Il codice del processo tributario (D.Lgs. n. 546/1992), come modificato prima dalla  legge 31 agosto 2022, n. 130 e poi dal d.lgs. n. 220/2023, prevede all’articolo 51 del d.lgs. n. 546/1992 statuisce al 1° comma che “Se la legge non dispone diversamente il termine per impugnare la sentenza della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado è di sessanta giorni, decorrente dalla sua notificazione ad istanza di parte, salvo quanto disposto dall’art. 38, comma 3.”

Il contenuto del comma 3 dell’articolo 38 cit. statuisce che  Se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, si applica l’art. 327, comma 1, del codice di procedura civile. Tale disposizione non si applica se la parte non costituita dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza.

Per cui il termine di impugnazione delle sentenze della Corte di Giustizia Tributaria decorrono dalla pubblicazione della sentenza, e non dalla lettura del dispositivo. Infatti il comma 1 dell’articolo 327 c.p.c. dispone che ” Indipendentemente dalla notificazione, l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell’articolo 395 non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza.”

In ordine alla pubblicazione della sentenza l’articolo 37 del codice di procedura tributaria (d.lgs. n. 546/1992) statuisce che 1. La sentenza è resa pubblica, nel testo integrale originale, mediante deposito telematico nella segreteria della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado entro trenta giorni dalla data della deliberazione. 

Il segretario fa risultare l’avvenuto deposito della sentenza apponendovi la propria firma digitale e la data, dandone comunicazione alle parti costituite entro tre giorni dal deposito.
 
Alla luce della sopraindicata normativa i termini di impugnazione decorrono dal deposito della sentenza e non dalla lettura o deposito del dispositivo; in quanto non sorge in conseguenza della semplice lettura del dispositivo in udienza, poiché postula che la sentenza stessa sia completa nei suoi elementi strutturali, tra cui è essenziale la motivazione e solo in tale momento che la sentenza “esiste” a tutti gli effetti.
 
Lo stesso MEF durante “Telefisco 2024” ha confermato, che la decorrenza dei termini di impugnazione decorrono dal deposito della sentenza e non dalla lettura o deposito del dispositivo, rispondendo al seguente quesito:

Il nuovo articolo 35 del Dlgs 546/92 prevede l’obbligo del collegio di dare lettura immediata del dispositivo ovvero, in caso di riserva, di comunicarlo nel termine perentorio di 7 giorni. Il termine per il deposito della sentenza/motivazioni può ritenersi di 30 giorni, come disciplinato dalle regole generali? In tale contesto è corretto ritenere che ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della successiva impugnazione la data di lettura del dispositivo sia ininfluente?

Il termine per il deposito della sentenza è disciplinato dall’articolo 37 del Dlgs 546/1992, in cui si stabilisce che la sentenza è pubblicata «mediante deposito telematico nella segreteria della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado entro trenta giorni dalla data della deliberazione».

La disciplina dell’impugnazione della sentenza, invece, è contenuta nell’articolo 51 del Dlgs 546/1992 in cui si dispone che i termini decorrono dalla «notificazione ad istanza di parte» ovvero dalla pubblicazione della sentenza (cfr. art. 38, comma 3, del Dlgs 546/1992 e art. 327 del c.p.c.). Alla luce del quadro normativo sopradescritto, ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, la data di lettura del dispositivo è ininfluente.

Orientamento della giurisdizione della Suprema Corte – Decorrenza dei termini di impugnazione dal deposito della sentenza e non del dispositivo

Il principio secondo cui i termini di impugnazione decorrono dal deposito della sentenza e non dal deposito o lettura del dispositivo è stato affermato costantemente dal Supremo consesso. 

