzazione si configura come provvedimento terminale di un autonomo procedimento amministrativo volto alla cura di un interesse (pubblico) distinto da quello perseguito dal soggetto autorizzato: la autorizzazione è normalmente diretta alla verifica di presupposti o requisiti o condizioni predeterminati dalla legge in funzione dello svolgimento di attività (generalmente dei privati), ed assume quindi la funzione di controllo preventivo di conformità ai requisiti di legge, ovvero la funzione di accertamento della compatibilità della attività autorizzata con le esigenze di cura o tutela di altri interessi che potrebbero risultarne pregiudicati. In tali casi il rapporto che si instaura tra il soggetto autorizzante e il soggetto autorizzato implica una relazione di autonomia degli interessi che fanno capo a tali soggetti, venendo a comporre la legge attributiva del potere autorizzatorio il potenziale conflitto tra detti interessi, secondo uno schema di subordinazione». Caratteristiche che non si rinvengono nella fattispecie in esame, dove l’autorizzazione «non viene ricollegata ad alcun presupposto normativo che individui la esigenza di tutela di interessi terzi, né alla sussistenza di altri elementi normativamente predeterminati (come ad esempio la infedeltà della dichiarazione, la anomalia dello scostamento da parametri reddituali, ecc); non vi è una distinzione di interessi affidati alle cure del titolare dell’organo superiore – che autorizza – e del funzionario in organico nell’ufficio locale – in rapporto di subordinazione gerarchica – che viene autorizzato, inserendosi la delega autorizzativa nell’esercizio della medesima funzione di controllo fiscale, ed essendo entrambi gli uffici inseriti nella stessa organizzazione amministrativa per il perseguimento dell’identico interesse pubblico alla stessa affidato».
Pertanto, tali elementi non fanno altro che confermare «il carattere meramente endoprocedimentale della “autorizzazione” che, nella sequenza delle attività e degli atti strumentali alla emanazione del provvedimento impositivo (avviso di accertamento, rettifica, liquidazione), si configura quale atto “preparatorio” (in quanto tale insuscettibile di autonoma impugnazione), inserito nella fase della iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, e più specificamente quale condizione di legittimazione dell’ufficio locale all’esercizio di taluni poteri ispettivi ricompresi nelle competenze amministrative di controllo e verifica delle “dichiarazioni presentate e dei versamenti eseguiti dai contribuenti” e “dai sostituti d’imposta”, nonché di vigilanza sull’osservanza degli obblighi stabiliti dalle disposizioni tributarie (D.P.R. n. 633 del 1972, art.51, comma 1; D.P.R. n. 600 del 1973, art.31, comma 1)». La natura preparatoria, e non provvedimentale, dell’autorizzazione in questione, sottrae, pertanto, «tale atto (i cui effetti, come si è visto, riverberano esclusivamente sul piano della efficienza organizzativa degli uffici) dalla categoria delle manifestazioni di volontà della P.A. che sono espressione di potestà discrezionale in quanto implicano, ai fini del perseguimento dell’interesse pubblico, una ponderazione tra interessi potenzialmente contrastanti ed una scelta tra le diverse modalità di composizione di tali interessi, con la conseguenza che il requisito formale della motivazione – così come definito per ogni provvedimento amministrativo dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 1 – deve ritenersi ad esso estraneo, tanto più trattandosi di atto che, nella disciplina normativa tributaria, attiene alla funzione del controllo fiscale (che deve essere tenuta distinta da quella di accertamento impositivo, potendo anche esaurirsi il controllo con la verifica della regolarità della posizione del contribuente, senza che segua la fase accertativa) in ordine alla quale (esame delle dichiarazioni, acquisizione di elementi di riscontro, richiesta di informazioni e documenti, invio di questionari) non è prevista alcuna specifica