La Corte di Cassazione, sezione tributaria con l’ordinanza n. 9712 depositata il 14 aprile 2025, intervenendo in tema di condanna alle spese ed in particolare a quelle per lite temeraria, ha ribadito il principio secondo cui “La condanna risarcitoria di cui ai primi due commi dell’art. 96 cod. proc. civ. ha tra i suoi elementi costitutivi il danno, patito dalla controparte del litigator improbus, eziologicamente derivante dal contegno illecito di quest’ultimo.
Detto danno costituisce pregiudizio ulteriore rispetto alle spese di lite, oggetto invece della condanna al rimborso, ai sensi dell’art. 91 cod. proc. civ.. (Cass. 30/05/2023, n. 15175).“
Per i giudici di legittimità la condanna ai sensi dei comma 1 e 2 dell’articolo 96 c.p.c. “ si differenzia dalla condanna equitativamente determinata, di cui al successivo terzo comma, cod. proc. civ., che è volta a salvaguardare, oltre all’interesse della parte vittoriosa, la finalità pubblicistica della sollecita ed efficace definizione dei giudizi, presuppone la pretestuosità, l’inconsistenza giuridica, la palese e strumentale infondatezza e, in genere, il carattere abusivo dell’iniziativa giudiziaria, ma non richiede né la domanda di parte né la prova del danno (Cass., Sez. Un., 13/09/2018, n. 22405).”
Gli Ermellini hanno riaffermato che la giurisprudenza della Suprema Corte, con riferimento alle fattispecie di cui all’art. 96, primo e secondo comma, cod. proc. civ., ha chiarito che “non assume rilievo la circostanza che il danno da lite temeraria deve poter essere liquidato in via equitativa; la possibilità di liquidazione equitativa, infatti, presuppone soltanto l’impossibilità o la particolare difficoltà di provarne il suo preciso ammontare ex art. 1226 cod. civ.), ma non consente di derogare né all’accertamento della sua effettiva esistenza (in funzione dell’integrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità processuale aggravata), né alla regola generale per cui tale esistenza, proprio in quanto fatto costitutivo dell’azionato diritto di credito risarcitorio, deve essere allegata e provata dal danneggiato; pertanto, la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 cod. proc. civ. non può trovare accoglimento tutte le volte in cui la parte istante non abbia assolto all’onere di allegare (almeno) gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato (Cass. Sez. U., 20/04/2004, n. 7583; Cass., Sez. U., 19/01/2007, n. 1140; Cass. n. 15175 del 2023, cit. Cass. 27/10/2015, n. 21798).”
Inoltre è stato ribadito, nella sentenza in commento, che “ l’agire in giudizio per far valere una pretesa che si riveli infondata non è condotta in sé rimproverabile (Cass. 31/10/201, n. 22120, Cass. 30/1272014, n. 27534, Cass. 30/11/2012 n. 21570).”
Per il Supremo consesso, infatti, “Ciò che viene indirettamente sanzionato con la tutela risarcitoria prevista dall’art. 96, primo e secondo comma, cod. proc. civ. non è l’agire in giudizio in sé, ma l’agire in giudizio che abbia provocato a terzi un danno ingiusto.
Il legislatore, in particolare ha considerato, nell’ipotesi disciplinata dal secondo comma, che il pregiudizio può più facilmente verificarsi ove la proposizione della domanda sia associata all’utilizzo imprudente di mezzi di tutela giudiziaria in sé leciti ma particolarmente suscettibili, per la loro particolare idoneità ad incidere direttamente, e negativamente, sulla sfera giuridica dei terzi, a pregiudicare gli interessi altrui.
Essa è connessa alle ipotesi in cui, oltre alla proposizione della domanda giudiziale, vi sia stata la esecuzione di un provvedimento cautelare, la trascrizione di una domanda giudiziale, l’iscrizione di ipoteca giudiziale oppure l’inizio dell’esecuzione forzata, e sanziona i casi in cui la facoltà di agire in giudizio sia stata utilizzata, facendo ricorso a questi strumenti, senza la normale prudenza.
Nella previsione disciplinata dall’art. 96, secondo comma, cod. proc. civ. l’ipotesi risarcitoria è connessa al verificarsi di un danno per la parte in presenza di due presupposti: la proposizione di una domanda giudiziale della quale sia stata accertata l’infondatezza, e l’utilizzo – scevro della normale prudenza – di uno degli strumenti processuali indicati, di per sé volti a tutelare, incrementare o ripristinare la garanzia patrimoniale dell’attore (Cass. 09/11/2017, n. 26515).”
Viene ribadito, dai giudici della Corte Suprema, che “l’illecito sanzionato dall’art. 96, secondo comma, cod. proc. civ. è un illecito processuale, sicché è preclusa la possibilità di svincolare la domanda di risarcimento dall’obbligo di proporla nel giudizio presupposto.
La responsabilità dei danni da processo, pertanto, va fatta valere, tranne il caso di impossibilità non ascrivibile al preteso danneggiato, esclusivamente nel processo stesso, relativo alla pretesa sostanziale alla cui tutela esso è rivolto (Cass. Sez. U., 21/09/2021, n. 25478).”