Conferma indiretta viene dal costante orientamento della Suprema Corte con cui si ribadisce che “Per costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il potere di proporre impugnazione avverso la sentenza del giudice del lavoro non sorge in conseguenza della semplice lettura del dispositivo in udienza (salva l’eccezionale ipotesi prevista dall’art. 433, comma 2°, c.p.c., dell’appello con riserva dei motivi, che costituisce nondimeno facoltà e non obbligo per la parte soccombente), ma postula che la sentenza stessa sia stata depositata in cancelleria completa di motivazione, a norma degli artt. 430 e 438 c.p.c. (cfr. Cass. nn. 18162 del 2015, 7364 del 2022 e, da ult., 19775 del 2022), a meno che il giudizio non sia stato definito dando lettura del “dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, ex art. 429, comma 1°, c.p.c., nel qual caso il termine c.d. lungo di decadenza per la proposizione della impugnazione, previsto dall’art. 327 c.p.c., deve essere individuato alla stessa data della udienza in cui è stato definito il giudizio, equivalendo tale lettura in udienza a pubblicazione della sentenza stessa (Cass. nn. 14724 del 2018 e 3394 del 2021). E poiché, nel caso di specie, è incontroverso che tanto non sia avvenuto, la stessa parte ricorrente riferendo che, a fronte del dispositivo letto all’udienza del 12.12.2017, la motivazione è stata depositata il 22.12.2017 (cfr. pag. 5 del ricorso per cassazione), il termine semestrale per l’impugnazione non poteva che decorrere da tale ultima data, con la conseguenza che affatto tempestivo doveva (e deve) ritenersi il gravame proposto dall’INPS in data 20.6.2018.” (Cass. sez. lavoro, sentenza n. 25306 del 2023; Cass., sez. III, ordinanza n. 13599 del 2024)

Il principio di cui sopra è stata confermata anche dalla Corte di Cassazione, sez. III, con l’ordinanza n. 13599 del 2024 in cui viene ribadito che nel rito del lavoro, il principio generale dell’impugnabilità della sentenza solo dopo che, con il deposito in cancelleria del testo della stessa, completo di dispositivo e motivazione, sia venuto a compimento il relativo procedimento di formazione, soffre la sola deroga eccezionalmente prevista dall’art. 433 c.p.c. (appello con riserva di motivi), per il caso in cui sia stata intrapresa l’esecuzione forzata sulla base del dispositivo letto in udienza; è, pertanto, inammissibile il ricorso per cassazione notificato dopo tale lettura e prima del compimento del deposito suddetto, ferma restando la possibilità di tempestiva proposizione di un nuovo ricorso successivamente al deposito stesso, non ostandovi il disposto dell’art. 358 c.p.c., a norma del quale soltanto l’intervenuta dichiarazione giudiziale di inammissibilità o improcedibilità del gravame – e non anche la semplice pendenza di una impugnazione in sé inammissibile o improcedibile – vale a precludere la sua valida rinnovazione, sempre che il termine utile non sia ancora decorso” (così Cass., sez. lav. ord. 20/06/2022, n. 19775; conformi Cass., sez. lav., sent. 16/09/2015, n. 18162: “Il potere di proporre impugnazione avverso la sentenza del giudice del lavoro non sorge in conseguenza della semplice lettura del dispositivo in udienza (salva l’eccezionale ipotesi prevista dall’art. 433, comma 2, c.p.c.), ma postula che la sentenza stessa sia completa nei suoi elementi strutturali, tra cui è essenziale la motivazione, e che sia stata depositata in cancelleria a norma degli artt. 430 e 438 c.p.c. Ne consegue che la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, erroneamente proposto contro il solo dispositivo della sentenza di appello letto in udienza, non comporta l’irreparabile consunzione del diritto d’impugnare la sentenza dopo il deposito della stessa, sempreché non siano decorsi i termini previsti dagli artt. 325 e 327 c.p.c.“; Cass. Sez. 3 ord. 10/11/2006, n. 24100: “Il potere di proporre impugnazione avverso la sentenza del giudice del lavoro non sorge in conseguenza della semplice lettura del dispositivo in udienza (salva l’eccezionale ipotesi prevista dall’art. 433, secondo comma, cod. proc. civ.), ma postula che la sentenza stessa sia completa nei suoi elementi strutturali (fra cui essenziale è la motivazione) e che sia stata depositata in cancelleria a norma degli artt. 430 e 438 cod. proc. civ. Ne consegue che la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, erroneamente proposto (prima che la sentenza acquisti con il deposito giuridica esistenza) contro il dispositivo della sentenza di appello letto in udienza non comporta l’irreparabile consunzione del diritto d’impugnare la sentenza dopo il deposito della stessa, sempreché non siano decorsi i termini previsti dagli artt. 325 e 327 cod. proc. civ. (principio nella specie applicato dalla S.C. al rito locativo)”. Si deve ancora rilevare che Cass., Sez. Un., sent. n. 16399 del 2007 ebbe ad affermare principi analoghi a proposito del giudizio di opposizione a sanzioni amministrative. I ricordarti principi debbono estendersi, stante la ricorrenza dell’eadem ratio, alla fattispecie di cui è processo: l’impugnazione è stata proposta contro un atto che non aveva assunto il valore e l’efficacia di sentenza impugnabile.”

