Nel processo tributario, stante il rinvio al codice di procedura civile dell’art. 1 del d.lgs. n. 546/1992, trova applicazione l’articolo 295 del c.p.c., il quale statuisce che “Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”
Sul tema la Suprema Corte, sezione tributaria, con la sentenza 25 marzo 2024, n. 7952 ha statuito il seguente principio di diritto secondo cui “Qualora tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, la sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa dipendente va disposta solo allorché la causa pregiudicante sia ancora pendente in primo grado, mentre, una volta che questa sia definita con sentenza non passata in giudicato, spetta al giudice della causa dipendente scegliere se attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato attraverso il ricorso all’esercizio del potere facoltativo di sospensione previsto dall’art. 337, comma 2, c.p.c., ovvero decidere in senso difforme quando, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, ritenga che la decisione possa essere riformata“
Sul tema Il Supremo consesso è ritornato con l’ordinanza n. 11339 depositata il 30 aprile 2025 ha ribadito il principio secondo cui “l’art. 295 cod. proc. civ. non è applicabile quando sia stata emessa una pronuncia e quindi al giudizio di appello. Ove la causa risulti già definita in primo grado, infatti, non vi è spazio per la sospensione necessaria del giudizio pregiudicato, ma semmai per l’applicazione della sospensione facoltativa prevista dall’art. 337, secondo comma, cod. proc. civ., che appunto regola l’ipotesi in cui il suddetto rapporto riguardi una causa ormai pendente in sede d’impugnazione. Ed infatti <<Qualora tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, la sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa dipendente permane fintanto che la causa pregiudicante penda in primo grado, mentre, una volta che questa sia definita con sentenza non passata in giudicato, spetta al giudice della causa dipendente scegliere se conformarsi alla predetta decisione, sciogliendo il vincolo necessario della sospensione, ove una parte del giudizio pregiudicato si attivi per riassumerlo, ovvero attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato, mantenendo lo stato di sospensione (ovvero di quiescenza) attraverso però il ricorso all’esercizio del potere facoltativo di sospensione previsto dall’art. 337, comma 2, c.p.c., ovvero decidere in senso difforme quando, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, ritenga che tale sentenza possa essere riformata o cassata>> (Cass. 23/03/2022, n. 9470; Cass. 29/03/2023, n. 8885; Cass. 24/06/2024, n. 17323). Tale affermazione deriva dal principio per cui <<il diritto pronunciato dal giudice di primo grado, qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originario della lite, giustificando sia l’esecuzione provvisoria, sia l’autorità della sentenza di primo grado>> (così Cass., Sez. U., 19/06/2012, n. 10027 confermata da Cass., Sez. U., 29/07/2021, n. 21763, che ha precisato altresì che nel caso del sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati opera il disposto dell’art. 336, secondo comma, cod. proc. civ.; in tali sensi anche Cass. 04/01/2019, n. 80).
Trovando poi applicazione, come detto, il disposto di cui all’art. 337, cod. proc. civ., si configura un’ipotesi di sospensione facoltativa, che poggia non sull’autorità di giudicato ma sulla mera autorità della pronuncia, la quale, ancor prima e indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, esplica una funzione di accertamento al di fuori del processo. Si deve in proposito chiarire che il mancato esercizio del potere discrezionale in questione non può essere in nessuna guisa equiparato alla violazione dell’obbligo di sospensione, di talché il motivo che deduce la violazione di quest’ultimo non può essere interpretato come ricomprendente anche la mancata sospensione facoltativa, che come detto ha ad oggetto una valutazione ben differente, basata sulla valutazione prognostica positiva o negativa circa la fondatezza dell’impugnazione della pronuncia della cui autorità si tratta, come ricordato dalla giurisprudenza riportata (in tal senso la recente Cass. 25/03/2024, n. 7952).”