AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 28 aprile 2021, n. 301
Interpello – articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – Ravvedimento operoso dell’errata applicazione del meccanismo del riverse charge
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La società di diritto lussemburghese [DELTA], identificata in Italia ai sensi dell’articolo 35-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito decreto IVA), nel prosieguo istante, fa presente quanto di seguito sinteticamente riportato.
L’istante, operante nel settore del commercio all’ingrosso di beni tra cui […] ad uso industriale, importa in Italia beni dalla Turchia introducendoli in un deposito IVA italiano. La successiva fase di commercializzazione, a seguito dell’estrazione dei beni dal citato deposito, consiste, a seconda della destinazione della merce, in cessioni domestiche, cessioni intracomunitarie ed esportazioni.
Con riferimento a tali operazioni l’istante precisa che laddove le cessioni domestiche vengano effettuate nei confronti di:
– soggetti passivi stabiliti ai fini IVA in Italia, l’istante emette fattura utilizzando la propria partita IVA lussemburghese, mentre l’IVA è assolta dal cliente ai sensi dell’articolo 17, commi 2 e 3, del decreto IVA, con integrazione del documento ex articoli 46 e 47 del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427;
– soggetti passivi non stabiliti ai fini IVA in Italia, l’istante emette fattura con IVA utilizzando la propria partita IVA italiana.
Fra i clienti dell’istante vi è il gruppo internazionale Alfa (di seguito “Gruppo Alfa”) che, sino al 2016, acquistava beni in Italia attraverso la consociata Beta stabilita, ai fini IVA, nel territorio dello Stato.
A seguito di una riorganizzazione intervenuta nel 2016 il “Gruppo Alfa” ha iniziato ad acquistare gli stessi beni – consegnati presso il sito italiano di Beta – attraverso la società Gamma, stabilita ai fini IVA in Olanda e senza stabile organizzazione in Italia. Tuttavia, l’istante riferisce che «il Gruppo Alfa aveva esplicitamente rappresentato alla Società il fatto che detta riorganizzazione non avrebbe comportato modificazioni sostanziali nelle modalità di fatturazione, ingenerando dunque nell’odierna istante il ragionevole convincimento in ordine al fatto che Gamma avrebbe effettuato gli acquisti nel territorio dello Stato attraverso una stabile organizzazione, destinataria degli obblighi IVA sulle cessioni domestiche in luogo del fornitore non stabilito.».
L’istante ha, dunque, continuato ad effettuare nei confronti del “Gruppo Alfa” cessioni domestiche di beni sulla base dello schema sopra descritto, emettendo fattura dalla propria partita IVA lussemburghese invece che dalla propria posizione IVA italiana, mentre la controparte (Gamma), nell’erroneo convincimento di ricevere in Italia beni di provenienza UE – in quanto fatturati dalla partita IVA lussemburghese – ha regolarmente dichiarato acquisti intracomunitari, assolvendo l’imposta mediante il meccanismo dell’inversione contabile (reverse charge), invece di pagare IVA addebitata in rivalsa.
Rilevata nel 2020 tale criticità, l’istante ha effettuato una verifica su tutto il proprio parco clienti riscontrando che anche «il cliente Zeta, soggetto passivo stabilito ai fini IVA in Olanda, ma operante in Italia attraverso una stabile organizzazione tramite la quale effettuava gli acquisti di beni da [DELTA], aveva iniziato dal 2019 a operare attraverso la propria partita IVA italiana “da identificazione diretta” ex art. 35-ter del Decreto IVA, senza aver tempestivamente comunicato alla Società tale modifica».
In definitiva, l’istante ha applicato – nei confronti dei clienti Gamma e Zeta (soggetti passivi non stabiliti e senza stabile organizzazione in Italia) – un regime IVA errato con riguardo alle cessioni territorialmente rilevanti in Italia ex articolo 7-bis del decreto IVA, emettendo fattura dalla propria partita IVA lussemburghese sul presupposto che i clienti Gamma e Zeta avrebbero assolto l’imposta ex articolo 17, commi 2 e 3, del decreto IVA mediante le proprie stabili organizzazioni in Italia.
Sulla base di quanto sopra esposto, l’istante – tenuto conto che l’errore commesso, a suo avviso, non ha cagionato danno all’erario, essendo l’IVA stata assolta dai cessionari mediante il meccanismo del reverse charge, ed escluso qualsiasi contesto di frode – chiede come regolarizzare la propria posizione fiscale in Italia ai fini IVA per gli anni dal 2016 al 2020, attraverso l’istituto del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.
