Il comma 2-bis dell’articolo 15 del codice di procedura tributaria (D. lgs. n. 546 del 1992), come modificato dal D. Lgs. 24 settembre 2015 n. 156, statuisce che “Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 96, commi primo e terzo, del codice di procedura civile”. L’articolo 96 del codice di procedura civile ai comma primo e terzo prevede, in tema di responsabilità aggravata, che  “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza. (…) In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.

Sul tema la suprema corte ha costantemente affermato che “… ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. (quale introdotto dall’art. 45, comma 12, della legge 18 giugno 2009, l. 69), in ‘virtù del richiamo fattone dall’art. 380-bis, terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo novellato dall’art. 3, comma 28, n. 3, lett. g, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), la manifesta infondatezza del ricorso giustifica l’ulteriore condanna d’ufficio del soccombente al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata nell’importo corrispondente alla liquidazione delle spese giudiziali; difatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità processuale aggravata, l’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., nel disporre che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una «somma equitativamente determinata», non  fissa  alcun  limite quantitativo per la condanna alle spese della parte soccombente, sicché il giudice, nel rispetto del criterio equitativo e del principio di ragionevolezza, può quantificare detta somma sulla base dell’importo delle spese processuali (di una loro frazione o di un loro multiplo) o anche del valore della controversia (tra le tante: Cass., Sez. 3A, 4 luglio 2019, n. 17902; Cass., Sez. 3,  20 novembre 2020, n. 26435; Cass., Sez. 5″,  5 novembre 2021, n. 31870; Cass., Sez. 3,  26 gennaio 2022, n. 2347; Cass., Sez. 6-3, 15 febbraio 2023, n. 4725; Cass., Sez. 5, 12 aprile 2023, n. 9802; Cass., Sez. 5, 15 giugno 2023, n. 17100; Cass., Sez. SA, 19 giugno 2024, n. 16934) …” (Cass. sez. V, ordinanza n. 19677 del 2024)

Sul tema, prima dell’intervento del D.Lgs. n. 156 del 2015, “… la Corte di Cassazione con la pronuncia a Sezioni Unite n. 13899/2013 ha espressamente riconosciuto l’applicabilità dell’art. 96 c.p.c. al processo tributario, con conseguente possibilità di condanna della parte soccombente al risarcimento del danno patito dalla controparte per lite temeraria. Nella richiamata pronuncia i giudici di legittimità hanno, infatti, spiegato che l’art. 96 c.p.c. (a) è applicabile al processo tributario, in virtù del generale rinvio di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2; (b) regola tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali, ponendosi con carattere di specialità rispetto all’art. 2043 c.c., senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità (tra le altre, Cass. n. 28226 del 2008 e n. 5069 del 2010); (c) non detta tanto una regola sulla competenza, ma disciplina piuttosto un fenomeno endoprocessuale, prevedendo che la domanda è proponibile solo nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l’insorgenza della detta responsabilità, non solo perché nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume, per l’appunto, temeraria, ma anche e soprattutto perché la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati (Cass. nn. 9297 e 12952 del 2007, 18344 e 26004 del 2010). Ciò vale, secondo le Sezioni Unite della Cassazione, per tutte le ipotesi disciplinate dall’art. 96 c.p.c., ivi compresa, quindi, quella prevista dal terzo comma (introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 12), secondo il quale “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

Tale ampia previsione consente al giudice (quand’anche dovesse ritenersi che ciò non rientri già nella portata applicativa del medesimo art. 96, comma 1) di liquidare in favore del contribuente vittorioso una somma, in via equitativa, a titolo di risarcimento dei danni patiti a causa dell’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, cioè derivata da mala fede o colpa grave (cfr. Cass. n. 21570 del 2012), con conseguente necessità da parte del contribuente di adire il giudice tributario, dovendosi, infatti, intendere secondo la Cassazione in senso estensivo il concetto di “responsabilità processuale”, comprensivo anche, cioè, della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo alla esigenza di instaurare un processo “ingiusto”. …”

I  giudici di legittimità, in ordina alla proposizione dell’istanza di condanna per lite temeraria, con l’ordinanza n. 26920 del 2022 hanno statuito il seguente principio di diritto: L’istanza di condanna al risarcimento dei danni ex art. 96, secondo comma, c.p.c. non può essere proposta in sede di cognizione nel giudizio presupposto, qualora sussista un’ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto all’articolazione della domanda in tale sede – come allorquando i gradi di merito del giudizio di merito si siano esauriti ancor prima dell’insediamento delle commissioni tributarie e provinciali, in base al combinato disposto dell’art. 80 d.lgs. n. 546/1992 e del d.m. 26.4.1996 – nel qual caso ne è consentita la proposizione in un giudizio autonomo

Nella sopra indicata ordinanza gli Ermellini hanno precisato che, in termini generali, il giudice tributario può conoscere anche la domanda risarcitoria proposta dal contribuente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., potendo, altresì, liquidare in favore di quest’ultimo, se vittorioso, il danno derivante dall’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, in quanto connotata da mala fede o colpa grave, con conseguente necessità di adire il giudice tributario, atteso che il concetto di responsabilità processuale deve intendersi comprensivo anche della fase amministrativa, che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo all’esigenza di instaurare un processo ingiusto (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 13899 del 03/06/2013).

Pertanto, l’art. 96 c.p.c., in tema di responsabilità processuale aggravata:

  • a) è applicabile al processo tributario, in virtù del generale rinvio di cui al Dlgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 (a norma del quale “I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”);
  • b) regola tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali, ponendosi con carattere di specialità rispetto all’art. 2043 c.c., senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità (tra le altre, Cass. n. 28226 del 2008 e n. 5069 del 2010);
  • c) disciplina un fenomeno endoprocessuale, prevedendo che la domanda è proponibile nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l’insorgenza della detta responsabilità, non solo perché nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume, per l’appunto, temeraria, ma anche e soprattutto perché la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati (Cass. nn. 9297 e 12952 del 2007, 18344 e 26004 del 2010).

L’ampia previsione della norma, rileva la Corte, consente dunque al giudice di liquidare, in favore del contribuente vittorioso, una somma, in via equitativa, a titolo di risarcimento dei danni patiti a causa dell’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, cioè derivata da mala fede o colpa grave (cfr. Cass. n. 21570 del 2012), con conseguente necessità, da parte del contribuente, di adire il giudice tributario, dovendosi, infatti, intendere, come visto, in senso estensivo il concetto di “responsabilità processuale”, comprensivo anche, cioè, della fase amministrativa, che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo alla esigenza di instaurare un processo “ingiusto”.