Agenzia delle Entrate – Risposta n. 267 del 21 agosto 2020
Interpello articolo 11, comma 1, lettera a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – ravvedimento della fattura errata – diritto di rivalsa del cedente e diritto a detrazione del cessionario della maggiore IVA
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
[ALFA] (d’ora in poi istante), con sede in […] ed appartenente al Gruppo [BETA], ha esposto la questione qui di seguito sinteticamente riportata.
L’istante ha avviato un’attività di regolarizzazione in relazione ad alcune cessioni, rilevanti ai fini IVA in Italia, effettuate nel 2019 nei confronti della [GAMMA] con sede […], senza stabile organizzazione e senza una posizione IVA in Italia.
In tale ambito, l’istante ha proceduto, in particolare, a versare all’erario italiano, nel corso del corrente anno, l’IVA a suo tempo non addebitata sulle predette cessioni, unitamente alle relative sanzioni ed interessi, avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.
Al riguardo, l’istante chiede di conoscere se, a seguito della regolarizzazione della propria posizione tramite l’istituto del ravvedimento operoso, l’IVA – pagata nell’ambito della predetta regolarizzazione – possa essere addebitata in via di rivalsa nei confronti della [GAMMA] ai sensi dell’articolo 60, ultimo comma del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
In particolare, l’istante chiede di conoscere se:
- il diritto di rivalsa dell’IVA nei confronti del cessionario, disposto dall’articolo 60, ultimo comma del d.P.R n. 633 del 1972, sussista anche nell’ipotesi in cui l’attività di rettifica sia promossa dal contribuente per il tramite dell’istituto del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del d.lgs. n. 472 del 1997;
- il diritto di rivalsa dell’IVA nei confronti del cessionario sorga, nell’ambito del ravvedimento operoso, con il “pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi”, e se sia consentito anche con riguardo all’eventuale maggiore IVA accertata dall’ufficio e versata in acquiescenza;
- al fine di esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta, il cessionario – società […] senza identificazione ai fini IVA in Italia – sia tenuto a registrarsi ai fini IVA in Italia tramite la nomina di un rappresentante fiscale, in forza dell’articolo 17, comma 3 del d.P.R. n. 633 del 1972, prima dell’esercizio, ad opera del cedente, della rivalsa del tributo ai sensi dell’articolo 60, ultimo comma del d.P.R. n. 633 del 1972.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
In sintesi, l’istante, in relazione al quesito sub a), ritiene che il diritto di rivalsa dell’IVA nei confronti del cessionario sussista, ai sensi dell’articolo 60, ultimo comma del d.P.R. 633 del 1972, anche nell’ipotesi in cui l’attività di rettifica sia promossa dal contribuente per il tramite dell’istituto del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del d.lgs. n. 472 del 1997.
In relazione al quesito sub b), l’istante assume che il pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi nell’ambito del ravvedimento operoso costituisca condizione per l’esercizio della rivalsa nei confronti del cessionario.
L’istante ritiene, altresì, che il diritto di rivalsa (e il contestuale diritto alla detrazione in capo al cessionario) si estenda anche all’eventuale maggiore IVA versata in acquiescenza a seguito di accertamento da parte dell’ufficio (sul punto, cfr. circolare 27/E del 2013).
In relazione, infine, al quesito sub c), l’istante ritiene che la nomina di un rappresentante fiscale in Italia del cessionario prima dell’esercizio della rivalsa del tributo, ai sensi dell’articolo 60, ultimo comma del d.P.R. n. 633 del 1972, consenta a quest’ultimo di “esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”.
Sul piano operativo, l’istante ritiene di poter emettere fattura con le seguenti indicazioni:
“(°) gli estremi della comunicazione (ossia la data di trasmissione mezzo PEC) inviata all’Ufficio per l’attività di regolarizzazione per il tramite del ravvedimento operoso;
(°) il titolo giustificativo dell’addebito dell’IVA, prevedendo il richiamo all’articolo 60, comma 7, del d.P.R. n. 633/1972.”
La predetta fattura andrà annotata nel registro IVA vendite, istituito ai sensi dell’articolo 23 del d.P.R. n. 633 del 1972, “senza tuttavia includere l’imposta addebitata in via di rivalsa nella liquidazione Iva del periodo e nella dichiarazione Iva annuale presentata per l’anno 2020 (Modello IVA 2021), in linea con le modalità operative evidenziate nella circolare n. 35 del 17 dicembre 2013”.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
L’articolo 60, ultimo comma, del d.P.R. 633 del 1972, prevede che “Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”.
La norma, nel consentire l’esercizio del diritto di rivalsa della maggiore imposta accertata a condizione che il cedente/prestatore abbia definitivamente corrisposto le somme dovute all’erario, mira a ripristinare la neutralità garantita dal meccanismo della rivalsa e dal diritto alla detrazione, e, con essa, il normale funzionamento dell’IVA, con riguardo alle sole ipotesi in cui tale maggiore imposta origini appunto da “avvisi di accertamento o rettifica” .
