Tra gli atti impugnabili innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria non rientra il provvedimento con cui l’ente impositore provvede a ridurre parzialmente la pretesa tributaria. Infatti all’Ente impositore è riconosciuta il potere di rinunciare, anche durante il contenzioso avanti al giudice tributario, ad una parte della pretesa tributaria. Tale rinuncia non comporta la cessazione della materia del contendere perché permane l’interesse dell’Ente impositore a vedere riconosciuto il proprio credito. Aspetto importante è che la rinuncia parziale di un avviso di accertamento non costituendo una nuova pretesa tributaria non può essere considerato un nuovo atto impositivo, ma costituisce una revoca parziale di quello precedente.
Sul punto la circolare n. 1/E del 2023 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il provvedimento di autotutela parziale non è un nuovo accertamento e non può formare oggetto di ricorso ed il contribuente deve proporre ricorso entro il termine 60 giorni dalla data di notifica dell’accertamento originario. Inoltre nella suddetta circolare è evidenziato che il provvedimento di autotutela in diminuzione non è un nuovo atto sostitutivo del precedente essendo la rettifica dell’originaria pretesa impositiva.
L’Amministrazione finanziaria può sempre esercitare, anche senza richiesta del contribuente, il potere di autotutela, salvo in presenza di una sentenza non più impugnabile con i mezzi ordinari.
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 10947 depositata il 23 aprile 2024, intervenendo in tema di atto emesso in autotutela , ha ribadito il principio di diritto secondo cui “… in tema di contenzioso tributario, l’annullamento parziale adottato dall’Amministrazione in via di autotutela o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del lgs. n. 546 del 1992 e non è quindi impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un’autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 7511 del 15/04/2016; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 29595 del 16/11/2018). …”
Infatti, per gli Ermellini “… l’atto oggetto di impugnazione non costituisce nuovo esercizio del potere impositivo, ma bensì un semplice atto di autotutela con il quale, accertata l’erroneità dell’avviso di accertamento originario in ordine all’individuazione del presupposto oggettivo (sostanzialmente, gli immobili imponibili risultavano in numero minore), è stata semplicemente rinunciata una parte dell’originaria pretesa già contenuta nell’avviso di accertamento originario, a sua volta oggetto di separata impugnativa.
Orbene, in tema di accertamento delle imposte, la modificazione, in diminuzione, dell’originario avviso non esprime una nuova pretesa tributaria, ma una riduzione di quella originaria, sicché non costituisce atto nuovo, ma revoca parziale di quello precedente. Pertanto, in sede processuale, tale evenienza non può comportare la cessazione della materia del contendere, in quanto permane l’interesse della pubblica amministrazione a veder riconosciuto il proprio credito tributario e quello del contribuente a negare la pretesa, con la conseguenza che l’autorità giudiziaria è tenuta a pronunciarsi sulla fondatezza della residua pretesa erariale (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18625 del 07/09/2020).
In tema di processo tributario, l’inammissibilità del ricorso introduttivo è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio; la relativa eccezione non può essere sollevata per la prima volta in Cassazione solo allorché il suo esame implichi un accertamento in fatto, come tale rimesso al giudice di merito (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 7410 del 31/03/2011; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 17363 del 19/08/2020). …”
Liquidazioni delle spese a seguito di autotutela
Solo nei casi di annullamento totale dell’atto impositivo il giudice tributario valuta se vi sono i presupposti per condannare l’Amministrazione al pagamento delle spese processuali. Alla luce del principio di soccombenza la parte vittoriosa ha il diritto a recuperare le spese sostenute, diversamente si lede il diritto di agire in giudizio.
Il Supremo consesso, con l’ordinanza n. 18459 del 2023, ha statuito che l’annullamento di un atto impositivo non comporta automaticamente la condanna al pagamento delle spese processuali, per soccombenza virtuale. I giudici di merito hanno ritenuto che l’amministrazione finanziaria deve essere condannata a pagare le spese processuali, in caso di annullamento dell’atto impositivo in corso di causa, solo se abbia posto in essere un “comportamento riprovevole” nei rapporti con il contribuente.