Processo tributario e termini di impugnazione

Sul tema i giudici di merito della Corte di Giustizia Tributaria hanno precisato che L’articolo 38, terzo comma, del d.lgs n. 546/92 prescrive che se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza si applica l’articolo 337, primo comma, c.p.c. cd. termine lungo, di sei mesi dalla pubblicazione/deposito della sentenza stessa. Tale disposizione non si applica se la parte non costituita dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza. Nel caso di specie però l’odierno appellante (Agenzia delle Entrate) era parte resistente regolarmente costituita nel giudizio di primo grado, del quale perciò aveva oggettiva conoscenza, sicché non può invocare la non applicazione del primo comma dell’articolo 327 cpc.

L’art. 327 c.p.c., in tema di decadenza dall’impugnazione, deve leggersi in combinato disposto con l’art. 133 c.p.c., ai sensi del quale: “La sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata.” L’orientamento della giurisprudenza di legittimità identifica il “deposito” come il momento di perfezionamento, efficacia, esistenza, irretrattabilità della sentenza e quindi il momento in cui cominciano a decorrere i termini per la proposizione di eventuali impugnazioni.

Di conseguenza, nei casi in cui l’iter procedimentale venga portato a termine senza interruzioni, si realizza nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo e conseguente possibilità per gli interessati di venirne a conoscenza e richiederne copia autentica: da tale momento la sentenza “esiste” a tutti gli effetti e comincia a decorrere il cosiddetto termine lungo (6 mesi) per la sua impugnazione. Il giudice di legittimità, con costante giurisprudenza, ha statuito che la scadenza del termine cosiddetto lungo si ha con il mero decorso de tempo dalla data di pubblicazione della sentenza (oltre ovviamente i giorni di sospensione feriale dei termini), non essendo previsto l’adempimento da parte della segreteria della comunicazione del deposito della sentenza, come un momento costitutivo o condizionante l’efficacia del procedimento di pubblicazione, sicché esso non può neppure condizionare il valido decorso del termine, decorrente dalla pubblicazione medesima. In buona sostanza, per la Suprema Corte (Cassazione, sez. V, 20/07/2001, n. 9897), in virtù dell’efficacia del dettato dell’articolo 327 c.p.c. sull’intero ordinamento processuale, anche le sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali non possono essere impugnate ove sia decorso il termine dalla loro pubblicazione (che si perfeziona con il deposito della sentenza senza che occorra la comunicazione dell’avviso di deposito), salvo che la parte rimasta contumace dimostri di non avere alcuna conoscenza del processo (Cassazione, sez. V, sentenza n. 6466 del 6/5/2002). Al fine dell’accertamento positivo di tale conoscenza, è sufficiente che sia nota la proposizione del ricorso, si pensi alla notifica dell’atto d’appello; la parte a cui sia stato notificato l’atto introduttivo del processo ha l’onere di seguirne lo svolgimento successivo, anche ai fini della decorrenza del termine lungo d’impugnazione decorrente dal deposito della sentenza (Cassazione, ordinanza n. 405 del 23/03/2001). La comunicazione del dispositivo è un atto esterno rispetto alla sentenza e non influisce sulla sua esistenza, mentre la pubblicazione è un atto senza il quale la sentenza non viene a esistenza; ne deriva che, mentre la mancata pubblicazione è un fattore d’inesistenza della sentenza, la mancata comunicazione, assurge a situazione patologica del processo, che non impedisce il raggiungimento del risultato del giudicato, al quale il processo è preordinato, e non assurge a condizione necessaria per far scattare il requisito di non conoscenza di cui all’articolo 38, terzo comma, del D.lgs 546/92. “

