Nel processo tributario il giudicato non esaurisce i propri effetti nel limitato perimetro del giudizio ma ha una potenziale capacità espansiva in altri giudizi tra le stesse parti, secondo le stesse regole che disciplinano, nel processo civile, il giudicato esterno (Cass. SS. UU. sentenza n. 13916/2006). Affinché si realizzi il contrasto tra due sentenze, avente autorità di cosa giudicata, è necessario che nei due giudizi vi siano gli soggetti ed identità dell’oggetto. Deve sussistere alternativamente, quindi,:
- che l’oggetto del secondo giudizio sia il medesimo rapporto tributario definito irrevocabilmente nel primo;
- che nel primo giudizio sia stato definitivamente compiuto un accertamento incompatibile con quello operante nel giudizio successivo.
Il criterio dell’autonomia dei periodi di imposta non impedisce che il giudicato relativo ad uno di essi faccia stato anche per altri quando incide su elementi che siano rilevanti per più periodi di imposta e riguardi elementi costitutivi di fattispecie a carattere duraturo, ovvero fatti o qualificazioni giuridiche di fatti rimasti immutati nei diversi periodi di imposta (Cass. nn. 25681/2006, 16260/2007, 16258/2007, 14012/2007)
L’istituto della «cosa giudicata» trova applicazione nel processo tributario in forza del rinvio operato dall’art. 1, comma 2, e dell’art. 49 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. In particolare l’art. 49 rinvia alle norme del codice di procedura civile dedicate alle impugnazioni, ovvero gli artt. 323-338 c.p.c.
Il giudicato, infatti, è un “fenomeno” per cui una sentenza diviene irrevocabile, in quanto passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né al regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per Cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395.
Non di rado è possibile che due o più sentenze, entrambe passate in giudicato riguardante la medesima fattispecie, siano tra loro contrastanti.
Il giudicato esterno può e deve essere rilevato d’ufficio, finendo per determinare l’esito del processo in corso. In quanto alla luce del principio medievale “iura novit curia” il Giudice, la cui conoscenza delle norme di Legge è presupposta, è tenuto all’applicazione di esse, anche se non siano indicate dalla parte interessata. Trattandosi di elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto (Cass., Sez. V, 5 aprile 2023, n. 9368; Cass., Sez. V, 28 febbraio 2023, n. 6040; Cass., Sez. V, 13 luglio 2022, n. 22173; Cass., Sez. Lav., 21 aprile 2022, n. 12754; Cass., Sez. VI, 7 gennaio 2021, n. 48). Questo giudicato, ove formatosi a seguito di sentenza della Corte di cassazione, è rilevabile d’ufficio anche nell’ipotesi in cui essa non sia versata in atti con certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., non essendo il giudicato esterno nel patrimonio esclusivo delle Parti, ma corrispondendo a un preciso interesse pubblico, volto a evitare la formazione di giudicati contrastanti (Cass., Sez. VI, 11 giugno 2021, n. 16589).
Rimedio al contrasto tra giudicati
Il contrasto tra giudicati può trovare soluzione in base a due rimedi a seconda se l’esistenza del precedente giudicato sia stata eccepita nel secondo giudizio:
- ricorso per revocazione quando l’esistenza del giudicato esterno formatosi nel corso del giudizio di secondo grado non abbia costituito oggetto di eccezione ritualmente sollevata. Si ricorda che l’istituto della revocazione ex art. 395 n. 5 c.p.c. è espressamente richiamato dall’articolo 64 del dlgs n.546/1992
- ricorso per cassazione quando l’esistenza del giudicato esterno formatosi nel corso del giudizio di secondo grado abbia costituito oggetto di eccezione ritualmente sollevata dalla parte interessata
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 23107 depositata il 26 agosto 2024 ha ribadito il principio di diritto secondo cui “In tema di giudicato esterno formatosi nel corso del giudizio di secondo grado, qualora la sua esistenza non sia stata eccepita dalla parte interessata, la sentenza d’appello pronunciata in difformità è impugnabile con il ricorso per revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c. e non con quello per cassazione, mentre, nelle ipotesi in cui l’esistenza di tale giudicato abbia costituito oggetto di eccezione ritualmente sollevata in giudizio, la sentenza d’appello difforme non è impugnabile con il ricorso per revocazione ma solo con il ricorso per cassazione.” Cass. 04/10/2022, n. 28703)
La Suprema Corte ha costantemente affermato che “In tema di revocazione, il contrasto di giudicati previsto dall’art. 395, n. 5), c.p.c., sussiste qualora tra le due controversie vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende processuali sussista un’ontologica e strutturale concordanza degli estremi identificativi dei due giudizi, nel senso che la precedente sentenza deve avere ad oggetto il medesimo fatto o un fatto ad essa antitetico, non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico, sempre che la relativa eccezione di giudicato non sia stata proposta innanzi al giudice del secondo giudizio, giacché, in caso contrario, non si verte in tema di contrasto di giudicati, ma ricorre un vizio di motivazione denunciabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.” (Cass. 03/12/2022, n. 38230).” (Cass., sez. V, ordinanza n. 23107/2024)
Sul punto le sezioni unite con la sentenza n .13417 del 9 maggio 2023 hanno precisato che ” l’errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’art. 395, comma 4, cod. proc. civ., consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sicché i vizi relativi all’interpretazione della domanda giudiziale non rientrano nella nozione di “errore di fatto” denunciabile mediante impugnazione per revocazione (fra le tante da ultimo Cass. 6505 del 2018; Cass., sez. V, ordinanza n. 23107/2024).
I giudici di piazza Cavour, nell’ordinanza n. 23107 del 2024, hanno ulteriormente puntualizzato che “… in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio di cui all’art. 391 bis c.p.c. presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass. n. 10040 del 2022).
(…) Infine, per giurisprudenza costante, l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione della sentenza di cassazione, ex artt. 391-bis e 395, 4 cod. proc. civ., deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, che la Suprema Corte può esaminare direttamente, con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere carattere autonomo, nel senso di incidere esclusivamente sulla sentenza di legittimità; diversamente, ove l’errore sia stato causa determinante della sentenza di merito, in relazione ad atti o documenti che sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati in quella sede, il vizio della sentenza deve essere fatto valere con gli ordinari mezzi di impugnazione (ex plurimis Cass. 22/10/2018, n. 26643), …”
Inoltre gli Ermellini, sez. V, con l’ordinanza n. 28831 del 4 ottobre 2022 hanno riaffermato, il costante orientamento secondo cui “Ove sulla medesima questione si siano formati due giudicati contrastanti, al fine di stabilire quale dei due debba prevalere occorre fare riferimento al criterio temporale, nel senso che il secondo giudicato prevale in ogni caso sul primo.” (Cass. 31/05/2018, n. 13804)
Infine sulla base del principio di ne bis in idem, sia del principio di certezza del diritto e della immodificabilità di una sentenza definitiva la seconda sentenza passata in giudicato dovrebbe essere ritenuta inutiliter data e quindi non sostituire un giudicato precedente in dipendenza della sua più o meno legittima impugnazione.