motivazione, espressamente richiesta invece con riferimento alla adozione degli atti impositivi (legge n. 212 del 2000, art. 7)». Ed, infatti, detta autorizzazione non integra un elemento costitutivo degli effetti del provvedimento impositivo, rimanendo estranea alla valutazione dei «presupposti di fatto e delle ragioni di diritto» che fondano la pretesa tributaria, formalizzata attraverso l’atto di accertamento, e quindi non necessita di motivazione. Né è ravvisabile una specifica situazione giuridica soggettiva, riferibile al contribuente, immediatamente lesa dalla autorizzazione del Direttore regionale delle Entrate e dalla richiesta di dati, informazioni e notizie indirizzata agli enti con i quali il contribuente intrattiene rapporti, essendo il richiamo operato, nel caso in questione, alla tutela del risparmio del tutto inconferente, «non essendo dato comprendere quale relazione possa ravvisarsi tra la tutela del risparmio in tutte le sue forme garantita dalla Carta fondamentale (art. 47 Cost., comma 1) e la verifica delle dichiarazioni fiscali e la vigilanza sugli adempimenti degli obblighi tributari da parte della Amministrazione finanziaria». Né possono ricondursi all’autorizzazione effetti lesivi del diritto del contribuente alla riservatezza dei dati bancari. In ordine alla pretesa nullità dell’avviso di accertamento notificato, per omessa allegazione del provvedimento di autorizzazione, la Corte rileva che l’obbligo di allegazione dell’atto richiamato e non conosciuto dal contribuente sussiste non per qualsiasi atto menzionato nell’avviso, ma soltanto per quei documenti il cui contenuto risulti indispensabile alla individuazione dei fatti come rilevati e valutati dall’Ufficio, nonché risulti necessario alla comprensione delle ragioni fatte valere con l’atto impositivo. Tale ipotesi non ricorre nel caso di specie «in considerazione della natura endoprocedimentale dell’atto autorizzativo che, non richiedendo l’obbligo della motivazione, esclude ab origine che tale atto, anche se richiamato dall’avviso, possa supportare le ragioni giustificative della pretesa tributaria». In ogni caso, la trasmissione dell’atto autorizzativo in allegato all’avviso di accertamento notificato al contribuente è da ritenersi del tutto superflua, atteso che dal questionario inviato al contribuente emerge che il fatto autorizzativo era già stato portato a conoscenza del contribuente. In conclusione, «la previa conoscenza dell’atto autorizzatorio non costituisce presupposto di legittimità dell’avviso di accertamento, né di inutilizzabilità delle prove raccolte, essendo richiesto dalla legge soltanto che tale autorizzazione sia stata effettivamente adottata (cfr. Corte Cass., V sez. 15 giugno 2007, n 14023; id. V sez. 21 luglio 2009, n. 1674)
Pertanto dalle sentenze esaminata si può addivenire alla conclusione che prima di iniziare qualsiasi indagine finanziaria, l’organo di vigilanza, deve essere preceduta dalla richiesta di autorizzazione secondo lo schema stabilito dalla legge, come puntualizzato dalla circolare n. 32/2006. Inoltre la richiesta deve contenere in modo indefettibile il requisito essenziale dei motivi sottostanti l’indagine, in ossequio al principio della trasparenza e di effettività della tutela giurisdizionale di ogni soggetto. La richiesta di autorizzazione è un atto istruttorio non impugnabile autonomamente, che deve contenere i motivi che suggeriscono l’indagine bancaria. Essa deve indicare il contribuente da sottoporre ad indagini, il periodo temporale da controllare, e deve riferirsi alla copia dei suoi conti intrattenuti con la banca, con la specificazione dei rapporti inerenti e connessi, e gli istituti di credito, postali e gli altri organismi cui si intende inoltrare la richiesta (dal 29 novembre 2007, l’anagrafe dei conti è diventata realtà: gli agenti del Fisco, infatti, possono interrogare direttamente – sempre dietro autorizzazione – il cd. Archivio dei rapporti con gli operatori finanziari, che contiene i dati dal 2005 in poi).
