In sede di contenzioso trovano applicazione gli articoli 2727 e 2729 del codice civile. Inoltre la normativa tributaria ai fini della prova molto spesso prevede, quantomeno a favore dell’amministrazione. l’utilizzo di presunzioni semplici o addirittura presunzioni super semplici.
Si ricorda che le prove possono essere distinte in:
- prove dirette o attendibili, sono quelle in cui il giudice percepisce direttamente i fatti sui quali si basano le pretese delle parti e sono immediatamente utile per il giudizio;
- prove indirette o rappresentative, sono quelle in cui il giudice non ha una percezione diretta del fatto da provare ma soltanto una sua rappresentazione mediata, attraverso un documento (prova documentale), o la narrazione di un testimone (prova testimoniale, laddove ammessa), o delle stesse parti. In sostanza si giunge con un procedimento logico al fatto ignoto che deve essere provato. Il giudice deve quindi porsi il problema dell’attendibilità, dato che la testimonianza di una persona può anche essere non veritiera e la rappresentazione documentale può essere ideologicamente o materialmente falsa;
- prove legali sono quelle i cui effetti probatori siano previsti direttamente dalla legge
- prove liberamente valutabili, sono costituite queigli elementi probatori che debbano essere prudentemente apprezzati dal giudice;
- prova critica o indiziaria, è quella che consente di risalire da un fatto conosciuto di risalire ad un fatto da appurare mediante un ragionamento presuntivo.
Per le prove critiche o indiziare c.d. prova presuntiva, l’onere della prova può considerarsi soddisfatto quando “tra il fatto noto e il fatto ignoto non occorre che sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità” (cfr., Cass.9961/96; Cass. 2700/97; Cass. 5082/97).
Nel processo tributario la tipica prova è quella per presunzioni, essa è quindi una prova critica. Pertanto partendo da uno o più fatti noti o certi permette di desumere, in via di ragionevole consequenzialità, l’esistenza del fatto ignoto mediante un procedimento d’ordine logico.
In tema di fatto notorio è stato costantemente affermato dai giudici di piazza Cavour che “il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati nè controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscente della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile. Ne consegue che restano estranei a tale nozione le acquisizioni specifiche di natura tecnica, gli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari o richiedono il preventivo accertamento di particolari dati, nonchè quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poichè questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione d’analoghe controversie (così Cass. 14063/2014, 16959/2012, 13234/2010, 5232/2008).” (Cass., sez. V, sentenza n. 22950 del 2014)
La giurisprudenza della Suprema Corte ha precisato che « Il ricorso, da parte del giudice, alle nozioni di fatto di comune esperienza, le quali riguardano fatti acquisiti alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili ed incontestabili, e non anche elementi valutativi che implicano cognizioni particolari ovvero nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, attiene all’esercizio di un potere discrezionale; pertanto la violazione dell’art. 115, comma 2, c.p.c. può configurarsi solo quando il giudice ne abbia fatto positivamente uso e non anche ove non abbia ritenuto necessario avvalersene, venendo in tal caso la censura ad incidere su una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità.» (Cass. 20/03/2019, n. 7726; Cass., sez. V, ordinanza n. 176 del 2024).
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 19136 dell’ 11 luglio 2024 ha riaffermato il principio secondo cui ” (…) È stato, altresì, ripetutamente affermato che per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, essendo, invece, sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’«id quod plerumque accidit» (cfr. Cass. n. 21403/2021, Cass. n. 1163/2020, Cass. n. 14762/2019, Cass. n. 2632/2014). ”
Il principio è stato riaffermato anche dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 17265 del 24 giugno 2024 che ha statuito che ” (Cass. n. 1163/2020). In tema di prova per presunzioni, inoltre, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell'”id quod plerumque accidit”, i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito (Cass. n. 27266/2023). “
Anche nel processo tributario, per una corretta applicazione delle regole in tema di prova per presunzioni, per la formazione della prova critica occorre che i requisiti prevista dall’art. 2729 c.c.:
- “precisione” deve essere riferita all’indizio costituente il punto di partenza dell’inferenza e postula che esso sia ben determinato nella realtà storica;
- “gravità” è riferita al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto, che, sulla base della regola d’esperienza adottata, è possibile desumere da quello noto;
- “concordanza” necessita che il fatto ignoto sia, di regola, desunto da una pluralità di indizi gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza (cfr., Cass. n. 15454 e n. 2482 del 2019 – anche se, a ben vedere, a fondare l’accertamento è in teoria sufficiente anche soltanto un solo fatto, qualora presenti i requisiti della gravità e precisione, cfr., Cass., n. 2082 del 30/1/2014; Cass., n. 4472 del 26/3/2003).