Sul punto la Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 25727 depositata il 14 ottobre 2019 (vedi anche ordinanza n. 35588 del 2021) “… il termine previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1 decorre dalla pubblicazione della sentenza e, quindi, dal suo deposito in cancelleria e non già dalla comunicazione che di tale deposito dà il cancelliere alle parti D.P.R. n. 546 del 1992, ex art. 37, comma 2 trattandosi di attività informativa che resta estranea al procedimento di pubblicazione, della quale non è elemento costitutivo, né requisito di efficacia” (v. Cass.7675/2015; Cass. 8508/2013; Cass. 639/2003). E’ per questa ragione che è stato ritenuto privo di rilievo, nella fattispecie, l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. art. 153, comma 2, c.p.c., a seguito della 1.69/2009, pur essendone stata riconosciuta l’applicabilità al rito tributario (da ultimo, Cass.12544/2015; Cass.8715/2014; Cass. 3277/2012). Invero, è stato chiaramente precisato da questa Corte (Cass. 8151/2015) che “l’errore sulla norma processuale che disciplina le forme di notifica della sentenza tributaria di appello, rimane escluso dall’ambito di applicazione dell’istituto della rimessione in termine già previsto dall’art. 184 bis cod. proc. civ., abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, e sostituito dalla generale previsione di cui all’art. 153, comma 2, in quanto viene a risolversi in un errore di diritto inescusabile (cfr. Cass. n. 17704 del 29/07/2010), non integrante un fatto impeditivo della tempestiva proposizione della impugnazione, estraneo alla volontà della parte e della prova del quale quest’ultima è onerata (cfr. Cass. n. 23323 del 2013, che subordina l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine “lungo” dalla pubblicazione della sentenza, previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n, 546, art. 38, comma 3, alla dimostrazione dell’ “ignoranza del processo”, dovendo la parte fornire prova di “non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza“), postulando la causa non imputabile che legittima la rimessione in termine il verificarsi di un evento che presenti il carattere della assolutezza – e non già una impossibilità relativa, né tantomeno di una mera difficoltà – e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza (cfr. Cass. 8216 del 2013)”» (così in Cass. n. 9330 del 2017, cit.); 
 
Principio ribadito anche dalla sezione tributaria della Suprema Corte con l’ordinanza n. 20144 del 2017 con cui viene ribadito che il termine previsto dall‘art. 327 c.p.c., comma 1 decorre dalla pubblicazione della sentenza e, quindi, dal suo deposito in cancelleria e non già dalla comunicazione che di tale deposito il cancelliere alle parti D.P.R. n. 546 del 1992, ex art. 37, comma 2 trattandosi di attività informativa che resta estranea al procedimento di   pubblicazione, della quale  non è elemento costitutivo, ne’ requisito di efficacia (v. Cas.,.7675/2015; Cass 8508/2013; Cass. 639/2003).

In generale, si deve ritenere che, ove il difensore non abbia ricevuto comunicazioni di cancelleria in una fase processuale in cui ne era destinatario, rientri tra i suoi doveri professionali attivarsi per verificare se, a causa dì un mancato adempimento della cancelleria medesima, siano state svolte attività processuali a sua  insaputa (Cass. 16194/2015).

