La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 20600 del 09 settembre 2013 intervenendo in tema di qualifica professionale ha affermato che non basta coordinare un gruppo di lavoro per assumere la qualifica di dirigente.
La Corte nelle motivazioni della sentenza in commento evidenzia che “la qualifica di dirigente spetta al prestatore di lavoro che, come alter ego dell’imprenditore, sia preposto alla direzione dell’intera organizzazione aziendale, o di una branca o settore autonomo di essa, e sia in concreto investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentano, sia pure nell’osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo e un orientamento, con le corrispondenti responsabilità ad elevato livello, al governo complessivo dell’azienda”, così differenziandosi dall’impiegato con funzioni direttive.
Per gli Ermellini il dirigente “è preposto a un singolo, subordinato ramo di servizio, ufficio o reparto, e svolge la sua attività sotto il controllo dell’imprenditore o di un dirigente, sicché la sua posizione gerarchica, i suoi poteri di iniziativa e le sue responsabilità sono corrispondentemente circoscritti e di più modesto e limitato rilievo sia all’interno dell’impresa e sia nei confronti dei terzi”.
I giudici continuando a leggere nelle motivazioni scrivono che “Non è, dunque, di per sé il coordinamento di un gruppo di impiegati addetti ad un ufficio ad integrare una funzione dirigenziale né lo svolgimento di compiti, pur caratterizzati da autonomia, ma con poteri di iniziativa circoscritti ad un singolo servizio, ufficio o reparto e sotto il controllo dell’imprenditore, e con corrispondente limitazione di responsabilità”.
Del pari irrilevante è l’attribuzione formale della qualifica dirigenziale da una certa data in poi per dedurne, sul presupposto che le mansioni siano rimaste immutate, un diritto al medesimo inquadramento per il periodo pregresso. Ben potendo il datore riconoscere arbitrariamente al proprio dipendente una qualifica superiore, trattandosi di un trattamento di favore e non peggiorativo.
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