Nel caso in esame, in cui manca il presupposto di un atto di accertamento divenuto definitivo, la norma in commento non risulta applicabile e non può, dunque, essere accolta la soluzione proposta dall’istante.
Al di fuori dello schema del citato ultimo comma dell’articolo 60, tuttavia, l’istante risulta legittimato a rivalersi della maggiore imposta corrisposta all’erario in base alla diversa norma contenuta nell’articolo 26, comma 1 del d.P.R. 633 del 1972.
Tale norma in tema di “Variazioni dell’imponibile o dell’imposta” prevede che “Le disposizioni degli articoli 21 e seguenti devono essere osservate, in relazione al maggiore ammontare, tutte le volte che successivamente all’emissione della fattura o alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24 l’ammontare imponibile di un’operazione o quello della relativa imposta viene ad aumentare per qualsiasi motivo, compresa la rettifica di inesattezze della fatturazione o della registrazione”.
Il cedente/commissionario deve, dunque, senza limiti temporali, rettificare la fattura in precedenza emessa senza IVA, oppure con IVA errata, attraverso lo strumento della nota di variazione in aumento, osservando le «disposizioni degli articoli 21 e seguenti» relative alla fatturazione delle operazioni e quindi, ove possibile, esercitando la rivalsa nei confronti del cessionario/committente.
Nel caso di specie, l’istante laddove intenda regolarizzare la sua posizione ai fini IVA attraverso il ricorso al ravvedimento operoso ex articolo 13 del d.lgs. n. 472 del 1997, deve: i) emettere le note di variazioni in aumento di sola IVA, ex articolo 26 comma 1 (secondo le regole generali di cui alle «disposizioni degli articoli 21 e seguenti»), esercitando, ove possibile, la rivalsa nei confronti del cessionario, ii) integrare la dichiarazione annuale relativa al 2019 – se già presentata – e iii) versare la maggiore imposta, gli interessi e le sanzioni.
Per quanto sopra chiarito, il cessionario non può, evidentemente, recuperare in detrazione l’IVA, addebitatagli dal cedente mediante la nota di variazione in aumento, applicando le disposizioni di cui al più volte richiamato articolo 60, ultimo comma del d.P.R. n. 633 del 1972.
Occorre, dunque, verificare se sia ancora possibile esercitare il diritto alla detrazione ai sensi dell’articolo 19, comma 1, secondo periodo del d.P.R. n. 633 del 1972, secondo cui “Il diritto alla detrazione (…) sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e è esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo”.
A tal riguardo, si osserva che, secondo un indirizzo costante della Corte di Giustizia dell’UE “il principio di neutralità dell’IVA trova riscontro nel regime delle detrazioni, il quale è inteso a sgravare interamente il soggetto passivo dall’onere dell’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche” (Corte di Giustizia, sentenze: 23 aprile 2015, C111/14, GST; 13 marzo 2014, Malburg, C204/13).
Tale orientamento ha trovato espressione, da ultimo, nella sentenza del 21 marzo 2018, Volkswagen, C-533/16, nella quale dopo aver ribadito che “il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa dell’Unione” (sentenza del 15 settembre 2016, Senatex, C-518/14, EU:C:2016:691, punto 26 e giurisprudenza ivi citata), la Corte ha ulteriormente sottolineano come “il diritto a detrazione previsto dagli articoli 167 e seguenti della direttiva 2006/112 costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni. In particolare, tale diritto va esercitato immediatamente per tutte le imposte che hanno gravato le operazioni effettuate a monte (v., in tal senso, sentenze del 15 settembre 2016, Senatex, C-518/14, EU:C:2016:691, punto 37, e del 19 ottobre 2017, Paper Consult, C-101/16, EU:C:2017:775, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).
Osserva la Corte come, sebbene, in forza dell’articolo 167 della direttiva 2006/112, il diritto a detrazione dell’IVA sorga alla data in cui l’imposta diviene esigibile, in linea di principio, l’esercizio di tale diritto è possibile, ai sensi dell’articolo 178 di tale direttiva, solo a partire dal momento in cui il soggetto passivo è in possesso di una fattura (v., in tal senso, sentenza del 15 settembre 2016, Senatex, C-518/14, EU:C:2016:691, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).
Ne consegue che, se l’IVA è stata addebitata in fattura in sede di regolarizzazione dell’operazione, il termine di decadenza per l’esercizio del diritto alla detrazione decorre non già dalla data della consegna dei beni, ma da quella in cui il cessionario è venuto in possesso della fattura.
“…Solo a seguito di tale regolarizzazione, infatti, sono state soddisfatte le condizioni sostanziali e formali che danno diritto alla detrazione dell’IVA e il cessionario ha potuto quindi chiedere di veder alleviato il proprio onere dell’IVA dovuta o pagata conformemente alla direttiva 2006/112 e al principio di neutralità fiscale…”.