In particolare, chiede se, alla fattispecie prospettata, sia applicabile quanto disposto dall’articolo 6, comma 9-bis.2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 e che, dunque:
– non sia dovuto il versamento dell’IVA, in quanto già assolta da Gamma e Zeta mediante il meccanismo del reverse charge;
– per l’errata fatturazione si applichi la sanzione in misura fissa da 250 a 10.000 euro.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, l’istante ritiene che «Alla fattispecie descritta siano applicabili unicamente le sanzioni formali previste dall’art. 6 co. 9-bis.2 D.Lgs. n. 471/1997, ai fini dell’effettuazione del ravvedimento operoso previsto dall’art. 13 del D. Lgs. n. 472 del 1997, tenuto conto della ratio alla base della riforma dell’impianto sanzionatorio IVA in materia di reverse charge. Nello specifico, sembra opportuno rilevare che una siffatta soluzione si palesa pienamente rispettosa del principio di proporzionalità in materia di IVA a cui si è dichiaratamente ispirato il legislatore della riforma e a cui la stessa Agenzia delle Entrate, nella citata Circ. n. 16/E del 2017, ha mostrato di aver prestato particolare attenzione».
Ritiene, dunque, che ai fini della validità del ravvedimento operoso previsto dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997, non occorra eseguire il versamento dell’IVA, già assolta seppur mediante reverse charge, e che siano da definire le sole sanzioni in misura fissa pari a 250 euro per ogni liquidazione IVA mensile errata.
Parere dell’Agenzia delle entrate
L’articolo 17, secondo comma, del decreto IVA dispone che «Gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, compresi i soggetti indicati all’articolo 7-ter, comma 2, lettere b) e c), sono adempiuti dai cessionari o committenti. Tuttavia, nel caso di cessioni di beni o di prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell’Unione europea, il cessionario o committente adempie gli obblighi di fatturazione di registrazione secondo le disposizioni degli articoli 46 e 47 del decretolegge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427».
Il terzo comma dell’articolo 17 dispone, tuttavia, che «Nel caso in cui gli obblighi o i diritti derivanti dall’applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto sono previsti a carico ovvero a favore di soggetti non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, i medesimi sono adempiuti od esercitati, nei modi ordinari, dagli stessi soggetti direttamente, se identificati ai sensi dell’articolo 35-ter, ovvero tramite un loro rappresentante residente nel territorio dello Stato nominato nelle forme previste dall’articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 441. […]».
Come già chiarito in passato (cfr. risoluzione n. 28/E del 28 marzo 2012) «In base al disposto del successivo terzo comma dell’articolo 17 sopra citato, tale estensione del meccanismo dell’inversione contabile non trova applicazione nel caso in cui le cessioni di beni o le prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, siano effettuate da un soggetto passivo non residente e privo di stabile organizzazione nel territorio dello Stato nei confronti di cessionari o committenti soggetti passivi che siano anch’essi stabiliti fuori del territorio dello Stato. In tale caso, torna di norma applicabile la regola generale di cui al primo comma dell’articolo 17 che individua il debitore dell’imposta nel cedente o prestatore».
In altre parole, quando le operazioni domestiche intercorrono tra soggetti non stabiliti ai fini IVA in Italia, né quivi in possesso di una stabile organizzazione, il fornitore deve emettere fattura con IVA utilizzando la partita IVA italiana, acquisita mediante identificazione diretta (se stabilito ai fini IVA in un Paese UE o in un paese terzo che abbia stipulato accordi di reciproca assistenza amministrativa ai fini IVA, ex articolo 35-ter del decreto IVA) ovvero attraverso un rappresentante fiscale (ex articolo 17, comma 2, del medesimo decreto IVA).
Ne deriva, pertanto, che l’istante avrebbe dovuto fatturare le cessioni domestiche di beni destinati a soggetti non stabiliti in Italia utilizzando la propria posizione IVA italiana, ed addebitando l’IVA in fattura secondo le regole ordinarie.
Ciò detto, con riferimento alle violazioni consistenti nell’erroneo assolvimento dell’imposta mediante il meccanismo dell’inversione contabile, l’articolo 6, comma 9- bis.2, del decreto legislativo n. 471 del 1997, dispone che «In deroga al comma 1, qualora, in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cessionario o committente, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cedente o il prestatore non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cessionario o committente. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cedente o prestatore è punito con la sanzione di cui al comma 1 quando l’applicazione dell’imposta mediante l’inversione contabile anziché nel modo ordinario è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cedente o prestatore era consapevole».