Gli organi competenti al rilascio dell’autorizzazione devono valutare la sussistenza dei requisiti di legittimazione e di merito, dandone atto nella motivazione dello stesso atto autorizzativo. Ciò è da ritenere maggiormente necessario, all’indomani dell’entrata in vigore della L. 7 settembre 1990, n. 241, che modificando l’orientamento giurisprudenziale che non lo considerava necessario, ha imposto un obbligo generalizzato di motivazione.
La stessa Agenzia delle entrate, nella Circ. n. 32/E del 2006 (par. 4.2.1), ritiene necessaria e obbligatoria la motivazione.
In ogni caso a parte le condivisibili, opportune e necessarie esigenze di cautela manifestate dall’Agenzia e necessario prendere atto dei principi affermati dalla Cassazione con le sentenze sopra esaminate, che partendo dall’impianto normativo – art. 51, comma 2, n. 7, del D.P.R. n. 633/1972 e l’art. 32, comma 1, n. 7, del D.P.R. n. 600/1973 – indicano che la normativa si limita a prevedere che le indagini finanziarie sono esperibili, previa autorizzazione dell’organo sovraordinato ivi previsto. Se l’esibizione dell’autorizzazione non è necessaria (e quindi, di fatto, il contribuente non conosce i motivi che stanno alla base delle indagini), è perché proprio il dettato normativo di riferimento e lo Statuto del contribuente non prevedono espressamente che l’atto autorizzativo debba spiegare le ragioni del controllo avviato, dovendosi ravvisare nell’organo deputato al rilascio dell’autorizzazione solo un potere di controllo di legittimità (che l’ufficio richiedente, per esempio, abbia inoltrato la richiesta alla Direzione regionale competente territorialmente) e non di merito. La Suprema Corte ha statuito che la mancanza dell’autorizzazione determina l’illegittimità del successivo atto di accertamento solo se il contribuente abbia in concreto subito, ai fini del suo diritto di difesa, un pregiudizio tale da inficiare il risultato finale del procedimento e l’accertamento stesso. (vedasi Cassazione n. 18836/2006; Cass. n. 14023/2007).
Occorre prendere atto di questo indirizzo giurisprudenziale favorevole al Fisco, che va sempre più consolidandosi, che si fonda sull’assenza della natura provvedimentale dell’autorizzazione, che rientra, invece, nell’ambito della fase organizzativa.
L’obbligo di motivazione lo si faceva discendere dalla considerazione della natura dell’atto di acquisizione i dati bancari, che si riteneva amministrativa e pertanto andava motivata, ma una volta che l’autorizzazione non ha natura provvedimentale ma organizzativa e, pertanto, non va motivata.
L’interpretazione esposta non contrasta con nessuno dei fondamentali diritti del contribuente: né con il diritto di difesa (art. 24 Cost.), perché, non essendo prevista nessuna forma di contraddittorio obbligatorio nella fase preimpositiva, l’esercizio di quel diritto non trova nessun ostacolo nella sede propria (quella giurisdizionale); né con il diritto alla riservatezza, avendo il legislatore attenuato in parte il cd. segreto bancario e, di conseguenza, la riservatezza concernente il suo contenuto almeno nei riguardi degli uffici fiscali. In ogni caso, l’(eventuale) vizio inficiante l’avviso di accertamento non è dato dalla mancata esibizione in giudizio della «autorizzazione» ovvero dell’assenza di motivazione ma dalla mancanza materiale della stessa, e ciò potrebbe determinare l’illegittimità del «risultato finale del procedimento» – quindi, dell’accertamento – solo quando si traduce in un «concreto» (ovverosia certo ed effettivo) «pregiudizio per il contribuente». Anche perché, seguendo tale tesi – atto interno organizzativo – la mancanza dell’autorizzazione, in via di principio, non determina nessuna lesione al contribuente.
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