La Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, con la sentenza n. 6477 depositata il 12 marzo 2024, intervenendo in tema di sottoscrizione del ricorso, ha statuito che, in continuità con quanto è stato deciso con la sentenza a Sez. U., n. 22438 del 24 settembre 2018, alla luce del principio di effettività della tutela giurisdizionale (a cui si raccorda quello di strumentalità delle forme processuali), [il ricorso per cassazione, predisposto in originale in forma di documento informatico e notificato in via telematica, dev’essere ritualmente sottoscritto con firma digitale a pena di nullità dell’atto stesso, a meno che, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo, non sia comunque] possibile desumere aliunde, da elementi qualificanti, la [sua] certa paternità, va ritenuto che la notificazione del ricorso nativo digitale dalla casella p.e.c. dell’Avvocatura generale dello Stato censita nel REGINDE e il deposito della copia di esso in modalità analogica con attestazione di conformità sottoscritta dall’avvocato dello Stato, rappresentano elementi univoci da cui desumere la paternità dell’atto, rimanendo così superato l’eccepito vizio in ordine alla mancata sottoscrizione digitale dell’originale informatico del ricorso.
Nella fattispecie esaminata dalle Sezioni Unite, riguardava l’ammissibilità di un ricorso per cassazione nativo digitale, trasmesso via PEC, ma non firmato digitalmente, hanno ritenuto ammissibile il ricorso non sottoscritto, in presenza di elementi univoci, idonei ad ascrivere la paternità certa dell’atto processuale quali:
- la notificazione del ricorso nativo digitale dalla casella p.e.c., censita nel REGINDE, dell’Avvocatura generale dello Stato
- il deposito di una sua copia in modalità analogica con attestazione di conformità sottoscritta dall’avvocato dello Stato
Pertanto, fermo restando che la firma digitale è considerata un requisito essenziale per garantire l’autenticità e l’integrità degli atti giuridici in formato elettronico, le Sezioni Unite stabilito che esistono altri mezzi per assicurare la “paternità” dell’atto e la sua validità.
Si ricorda che ai sensi dell’articolo 24 del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) la firma digitale ha lo stesso valore legale di una firma autografa. Fino alla pubblicazione della sentenza in commento parte della giurisprudenza ha ritenuto, diversamente da quanto statuito dalla Sezioni Unite, che gli atti privi di firma digitale, anche quando la paternità dell’atto sembra essere chiara, sono affetti sia dal vizio da ricondursi alla categoria dell’inesistenza, in applicazione del principio generale desumibile dall’art. 161, secondo comma, c.p.c., ovvero a quella della nullità suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156, terzo comma, p.c..
Il Supremo consesso, fermo restando il requisito necessari della firma digitale per gli atti processuali, ha statuito la possibilità degli atti privi di firma, in cui la paternità dell’atto possa essere accertata con certezza attraverso altri mezzi, ed evidenziando la sicurezza informatica e la necessità di garantire che i documenti elettronici siano protetti da possibili frodi o manipolazioni.
In particolare gli Ermellini, nella sentenza a SS. UU., hanno evidenziato che la giurisprudenza di legittimità “… assegna all’elemento formale della sottoscrizione la funzione di nesso tra il testo ed il suo apparente autore, affinché possa dirsi certa la paternità dell’atto processuale.
A tal fine, dunque, la sottoscrizione si rivela elemento indispensabile per la formazione dell’atto stesso, il cui difetto ne comporta (come, per l’appunto, sovente affermato) l’inesistenza (in forza dell’estensione del principio della nullità insanabile stabilito dal secondo comma dell’art. 161 c.p.c.), qualora, però, non ne sia desumibile la paternità da altri elementi, come, in particolare, la sottoscrizione per autentica della firma della procura in calce o a margine dello stesso (tra le altre: Cass. n. 4078/1986; Cass. n. 6225/2005; Cass. n. 9490/2007; Cass. n. 1275/2011; Cass. n. 19434/2019; Cass. n. 32176/2022).
La funzione di rendere certa la paternità dell’atto processuale può, quindi, essere assolta tramite elementi, qualificanti, diversi dalla sottoscrizione dell’atto stesso, che consentano, tuttavia, di avere certezza su chi ne sia l’autore; uno scopo, dunque, che, in siffatti stretti termini, è conseguibile aliunde. …”
Per cui per i giudici della Suprema Corte, conformemente alla Cass., U., n. 22438/2018, che “muovendosi nella ricordata realtà ‘ibrida’ del processo civile telematico di legittimità (in cui, come detto, il ricorso, nativo digitale e notificato a mezzo p.e.c., doveva necessariamente essere depositato in formato analogico corredato da attestazione di conformità), ha ribadito alla luce del principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 111 Cost.; art. 47 della Carta di Nizza; art. 19 del Trattato sull’Unione europea; art. 6 CEDU) il quale, nella sua essenziale tensione verso una decisione di merito, richiede che eventuali restrizioni del diritto della parte all’accesso ad un tribunale siano ponderate attentamente alla luce dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità (così anche: Cass., S.U., n. 25513/2016; Cass., S.U., n. 10648/2017; Cass., S.U., n. 8950/2022; Cass., S.U., n. 28403/2023; Cass., S.U., n. 2075/2024).”
Inoltre, viene evidenziato che “anche in riferimento alla rappresentanza e difesa in giudizio delle Agenzie fiscali, ha affermato che gli avvocati dello Stato sono pienamente fungibili nel compimento di atti processuali relativi ad un medesimo giudizio, per cui l’atto introduttivo di questo è valido anche se la sottoscrizione è apposta da avvocato diverso da quello che materialmente ha redatto l’atto, unica condizione richiesta essendo la spendita della qualità professionale abilitante alla difesa (tra le altre: Cass. n. 4950/2012; Cass. n. 13627/2018). E nella stessa prospettiva si è, altresì, precisato che, nel caso di ricorso proposto per conto di un’amministrazione dello Stato, se non si contesta che la sottoscrizione provenga da un legale dell’Avvocatura generale dello Stato, non rileva neanche se lo stesso si identifichi o meno con il nominativo indicato nell’epigrafe o in calce al ricorso (Cass., S.U., n. 59/1999; Cass. n. 21473/2007).”