La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 18263 depositata il 3 luglio 2024, intervenendo in tema di risoluzione del rapporto di lavoro, ha ribadito il principio secondo cui “… ritenendosi integrata una giusta causa di recesso nel caso del lavoratore, che, avendo scelto di prestare la propria attività durante il periodo di preavviso, sia stato posto dal datore in ferie per il godimento di quelle non ancora fruite, con sovrapposizione di queste al periodo di preavviso (v. Cass. n. 985 del 2017). …”

La vicenda ha riguardato un dirigente di una società a responsabilità limitata che aveva rassegnate le dimissioni con preavviso di sei mesi. La società datrice di lavoro in seguito a tali dimissioni la datrice di lavoro aveva disabilitato l’account di posta elettronica aziendale, impedito l’accesso al computer ed anche all’ufficio. Il dipendente a causa della condotta della società comunicato la risoluzione immediata del rapporto di lavoro motivandolo come segue: “in considerazione del vostro grave comportamento che non mi permette di prestare l’attività lavorativa nel periodo di preavviso”. Il dipendente ricorre giudizialmente per far accertare l’esistenza di una giusta causa delle dimissioni dal medesimo rassegnate e ad ottenere la condanna della società al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso e del saldo del TFR, previa declaratoria di illegittimità della trattenuta dalla stessa operata a titolo di mancato preavviso. Il Tribunale adito, in veste di giudice del lavoro, rigettava le richieste del dipendente. Il lavoratore impugnava la decisione di primo grado. La Corte di Appello respinse l’appello del dipendente, confermando la pronuncia di primo grado. Per la Corte territoriale era da escludere che fosse configurabile una giusta causa di dimissioni, a fronte della condotta datoriale che si era concretizzata nella sospensione delle ordinarie modalità di svolgimento della prestazione per soli cinque giorni, ferma la garanzia della retribuzione. Avverso la sentenza di appello il dipendente proponeva ricorso in cassazione fondato su due motivi.

I giudici di legittimità accolsero il primo motivo di ricorso, dichiararono inammissibile il secondo motivo.

Gli Ermellini hanno ribadito il principio secondo cui “… la giusta causa, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” è una nozione che la legge – allo scopo di adeguare le norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza sociale, sia di criteri desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. …” (v. Cass. n. 8254 del 2004; n. 21214 del 2009; n. 5095 del 2011; n. 6498 del 2012; più recentemente v. Cass. n. 7426 del 2018; n. 7029 del 2023)

Il Supremo consesso ha evidenziato che “… In tema di giusta causa, si è ribadito che le specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro errata individuazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge (tra le innumerevoli: Cass. n. 6901 del 2016; Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 6498 del 2012; Cass. n. 25144 del 2010), mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in Cassazione se privo di errori logici o giuridici. …”

Per i giudici di piazza Cavour i giudici di merito non hanno considerato, al fine di valutare la condotta del datore di lavoro, che  “… il nostro sistema giuridico contempla la sospensione del rapporto di lavoro sotto una duplice veste: la sospensione cd. cautelare, quale misura di carattere provvisorio e strumentale all’accertamento dei fatti relativi alla violazione, da parte del lavoratore, degli obblighi inerenti al rapporto, e la sospensione cd. disciplinare, costituente essa stessa sanzione disciplinare applicabile a fronte di un accertato inadempimento del lavoratore (v. Cass. n. 25136 del 2010; n. 15353 del 2012).

In entrambi i casi, la legittimità della sospensione unilaterale del rapporto lavorativo è correlata all’esistenza, accertata o solo contestata, di un inadempimento del lavoratore ai propri obblighi, mentre del tutto illegittima è la sospensione del rapporto di lavoro, a prescindere dalla durata della sospensione stessa, a fronte dell’esercizio di un diritto del lavoratore, quale il diritto di recesso con preavviso. …”