La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 22076 depositata il 26 settembre 2013 intervenendo in tema di procedimento disciplinare ha statuito la legittimità del provvedimento sospensivo nei confronti del dipendente che, non soltanto si rifiuta immotivatamente di evadere il lavoro accumulatosi, ma incita il collega a fare altrettanto.
Gli Ermellini hanno chiarito che il lavoratore è venuto meno all’obbligo di diligenza e che il comportamento non collaborativo costituisce sempre e comunque un illecito disciplinare.
La vicenda ha visto protagonista un dipendente di Trenitalia Spa nei cui confronti veniva preso un provvedimento disciplinare di sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per giorni cinque. Tale provvedimento scaturiva da un comportamento del dipendente che non solo era arrivato in ritardo allo sportello della biglietteria, ma aveva omesso di attivare il sistema di vendita manuale dei biglietti, dopodiché si era allontanato dal posto di lavoro per recarsi al bar ed al rientro aveva un diverbio con la collega, nei cui confronti aveva pronunciato frasi offensive dell’onore e della dignità della persona.
Il dipendente ricorreva al Tribunale, in veste di giudice del lavoro, per la revoca del provvedimento di sospensione. Il giudice di prime cure respingeva la richiesta del dipendente. La parte soccombente ricorreva alla Corte di Appello che confermava la sentenza di primo grado “osservando che l’istruttoria espletata in primo grado aveva consentito, senza alcuna incertezza, di attribuire al comportamento provocatorio del ricorrente la causa del diverbio con la collega: il M. aveva dapprima diffidato la D’A. dall’emettere i biglietti con il sistema manuale ed aveva poi abbandonato la sua postazione di lavoro per recarsi al bar; al suo rientro, constatato che la collega aveva emesso alcuni biglietti con il sistema manuale ed aveva avuto – a suo avviso – l’”ardire” di poggiarli sulla sua scrivania affinché lui li registrasse manualmente al computer, le aveva intimato di riprendere le matrici, fermando che altrimenti gliele avrebbe “sbattute in faccia”;”
Avverso la decisione della Corte Territoriale il dipendente proponeva ricorso, basandolo su tre motivi, alla Corte Suprema per la cassazione della decisione.
I giudici di legittimità respingono il ricorso del dipendente affermando che “non solo aveva osservato i doveri del suo ufficio, mentre il ricorrente non aveva fatto altrettanto ed aveva addirittura invitato la collega a violarli”. I giudici della Corte Suprema chiariscono che “L’obbligo di collaborazione è insito nel dovere di diligenza ex art. 2104 cod. civ.. Esso trova fondamento anche nel dovere di esecuzione secondo buona fede (art 1375 cod. civ.), poiché il lavoratore non adempie i doveri nascenti dal contratto di lavoro mettendo formalmente a disposizione dell’imprenditore le sue energie lavorative, ma è necessario ed indispensabile che il suo comportamento sia tale da rendere possibile al datore di lavoro l’uso effettivo e proficuo di queste, il che si realizza anche mediante l’integrazione tra gli apporti dei singoli operatori nel contesto unitario della funzione e/o del servizio cui la prestazione lavorativa inerisce.”
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