La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 49719 depositata il 10 dicembre 2013 intervenendo in tema di sequestro per equivalente ha statuito che non può procedersi a confisca per equivalente in danno di un istituto bancario delle frazioni di un prestito obbligazionario dematerializzato, sottoscritto da persona nei cui confronti sia stata emessa sentenza di patteggiamento per il reato di frode fiscale ed accompagnato dal versamento dei relativi importi alla banca emittente che abbia contrattualmente la facoltà di disporre dei titoli stessi, trattandosi di ipotesi di pegno irregolare conseguente alla mancata identificazione dei titoli e alla immediata acquisizione della proprietà del denaro da parte della banca creditrice.
La vicenda ha riguardato un soggetto nei cui confronti era stata emessa sentenza di applicazione concordata della pena (art. 444 c.p.p.) per una serie di frodi fiscali, tra cui anche l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Nei confronti del condannato era stata disposto un provvedimento di sequestro per equivalente sul diritto reale di garanzia (pegno) di un dossier titolo.
L’istituto di credito inoltrava istanza di restituzione dei titoli, posti a garanzia di un conto corrente, e che avevavo formato oggetto del sequestro. Il GIP rigettava la domanda dell’Istituto ritenendo la perdurante efficacia del sequestro preventivo, non essendo la sentenza passata in giudicato. Successivamente l’Istituto di credito ripresenta una nuova istanza. Il giudice adito accoglieva parzialmente la domanda dichiarava la sussistenza del diritto dell’istituto bancario al soddisfacimento dei crediti maturati nei confronti della “s.r.l. C.” anteriormente all’esecuzione del sequestro preventivo.
Avverso il provvedimento l’Istituto di credito propose opposizione, al provvedimento del 23 agosto 2012, al giudice di esecuzione che rigettava la domanda.
L’Istituto bancario contro il citato provvedimento proponeva ricorso, basato su quattro motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono il ricorso annullando l’ordinanza senza alcun rinvio. I giudici di legittimità hanno riaffermato quanto statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. U., n. 775 del 16 novembre 1999) hanno, inoltre, affrontato la questione se possano configurarsi come meccanismo compensativo le modalità operative della garanzia concretantisi, in caso di inadempimento del debitore, in un’automatica estinzione satisfattiva del credito garantito, con residuo obbligo del creditore di restituire al debitore garante l’eventuale eccedenza. In proposito hanno argomentato che vi è ostacolo alla compensazione soltanto nel caso in cui le obbligazioni derivanti da un unico negozio siano tra loro legate da un vincolo di corrispettività che ne escluda l’autonomia. In tale ipotesi, infatti, se si ammettesse la reciproca elisione delle obbligazioni, si inciderebbe sulla stessa efficacia del negozio, paralizzandone gli effetti. Al contrario, quando le obbligazioni, pur avendo causa in un unico rapporto negoziale o in rapporti collegati, non siano però in posizione sinallagmatica, non v’è ragione di escludere l’operatività di un meccanismo propriamente compensativo. E’ quanto avviene, ad esempio, nel caso del debito principale e del debito di restituzione del tantundem del creditore assistito da pegno irregolare, che restano autonomi, ancorché collegati da un vincolo di accessorietà.
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