La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 27837 depositata il 12 dicembre 2013 intervenendo in tema di ammissibilità del ricorso tributario ha statuito che il ricorso depositato alla Commissione Tributaria è ammissibile anche quando il contribuente non ha allegato copia dell’atto impositivo che può essere acquisito d’ufficio dal giudice.
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui veniva notificato un avviso di liquidazione dell’Invim emesso dall’Amministrazione finanziaria seguito della rettifica del valore di un terreno da essa alienato. Il contribuente impugnava il predetto atto impositivo con ricorso depositato alla Commissione Tributaria Provinciale che dichiarava inammissibile il ricorso per mancata allegazione della copia dell’atto impugnato. Avverso la decisione del giudice di prime cure il contribuente ricorreva alla Commissione Tributaria Regionale che confermava la sentenza di primo grado.
Il contribuente per la cassazione della sentenza del giudice di merito proponeva ricorso, affidandosi a sette motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini ribaltano, rinviando ad altra sezione della CTR, la decisione di merito accogliendo le doglianze del ricorrente, in particolare, il motivo secondo cui la CTR avrebbe dovuto riformare la decisione della CTP per non aver utilizzato i poteri d’ufficio tesi a imporre alle parti il deposito della copia dell’atto impugnato, essenziale ai fini della decisione.
Per i giudici del Palazzaccio in materia di contenzioso tributario “la sanzione processuale della inammissibilità del ricorso è disposta soltanto nel caso di mancato deposito degli atti e documenti espressamente previsti (per il nuovo contenzioso, dal 1° comma dell’articolo 22 del d.lgs. n. 546/1992, non anche degli atti previsti dal 4° comma dello stesso articolo). Sicché – è stato affermato – l’originale o la fotocopia dell’atto impugnatopuò essere prodotto anche in un momento successivo o su impulso del giudice tributario, che si avvalga, per le cause soggette al d.lgs. n. 546 del 1992, dei poteri previsti dal 5° comma del citato articolo 22 (Cass. n. 18872-07; n. 4431-10)”.
La Corte di Cassazione ha puntualizzato che il sopra richiamato principio vale anche in rapporto al testo dell’articolo 15 dell’anteriore D.P.R. n. 636 del 1972 (vigente all’epoca dei fatti di causa) e tale conclusione, seppure osteggiata da una parte minoritaria della dottrina, è sorretta dall’interpretazione sistematica e letterale del D.P.R. 636 citato, anche tenuto conto della scelta ribadita nell’articolo 22 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
Per gli Ermellini la sanzione processuale dell’inammissibilità del ricorso è pur sempre da relegare nell’alveo delle misure eccezionali sicché, con riguardo alle controversie come quelle di specie soggette al regime processuale previgente, essa poteva essere disposta solo per mancanza o assoluta incertezza di uno degli elementi indicati nel primo comma dell’articolo 15 del D.P.R. n. 636/1972. Anche rispetto al regime processuale previgente, allora, era da considerare corretta la conclusione che il mancato deposito dell’atto impugnato, ove di questo fossero stati puntualmente indicati gli estremi identificativi, poteva essere supplito dalla produzione anche in un momento successivo, ed eventualmente su impulso del giudice tributario.
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