In orine alla definizione di “fatto notorio” il Supremo consesso ha riaffermato (Cass., Sez. V, ordinanza n. 176 del 2024) il principio secondo cui «In tema di prova civile, in sede di legittimità è censurabile per violazione di legge l’assunzione da parte del giudice di merito di una inesatta nozione di fatto notorio – da intendere come fatto conosciuto da uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo – e non anche il concreto esercizio del suo potere discrezionale di ricorrere alla massima di esperienza, che può essere censurato solo per vizio di motivazione.» (Cass. 03/03/2017, n. 5438)“. Nello stesso senso vedasi anche Cass.. sez. VI, ordinanza n. 3550 del 2020 che ha statuito“…per fatto notorio si intende un fatto conosciuto da uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo (Cass., Sez. V, 3 marzo 2017, n. 5438)” (Cass.. sez. VI, ordinanza n. 3550 del 2020)
Diversamente la nozione di “comune esperienza (fatto notorio)” di cui all’articolo 115 c.p.c. “… deve essere riferito ad eventi di carattere generale ed obiettivo che, proprio perché tali (come, ad esempio, la svalutazione monetaria, oppure un evento bellico), non hanno bisogno di essere provati nella loro specificità; sicché, ai fini probatori previsti da detta norma, non è consentito generalizzare situazioni particolari e se, in taluni casi, la considerazione della notorietà può essere limitata ad una cerchia sociale o territoriale ristretta, quale un insieme di persone aventi tra loro una comunanza di interessi, così da far assurgere all’alveo del notorio anche nozioni sicuramente esorbitanti da quella cultura media che rappresenta il naturale parametro della nozione in oggetto, giammai tale comunità ristretta può essere individuata sulla base di un mero carattere territoriale (Cass., Sez. II, 6 marzo 2017, ord.5530). …” (Cass.. sez. VI, ordinanza n. 3550 del 2020)
Per esempio come rilevato dalla Corte di Giustizia di secondo grado della Calabria, sezione 3, con la sentenza n. 50 del 2020 la “… considerazione che i pagamenti in favore dei professionisti nelle aree depresse e povere del Paese, quali la Calabria e la Provincia di Crotone, siano inferiori, anche in percentuale significativa, alla tariffa professionale, può quindi ben dirsi fatto notorio, posto che tale fatto risalta dalle ricerche Istat, da studi sociologici, da una serie di elementi di comune accesso che non possono essere disconosciuti dall’Amministrazione finanziaria. In conclusione il relativo motivo di appello non può essere accolto, non segnalandosi una violazione dell’art. 115 c.p.c., almeno nel senso prospettato dall’appellante e non essendo la sentenza della C.T.P. di Crotone, unicamente fondata sul suddetto fatto notorio. …”
Per i giudici di legittimità “… il ricorso alle nozioni di “comune esperienza” (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo di cui all’art. 112 c.p.c. ed al principio di disponibilità delle prove di cui all’art. 115 c.p.c., in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso rigoroso, e quindi come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile.
Non si possono, dunque, reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione di analoghe controversie.
L’art. 115 comma 1 c.p.c. prevede, infatti, che “Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita. Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”.
Pertanto, il principio di disponibilità delle prove, che si collega al principio della domanda di cui all’art. 99 c.p.c. ed al principio dispositivo ex art. 112 c.p.c., trova una espressa deroga in caso di non contestazione dei fatti di causa ed in presenza di fatti che rientrano nella comune esperienza. “ (Cassazione, sez. V, ordinanza n. 4428 del 2020)
Ricorso in cassazione per violazione della presunzione
I giudici di legittimità hanno chiarito che la “…violazione dell’art 2697 cod. civ. che si ha, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020; Cass., sez. lavoro, ordinanza n. 17264 del 2024).
Sul punto la Corte di Cassazione, sez. V, sentenza n. 2160 depositata il 22 gennaio 2024 ha ribadito che ” con riferimento agli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in tema di presunzioni, che, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. 04/08/2017, n. 19485; Cass. 16/11/2018, 29635; Cass. 20/01/2020, n. 1163, di recente Cass. 18/11/2020, n. 25843, con principi ribaditi da questa sezione, Cass. 15/06/2021, n. 16785 e di recente Cass. 6.06.2023, n. 15781).
(…) Con riferimento ai caratteri della gravità, precisione e concordanza che devono connotare necessariamente le presunzioni, le suindicate pronunce hanno chiarito che «la gravità allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioè rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche “lex artis”)», esprimendo nient’altro che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui, dato un fatto A noto è probabile che si sia verificato il fatto B, non essendo condivisibile invece l’idea che vorrebbe sotteso alla gravità che l’inferenza presuntiva sia «certa» (così Cass. n. 19485 del 2017, cit.). Infatti, per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla scorta della regola dell’inferenza necessaria), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit (in senso analogo, più di recente, Cass. 06/02/2019, n. 3513 e, prima, Cass. 31/10/2011, n. 22656). “