Nel processo tributario, la nullità derivante dalla omessa od irregolare comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza può essere fatta valere solo impugnando tempestivamente la sentenza conclusiva del giudizio, ovvero proponendo l’impugnazione tardiva nei limiti ed alle condizioni di cui all’art. 327 cod. proc. civ. (Cass.6692/2015).

E’ per  questa ragione che è stato ritenuto privo di rilievo, nelle fattispecie, l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. art. 153, comma 2, c.p.c., a seguito della l. 69/2009. pur essendone stata riconosciuta l’applicabilità al rito tributario (da    ultimo Cass.12544/2015; Cass.8715/2014; Cass. 3277;2012).

Invero,  è  stato  chiaramente  precisato  da  questa  Corte  (Cass 8151/2015) che “l’errore sulla norma processuale che disciplina le forme di notifica della sentenza tributaria di appello, rimane escluso dall’ambito di applicazione dell’istituto della rimessione in termine …, in quanto viene a risolversi in un errore di diritto inescusabile, non integrante un fatto impeditivo della tempestiva proposizione della impugnazione, estraneo alla volontà della parte, e della prova del quale quest’ultima è onerata… postulando la causa non imputabile che legittima la rimessione in termine il verificarsi di un evento che presenti il carattere della assolutezza – e non già una impossibilità relativa, né tantomeno di una mera difficoltà – e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza”.

Impugnazione tardiva

in ordine al profilo della piena conformità ai principi costituzionali e all’ordinamento comunitario dell’interpretazione, seguita anche da questo Collegio, sui limiti rigorosi di ammissibilità dell’impugnazione tardiva, in quanto “diretta a realizzare un equilibrato bilanciamento tra le esigenze del diritto di difesa, e il principio di certezza delle situazioni giuridiche”. In simili ipotesi sono stati esclusi, in concreto, sia un contrasto con la Costituzione o la CEDU, «per inesistenza di qualsiasi minus ai diritti di difesa e di uguaglianza sanciti dagli artt. 3, 24 e 113 Cost., stante la conoscenza del processo e, quindi, la possibilità per la parte di attivarsi a tutela dei propri diritti», sia l’esistenza «di una incompatibilità puntuale con la normativa sovranazionale, CEDU o unionale» (Cass. n. 4457/2017; Cass. n. 13727/16; Cass. n. 919 del 2015; Cass. n. 19049 dei 2014;Cass. n. 23323 del 2013; Cass. n. 11114 del 2008, restando invece isolato il difforme precedente di Cass. n. 6048 del 2013); (Cass. 23323/2013; Cass.,sez. V, ordinanza n. 28045 de 2020)
 

Normativa

Art. 35 – Deliberazioni del collegio giudicante 

1. Il collegio giudicante, subito dopo la discussione in pubblica udienza o, se questa non vi è stata, subito dopo l’esposizione del relatore, delibera la decisione in segreto nella camera di consiglio e, al termine, dà lettura immediata del dispositivo, salva la facoltà di riservarne il deposito in segreteria e la sua contestuale comunicazione ai difensori delle parti costituite entro il termine perentorio dei successivi sette giorni. 
2. Quando ne ricorrono i motivi la deliberazione in camera di consiglio può essere rinviata di non oltre trenta giorni.
3. Alle deliberazioni del collegio si applicano le disposizioni di cui agli articoli 276 e seguenti del codice di procedura civile. Non sono tuttavia ammesse sentenze non definitive o limitate solo ad alcune domande.

 

Il nuovo art. 36, comma 2, n. 4), D.Lgs. n. 546/1992 prevede che accanto alla succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto vi sia anche quella dei motivi di accoglimento o di rigetto del ricorso, in relazione ai motivi di merito e alle questioni attinenti ai vizi di annullabilità e di nullità dell’atto.