Nel riconoscere la compatibilità con la normativa unionale di una legislazione nazionale che, in ragione di esigenze di certezza del diritto, preveda un termine di decadenza per l’esercizio del diritto alla detrazione, la Corte ha in tale contesto evidenziato la necessità, per un verso, che detto termine si applichi allo stesso modo ai diritti analoghi in materia fiscale fondati sul diritto interno e a quelli fondati sul diritto dell’Unione (principio di equivalenza) e, per altro verso, per quel che qui rileva, che esso non renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto a detrazione (principio di effettività).
Sulla base di quanto sopra evidenziato, la Corte è pervenuta alla conclusione che “il diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale, in circostanze come quelle della fattispecie in esame, nelle quali l’Iva è stata fatturata al soggetto passivo e versata da quest’ultimo diversi anni dopo la cessione dei beni di cui trattasi, viene negato il diritto al rimborso dell’Iva, sulla base della motivazione che il termine di decadenza previsto da tale normativa per l’esercizio del diritto sarebbe iniziato a decorrere dalla data della consegna e sarebbe scaduto prima della presentazione della domanda di rimborso”.
La giurisprudenza di legittimità nazionale (cfr Cass. civ. Sez. V, 28/05/2020, n. 10103) ha recepito i sopra esposti principi elaborati dalla Corte di Giustizia richiamando il concetto, già espresso dagli stessi giudici unionali, che “laddove il cedente provveda ad una regolarizzazione dell’I.v.a. solo in un secondo momento, emettendo fatture che comprendono l’I.v.a., presentando dichiarazioni fiscali supplementari all’autorità nazionale competente e versando l’importo dell’IVA dovuta all’erario e sia escluso il rischio di evasione fiscale, non può negarsi il diritto del cessionario all’esercizio del proprio diritto di rimborso dell’I.v.a. di rivalsa assolta a seguito della ricezione delle fatture, essendo stato oggettivamente impossibilitato ad esercitare tale suo diritto in precedenza in ragione della mancata disponibilità delle fatture e dell’ignoranza in ordine alla debenza dell’I.v.a.“.
Alla luce dei principi sopra espressi con riguardo alle caratteristiche di immediatezza ed effettività del diritto di detrazione, si è dell’avviso che occorra interpretare l’articolo 19, comma 1, secondo periodo, del d.P.R. n. 633 del 1972, in combinato all’articolo 26, comma 1 del medesimo decreto, in modo di salvaguardare la neutralità dell’IVA, di cui l’effettività del diritto di detrazione è un corollario, rendendo possibile l’esercizio dello stesso. Ne consegue che al contribuente che abbia ricevuto, oltre il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto, una nota di variazione in aumento ex articolo 26, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, per correggere errori nella qualificazione della operazione originaria, non possa essere precluso il diritto alla detrazione della maggiore IVA addebitatagli. Pertanto, si ritiene, che, in assenza di elementi di frode, il cessionario possa esercitare il diritto alla detrazione delle maggiore IVA addebitata dal cedente mediante la nota di variazione in aumento.
Il dies a quo per l’esercizio del predetto diritto deve individuarsi nel momento di emissione della nota di variazione da parte del cedente, e può essere esercitato – alle condizioni esistenti al momento di effettuazione dell’operazione originaria – al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto (articolo 19, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972).
Nel caso di specie, per esercitare il diritto alla detrazione il cessionario – società […] senza identificazione ai fini IVA in Italia – deve nominare di un rappresentante fiscale, ai sensi dell’articolo 17, comma 3 del d.P.R. n. 633 del 1972.
In merito, tornano utili i chiarimenti contenuti nella circolare n. 35 del 17 dicembre 2013, con riguardo all’articolo 60, ultimo comma del d.P.R. n. 633 del 1972, laddove è stato chiarito che “a tutela del principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, si ritiene possibile procedere alla nomina del rappresentante fiscale anche – successivamente – al perfezionamento dell’operazione originaria, fino al pagamento dell’imposta addebitata in via di rivalsa ai sensi dell’articolo 60, settimo comma, del DPR n. 633 del 1972, purché si tratti di adempimento cui il soggetto non residente non fosse già tenuto”.
Anche nel caso prospettato, dunque, il cessionario può nominare il rappresentante fiscale successivamente al perfezionamento dell’operazione originaria da parte dell’istante mediante il ravvedimento operoso, purché – come già chiarito – il soggetto non residente non fosse già obbligato ad indentificarsi.
Si osserva, infine, che rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 60, ultimo comma del d.P.R. n. 633 del 1972 l’ipotesi, prospettata dall’istante, in cui, all’esito di eventuali attività di controllo, dovesse emergere una maggiore IVA dovuta rispetto a quella già versata in sede di ravvedimento; in tal caso la maggiore IVA eventualmente pagata in acquiescenza dal cedente potrà formare oggetto di rivalsa alle condizioni stabilite dell’articolo 60, ultimo comma del d.P.R. n. 633 del 1972.In tale evenienza, il cessionario potrà a sua volta, come prescrive la citata norma, esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione.
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