Come chiarito con la circolare n. 16/E dell’11 maggio 2017, la disposizione sopra richiamata è coerente «con il principio sancito in più occasioni dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in relazione al meccanismo del reverse charge, secondo cui la violazione degli obblighi formali non possono escludere di per sé il diritto alla detrazione del contribuente, pena la violazione del principio di neutralità dell’imposta (…)». In particolare, con specifico riferimento al funzionamento del citato comma 9-bis.2, la circolare ha chiarito che detto comma «disciplina l’ipotesi […] in cui l’IVA doveva essere assolta in via ordinaria, ma è stata, in modo irregolare, assolta con il meccanismo dell’inversione contabile dal cessionario o committente. […]. Il cessionario o committente ha il diritto alla detrazione dell’imposta assolta irregolarmente con l’inversione contabile, mentre il cedente o prestatore – seppur debitore dell’imposta – non è obbligato all’assolvimento della stessa, ma è punito con la sanzione in misura fissa stabilita da un minimo di 250 euro a un massimo di 10.000 euro. Del pagamento di tale sanzione è responsabile, in via solidale, il cessionario o committente.
Anche in tale evenienza, come già chiarito al paragrafo precedente, la sanzione compresa tra 250 euro e 10.000 euro è dovuta in base a ciascuna liquidazione (mensile o trimestrale) e con riferimento a ciascun committente. […].
Il comma 9-bis.2, inoltre, prevede espressamente l’inapplicabilità della sanzione in misura fissa, con conseguente applicazione delle regole ordinarie di cui al citato comma 1, nei casi in cui la condotta sia determinata da un intento di evasione o di frode per il quale vi sia prova di consapevolezza da parte del cedente o prestatore.
Ciò posto, riguardo l’ambito applicativo del comma 9-bis.2 in esame, si evidenzia che la norma è applicabile solo al caso di irregolare assolvimento dell’imposta relativa a cessioni di beni o a prestazioni di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis “in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile”.
Secondo la Relazione di accompagnamento al decreto, si tratta, in particolare, di tutte ” le ipotesi in cui l’imposta è stata erroneamente assolta dal cessionario/committente con il meccanismo dell’inversione contabile … per operazioni riconducibili alle ipotesi di reverse charge ma per le quali non ricorrevano tutte le condizioni per la sua applicazione” […].
In base alla ratio della norma, le disposizioni di cui al comma 9-bis.2 non si applicano, invece, nel caso di ricorso all’inversione contabile in ipotesi palesemente estranee a detto regime. In tale evenienza tornano applicabili al cedente/prestatore e al cessionario/committente, rispettivamente le sanzioni di ai citati commi 1 e 8 dell’art. 6».
Tanto premesso, nel caso prospettato – salva l’ipotesi di frode, non verificabile in sede d’interpello – nel presupposto che i) l’istante sia caduto in errore a causa di imprecise informazioni fornite dai propri clienti non residenti, con i quali aveva operato negli anni precedenti al 2016 attraverso le loro stabili organizzazioni in Italia e ii) l’IVA sia stata effettivamente assolta mediante applicazione del reverse charge, la situazione sembra riconducibile alla violazione cui si applica la sanzione di cui all’articolo 6, comma 9-bis.2, sopra richiamato.
Ne deriva che l’erroneo comportamento tenuto dal cedente (fatturazione mediante la partita IVA lussemburghese in regime di non imponibilità) e dei cessionari (assolvimento dell’imposta mediante il reverse charge) resta cristallizzato, dovendosi applicare la sola sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro.
Come chiarito dalla circolare n. 16/E del 2017 «Circa l’individuazione dell’imponibile di riferimento cui commisurare la sanzione, restano valide le indicazioni già fornite con la risoluzione n. 140/E del 29 dicembre 2010, ove è stato chiarito che “la violazione, concernente l’irregolare assolvimento dell’IVA a causa dell’erronea applicazione del regime dell’inversione contabile, si realizza di fatto quando viene operata la liquidazione mensile o trimestrale: è in tale sede, infatti, che il cedente ed il cessionario procedono erroneamente alla determinazione dell’imposta relativa alle operazioni attive da «assolvere»“».
Ne deriva che, «la sanzione compresa tra 250 euro e 10.000 euro è dovuta [dall’istante] in base a ciascuna liquidazione (mensile o trimestrale) e con riferimento a ciascun committente. ». Della sanzione, definibile mediante l’istituto del ravvedimento operoso, rispondono in via solidale anche le società acquirenti che, come già detto, conservano il diritto alla detrazione dell’imposta erroneamente assolta mediante reverse charge.
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